A tu per tu con il calesse della principessa etrusca di 2600 anni fa: presentato al museo di Murlo (Siena) il restauro del prezioso reperto trovato nella Tomba A del Poggione
A tu per tu con il calesse della principessa di 2600 anni fa. L’onore e l’emozione di poter osservare da vicino questo prezioso reperto etrusco è capitato ai fortunati che sabato 7 febbraio hanno risposto all’iniziativa “Laboratorio aperto” lanciata dal museo Archeologico di Murlo nel Senese per raccontare lo stato di avanzamento dell’intervento di restauro del carro in ferro e bronzo che proviene da una tomba a camera della fine del VII secolo a. C. in località Poggione (Castelnuovo Berardenga). La sepoltura fu scavata all’inizio degli anni Ottanta, e oggi appartiene alla collezione archeologica del museo di Palazzo Corboli di Asciano, una delle sedi espositive più prestigiose del territorio senese. Il gabinetto specializzato di restauro di Murlo, annesso al museo Archeologico, è uno spazio funzionale unico che, insieme al Centro di Restauro di Chianciano Terme, costituisce un punto di riferimento per la conservazione del patrimonio archeologico delle Terre di Siena. L’intervento di restauro del “calesse della principessa” è realizzato da Fondazione Musei Senesi grazie al contributo del Comune di Asciano e della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, e alla collaborazione della soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e del Comune di Murlo, che ospita il carro in questa fase di restauro.
La tomba principesca del Poggione (denominata “Tomba A”) fu scavata tra il 1980 e il 1984 dalla dott.ssa Mangani della soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana (dopo varie segnalazioni fatte nel corso degli anni Settanta circa la presenza in questa zona di reperti e strutture archeologiche): è una tomba a camera di età orientalizzante realizzata con lastre di travertino di Rapolano che costituivano sia le pareti che la pavimentazione. conteneva la deposizione di un uomo e di una ragazza con i loro ricchi corredi, attualmente esposti nel museo di Asciano. Gli oggetti che accompagnavano i defunti caratterizzavano il loro status: armi, scudi, gratelle per cucinare la selvaggina, coltelli, delicatissimi vasi potori per lui; oggetti d’avorio, come una pisside e un pettine per lei, molti rocchetti da usare per la filatura, fibule e altri monili preziosi. Dalla stessa tomba proviene anche il calesse presentato a Murlo, di cui restano moltissimi frammenti in ferro e in bronzo, che dovevano decorare la struttura lignea. “La deposizione di carri e calessi nelle tombe di età orientalizzante e arcaica nelle tombe dell’Italia centrale (non solo Etruria, ma anche Latium Vetus, agro falisco, Sabinia, Umbria e ambito Piceno) dimostra un forte legame con le ideologie delle aristocrazie gentilizie”, afferma Silvia Goggioli, funzionario della soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana e direttrice del restauro con Giovanni Roncaglia e Franco Cecchi. “I carri ritrovati in tombe etrusche e italiche ad oggi, infatti, sono circa 280 – fra questi anche il carro di Montecalvario, esposto al museo Archeologico di Castellina in Chianti, altro museo del circuito senese, e recentemente restaurato. I calessi, o carpentum, in particolare in Etruria, presentano due ruote e sono guidati ad andatura lenta, stando seduti, con un baldacchino sulla cassa e un tiro a due, di asini o cavalli. La loro deposizione nelle tombe si associa per lo più alle sepolture di donne di alto lignaggio e ricorre nelle tombe a camera fin dall’ultimo quarto dell’VIII secolo a.C.”.
Le raffigurazioni etrusche mostrano il carro impiegato in cerimonie nuziali, anche se si presume che doveva essere usato anche in altre occasioni della vita quotidiana. Proprio nel museo di Murlo, che conserva i resti del palazzo arcaico di Poggio Civitate – un rarissimo esempio di città viva e non di necropoli etrusca – è conservata una lastra a bassorilievo, in terracotta, che illustra un calesse con alcuni servi che coprono la coppia con un ombrellino, secondo un’iconografia che si ritrova anche nel rilievo achemenide del lontano palazzo di Serse a Persepoli. Non dimentichiamo che ancora oggi, nei matrimoni indiani, l’elegante sposa arriva sul luogo della cerimonia su un calessino, con il capo coperto da un velo e i servi che la proteggono dal sole con un ombrello.
Il progetto scientifico, elaborato dalla soprintendenza ai Beni archeologici della Toscana, si è avvalso del contributo degli architetti senesi Claudio Mancianti e Massimo Marini e delle restauratrici Adria Coscia e Mara Cavallaro. Un intervento complesso che, partendo dalla miriade di frammenti rinvenuti, ha richiesto un lungo e attento studio preliminare per distinguere, in base al degrado, i vari materiali e le funzioni delle diverse parti (decorative o strutturali). L’ipotesi ricostruttiva ha consentito, grazie al confronto con esempi simili e storicizzati, di raccogliere molte inedite informazioni sul reperto, che verrà ricomposto su un modello in scala 1:1 sulla base dei dati tecnici rilevati e che, a intervento concluso, permetterà un riallestimento ad hoc nel museo di Asciano.






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