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Parco archeologico di Ercolano. Ripartono dal 21 luglio 2023 i Venerdì di Ercolano, i percorsi notturni di visite guidate, arricchiti di illuminazioni artistiche e rappresentazioni teatrali di Teatri 35: ecco le tappe principali

ercolano_parco_i-venerdì-di-ercolano_2023_locandinaIl parco archeologico di Ercolano accoglie i visitatori nelle serate d’estate vestito di luce per “I Venerdì di Ercolano”.  Ripartono dal 21 luglio 2023 i percorsi notturni di visite guidate, arricchiti di illuminazioni artistiche e rappresentazioni teatrali di Teatri 35.  Quest’anno sono il cibo e l’alimentazione a ispirare il racconto nell’area archeologica. Il suggestivo percorso si articola con 8 tappe principali e 4 momenti artistici attraverso i quali si dipanerà un itinerario di scoperta di uno dei temi che insieme più ci avvicina e più ci allontana dal mondo degli antichi romani: la tavola e le cucine.  Le tappe principali saranno: l’area sacra con il santuario di Venere, la Casa dei Cervi, il V cardo con sosta alla grande taberna e al forno (pistrinum), il decumano massimo, la bottega di Nettuno e Anfitrite, la Casa del tramezzo di legno e la Casa dei due atri.

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Francesco Sirano, direttore del parco archeologico di Ercolano, ai “Venerdì di Ercolano” (foto paerco)

“L’antica Ercolano riapre i cancelli nella sua veste serale”, dichiara il direttore Francesco Sirano, “in un percorso con tappe di approfondimento legate al cibo, all’alimentazione e ai piaceri della tavola. I visitatori saranno coinvolti attraverso una rivisitazione piacevole dell’eccezionale documentazione ercolanese all’interno della quale reperti organici, cibi, oggetti, spazi connessi all’universo del cibo dalla cucina alla fogna sono in grado di illustrare come in nessun altro luogo di età romana non solo la dieta degli antichi, ma anche come si preparavano, cucinavano e consumavano i cibi. Il nostro obiettivo è offrire al pubblico una visita speciale e un racconto ispirato alle testimonianze provenienti direttamente dalle case e dagli edifici di culto, dalle strade, dalle botteghe e dalle mense degli antichi Ercolanesi. Insomma, l’intento è ancora una volta appassionare il pubblico ed immergerlo negli aspetti più particolari e unici dell’antica Ercolano per renderlo protagonista di un’esperienza di conoscenza”.

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Mappa dei percorsi serali de “I Venerdì di Ercolano” con i monumenti toccati e le soste per le rappresentazioni teatrali (foto paerco)

Sei le aperture serali previste, a partire dal 21 luglio fino al 24 agosto 2023, un viaggio tra luci e immagini che calerà il visitatore nell’atmosfera dell’antica Herculaneum. In ciascuna data (21, 28 luglio; 4, 11, 18, 25 agosto 2023), sono previsti 16 turni di visita a partire dalle 20 fino alle 22.50, con partenza ogni 10 minuti. I visitatori dovranno presentarsi 20 minuti prima del proprio turno di visita. I gruppi saranno composti da massimo 30 persone ciascuno, con accesso dei visitatori esclusivamente dall’ingresso monumentale di corso Resina. I biglietti sono acquistabili in biglietteria al costo di 8 euro intero + 1 euro per le zone alluvionate dell’Emilia Romagna; 4 euro ridotto per under 30 e over 65 e possessori Artecard + 1 euro; gratuito per gli under 18. I possessori dell’abbonamento “Un giorno un anno” (acquistabile esclusivamente online) avranno diritto ad un ingresso gratuito in una delle date programmate mediante prenotazione presso la biglietteria del Parco. La prevendita è obbligatoria anche per i bambini /ragazzi che usufruiscono del biglietto gratuito. Sarà prevista una visita in lingua inglese alle 22. Considerato il ristretto numero di biglietti, è vivamente consigliato, per non perdere l’evento ed evitare assembramenti all’esterno degli scavi, di acquistare i biglietti on line. Parcheggio alla scuola Rodinò (via IV Novembre) e la scuola Iovino Scotellaro (traversa via IV Novembre) fino ad esaurimento dei posti disponibili.

Grazie alle aperture serali di quest’anno, nella magica atmosfera del sito illuminato, i visitatori potranno conoscere alcuni peculiari aspetti del sito legati al cibo e all’alimentazione, accompagnati dal racconto delle guide e degli attori di Teatri 35, che animeranno alcuni punti del percorso.

Discesa dal viale Maiuri e dalla rampa sotterranea – Antica Spiaggia – arrivo all’Area Sacra

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Panoramica dell’antica Herculaneum illuminata per le visite serali dei “Venerdì di Ercolano” (foto paerco)

Viale Maiuri La cultura alimentare è una materia affascinante, che comprende, in ogni epoca, aspetti diversi, attinenti non soltanto alle abitudini alimentari, ma anche alla vita materiale, religiosa, commerciale e sociale di ogni singolo individuo, come di ogni comunità. Per quanto riguarda l’antichità romana, i testi degli autori antichi forniscono un’ampia rappresentazione degli aspetti più diversi della cultura alimentare. Numerosi, infatti, sono i riferimenti alla tavola in opere di autori come Plauto, Catone, Cicerone, Marziale e Plinio il Vecchio. Il “De re coquinaria” di Apicio contiene un vero e proprio ricettario composto da ben 10 libri per un totale di 450 ricette. Inoltre, anche le arti figurative, soprattutto gli affreschi e i rilievi, suggeriscono molte informazioni sull’alimentazione e il convivio. Ad Ercolano abbiamo però dei dati archeologici eccezionali e unici in tutto il mondo antico, che rivelano molti dettagli dell’alimentazione degli antichi abitanti, grazie al fatto che l’eruzione del 79 d.C. ha carbonizzato e, in assenza di ossigeno, ha sigillato e perfettamente conservato moltissimi alimenti. Inoltre, passeggiando tra le strade della città, ci si imbatte nelle cucine che utilizzavano un metodo di cottura basato sul surriscaldamento di un piano di cottura in terracotta (pietra ollare) provocato da un focolare collocato al di sotto del banco di cottura sul quale si appoggiavano le pentole e le padelle. Inoltre lungo le strade si incontrano i famosi thermopolia (luoghi di rivendita di bevande e cibo pronto da mangiare) in cui si sono conservati i grandi otri/vasi da dispensa (dolia) incassati nei banconi con i piani colorati di marmo e straordinarie strutture in legno carbonizzato, come mensole per le anfore, soppalchi e balaustre. In molte abitazioni si possono ancora vedere le cucine con i banconi in muratura e nei panifici i forni, a volte quasi del tutto integri.

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I fornici dell’antica spiaggia di Ercolano illuminati per le visite guidate serali (foto paerco)

Antica spiaggia A Ercolano si conoscono molte informazioni sull’alimentazione e sullo stile di vita della popolazione anche grazie agli studi sugli oltre trecento scheletri ritrovati ammassati nei fornici dell’antica spiaggia, che costituiscono un campione molto rappresentativo per gli antropologici. Ad esempio, dalle analisi effettuate sul collagene (una proteina che tiene insieme il tessuto osseo) di 6 scheletri femminili e 11 maschili, sembra che il consumo di pesce fosse piuttosto elevato rispetto a quello dei cereali. Inoltre, vi sono differenze significative tra maschi e femmine: gli uomini mangiavano più pesce rispetto alle donne, che invece ricavavano le proteine per lo più da carne, uova e latticini. Forse perché gli uomini erano più impegnati nella pesca e in altre attività marittime? Oppure perché avevano più facilmente accesso a prodotti alimentari più costosi, come nel caso del pesce fresco? Inoltre, lo scavo recente di un condotto fognario che era rimasto inesplorato nel secolo scorso, ha consentito di analizzare materiali coprologici (escrementi), archeobotanici, zooarcheologici e di ittiofauna e di fare nuove importanti scoperte sull’alimentazione.

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Il bancone della cucina del santuario di Venere a Ercolano (foto Paerco)

Area Sacra L’area sacra dedicata a Venere, sia come dea della fertilità, sia come protettrice dei naviganti, era un importante centro di culto per gli abitanti di Ercolano e per i visitatori stranieri. Le persone vi si recavano per pregare, offrire doni, partecipare a rituali religiosi e cercare la protezione e le benedizioni della dea. Nella cucina del santuario (illuminata e visibile dall’esterno) nella quale si ammira un enorme banco di cottura in pietra ollare, venivano preparati i pasti comuni, che rappresentavano un importante momento di condivisione comunitaria in occasione di determinate festività, costituendo un legame spirituale e sociale tra i partecipanti. Le offerte alimentari alla dea potevano includere frutta, cereali, carne, pesce, vino, pane o altri alimenti considerati sacri. Questi cibi venivano spesso posti su altari o bruciati come sacrificio.

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La Casa dei Cervi a Ercolano illuminata per le visite serali (foto paerco)

Casa dei Cervi Iscrizione con una preghiera a Venere, graffita sulla cinta muraria della città, proprio lungo la rampa. “Fortunatus amat Amplianda. Ianuarius amat Veneria. Rogamus damna Venus ut nos in mente habias quod te modo introrgamus” “Fortunato ama Amplianda. Ianuarius ama Veneria. Preghiamo potente Venere che tu tenga presente quello che ora ti chiediamo”. La c.d. Casa dei Cervi è una grande dimora ispirata alle grandiose e principesche residenze ellenistiche. Il proprietario, Q. Granius Verus, del quale conosciamo il nome grazie ad un bollo impresso su una pagnotta di pane carbonizzato ritrovata nella cucina, acquistò diversi lotti abitativi per poter realizzare questa casa gigantesca, con sontuosi ambienti di rappresentanza al piano terra, in parte articolati intorno al giardino interno e, in altra parte, affacciati sulla splendida vista del golfo grazie ad un terrazzo con un piccolo giardino. Invece, il quartiere retrostante, con cucina e ambienti di servizio e un piano superiore, affacciato sul ballatoio nell’atrio, era riservato alla servitù. Muovendosi lungo il corridoio coperto (criptoportico), lungo le pareti affrescate, si notano numerosi quadretti con temi mitologici e naturalistici, che, durante la passeggiata lungo il corridoio, offrivano spunti di conversazione con gli ospiti. Ad esempio, la rappresentazione di amorini che, approfittando dell’assenza di Ercole, giocano con le sue armi. Le nature morte raffigurano frutta autunnale come noci, fichi e miele e anche cibi cotti: queste immagini erano anche un simbolo della ricchezza e della prosperità che si poteva trovare in una casa. Perché, nel mondo romano, come del resto in ogni epoca, il cibo era anche uno strumento attraverso cui ostentare lo stato sociale. Il settore meridionale della dimora appare interamente organizzato in funzione di ricevimenti e banchetti (symposium o convivium), per il cui svolgimento il proprietario aveva attrezzato non solo il grande triclinio aperto sul lato nord del corridoio coperto, ma anche le due sale rivolte verso il mare e soprattutto la grande sala finestrata (oecus Cyzicenus), immersa nel giardino.

Tra le classi più abbienti, i banchetti venivano organizzati in occasione del terzo pasto della giornata, la coena, e prevedevano il consumo di pietanze anche molto elaborate, mangiate con ingordigia fino alle tarde ore della notte. Durante queste cene, l’anfitrione, spesso il proprietario della casa in cui si teneva il banchetto, si sforzava di dare agli invitati il senso della propria ricchezza, magnificenza e buon gusto. Le portate (fercula) della coena erano almeno sette: Gustatio. Una serie di antipasti (uova, insalata, funghi, olive, crostacei, salsicce, cetrioli, tartufi e salse varie), accompagnati dal mulsum, cioè da vino misto a miele oppure annacquato. Prima mensa. Era costituita da varie portate di pesce, uccelli (gru, pavone, fenicottero, pappagallo), carni di manzo, agnello e maiale, oltre a tutti i tipi di cacciagione. Secunda mensa. Era più o meno un “dessert”, a base di frutta fresca e secca e dolci al miele.

Il cardo V doveva essere una strada particolarmente vitale e vivace, a giudicare dal numero di botteghe e laboratori artigianali che vi si concentravano.

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La Grande Taberna al parco archeologico di Ercolano (foto paerco)

Grande Taberna All’angolo con il decumano inferiore, come spesso accadeva negli incroci delle strade, si trova la grande taberna, in posizione molto felice essendo anche in prossimità di uno dei luoghi pubblici più frequentati, cioè la palestra. Le stanze collegate funzionavano come retrobottega e in parte potevano ospitare gli avventori per consumare i pasti. Le tabernae erano luoghi in cui si poteva mangiare e bere oppure anche solo comprare pietanze e bevande, ma in quelle più grandi, come questa, si poteva anche trovare alloggio. Ci si fermava di solito per consumare il secondo pasto della giornata, il prandium, un pasto veloce e frugale, offerto con una vasta gamma di opzioni culinarie, per lo più semplici ed economiche, accessibili anche ai meno abbienti, ma non mancavano piatti più elaborati e costosi per coloro che potevano permetterseli. Le pietanze venivano conservate all’interno dei dolia, grandi recipienti di terracotta incassati in banconi di marmo. Ad Ercolano si assaporavano sicuramente piatti a base di legumi, come fagioli, lenticchie e ceci. Immancabili le uova, alimento comune e versatile nell’antichità, così come la carne e il pesce, serviti in diverse preparazioni. Poi ancora formaggi, dolci e immancabile come bevanda il vino. Il tutto accompagnato da pani e focacce. Tra i condimenti, uno dei preferiti era di certo il garum, una salsa più o meno liquida di interiora di pesce.

All’incrocio, la grande fontana pubblica in pietra assicurava l’acqua, elemento fondamentale anche per la preparazione dei cibi e per l’alimentazione in generale.

V cardo superiore fino al Pistrinum di Sextus Patulcius Felix In questa zona c’era una vera concentrazione di botteghe: rivendite di vino, di cereali e lugumi, ma anche tintorie e panifici. Al di sotto del V cardo superiore corre un tratto della rete fognaria che assicurava alla città un corretto smaltimento delle acque e dei rifiuti. Si tratta in realtà, in questo caso, di una fossa settica, che veniva ciclicamente svuotata, collegata da tubazioni e canali alle cucine e alle latrine delle soprastanti abitazioni e botteghe. Qui sono stati recuperati moltissimi scarti di cibo e di deiezioni, una vera miniera di informazioni sulle abitudini alimentari degli antichi ercolanesi. Dalle analisi è stato dedotto che la dieta si basava per lo più su prodotti campani quali cereali (grano, orzo e miglio) olive e olio, vino, uova, finocchio e molto pesce. Sono state riconosciute infatti circa 46 specie quali orate, alici, sardine, anguille, spigole e altre più comuni al tempo come squali e razze. Oltre ai prodotti locali, ritrovate tracce di prodotti di importazione quali vino, olio e garum dalla penisola Iberica e alcune spezie, tra cui granelli di pepe nero proveniente dall’India, indizio di una buona attenzione data al gusto delle pietanze.

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Nei percorsi notturni de “I Venerdì di Ercolano” sono previste alcune tappe con rappresentazioni teatrali (foto paerco)

Pistrinum Il ritrovamento all’interno della fossa di numerosi frammenti di noccioli di oliva, è forse da collegare alla presenza dei due panifici, dove i residui della molitura delle olive potevano essere utilizzati come combustibili per i forni. Il pane era una parte essenziale dei pasti ed era consumato da tutte le classi sociali. Ne esistevano di diverse tipologie e poteva essere gustato in vari modi. Da solo, accompagnato da condimenti come olio d’oliva o formaggio o utilizzato come base per altre preparazioni. Mentre all’inizio la produzione di pane era esclusivamente casalinga, la diffusione di questo elemento, la richiesta sempre maggiore e l’evoluzione delle tecniche di setacciatura, macinazione e cottura, portarono alla comparsa di figure quali il pistores e la nascita delle pistrinae, rispettivamente i fornai e panetterie. Ad Ercolano, conosciamo il nome di uno di questi panettieri, Sextus Patulcius Felix.

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Il decumano massimo dell’antica Herculaneum illuminato per le visite serali de “I Venerdì di Ercolano” (foto paerco)

Il Decumano massimo era una delle vie principali di Ercolano, centro vitale per la presenza di tante botteghe, comprese quelle del mercato, la cui presenza è testimoniata da larghe buche di palo atte a sorreggere file di supporti lignei per i tendaggi. Qui vi sono ben due fontane pubbliche, che, così come gli edifici pubblici e privati, erano alimentate grazie al collegamento con l’acquedotto del Serino, che raggiungeva Napoli, dando acqua anche a Ercolano e Pompei. All’incrocio con il IV cardo, si riconoscono due massicci pilastri elevatori delle acque realizzati in laterizio. All’apice dei pilastri vi erano delle cisterne da cui discendevano una serie di condutture in piombo che permettevano la distribuzione dell’acqua in città attraverso una fitta rete di tubazioni distribuite sotto la pavimentazione, visibili in molti punti dei marciapiedi e anche all’interno delle abitazioni. Sul pilastro elevatore si conserva una iscrizione che nomina i magistrati Marcus Rafelius Robia e Orlus Tetius, i quali lanciano un duro monito ai cittadini, intimando loro di non gettare rifiuti nelle fontane pubbliche, pena una multa, se uomo libero, frustate, se schiavo. Ad Ercolano, come in altre città dell’Impero, la manutenzione di strade, mercati, fognature, fontane e controllo dell’igiene pubblica in generale era affidata a magistrati noti come aediles.

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Affresco all’interno della Bottega ad Cucumas nel sito di Ercolano (foto paerco)

Bottega ad Cucumas Con l’acqua veniva miscelato anche il vino, venduto in botteghe come quella ad cucumas, forse una caupona (locanda), dove si servivano bevande e cibi vari. Il pilastro all’ingresso reca dipinta l’insegna, che raffigura 4 brocche di colore diverso, con le bevande che qui si vendevano e l’indicazione del prezzo del vino. Il vino era parte essenziale di ogni banchetto: era più alcolico rispetto a quello che beviamo oggi e, per questo, veniva diluito con acqua calda o fredda o addolcito con il miele. Il vino poteva essere Atrum (rosso), Candidus (bianco) o Rosatum (rosato). I più diffusi nell’antica Roma provenivano dal Lazio, dalla Campania e dalla Sicilia. Alla fine della repubblica erano noti e ricercati il Falernum (Campano), il Caecubum e l’Albanum, che rimasero a contendersi i prime tre posti fino all’inizio del regno di Augusto. Nel territorio di Ercolano la viticoltura era una pratica agricola importante. I vigneti venivano impiantati lungo i pendii del monte Vesuvio per essere ben esposti al sole e favorire così una maturazione ottimale dell’uva.

Bottega di Nettuno e Anfitrite La bottega apparteneva al proprietario della Casa di Nettuno e Anfitrite, così chiamata per il famoso mosaico. È probabile che il padrone di casa fosse un commerciante, dato che il dio Nettuno era associato alla richiesta di protezione di chi viaggiava per mare. Certamente doveva trarre buon profitto anche dalla attrezzatissima bottega di generi alimentari, ricca di suppellettile in legno: scaffalature per sostenere le anfore, un soppalco e un tramezzo di separazione in ottimo stato di conservazione. Nel bancone in muratura sono ancora incassate le giare, da cui sono state estratte tracce di ceci e fave. Il crollo di parte del solaio consente di osservare la cucina e alcune delle stanze del piano superiore della casa.

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La Casa Sannitica di Ercolano illuminata per le visite serali de “I Venerdì di Ercolano” (foto paerco)

Casa Sannitica In età repubblicana (fine II – inizi I a.C.) questa abitazione si estendeva fino al limite dell’insula, raggiungendo il V cardo. Originariamente, alle spalle del tablino, si sviluppava il quartiere del peristilio, ceduto successivamente alla Casa del Gran Portale e alla Casa con giardino, mentre gli ambienti del piano superiore vennero dati in affitto. L’ingresso è inquadrato da un bel portale e nel corridoio di ingresso si ammira un ottimo esempio di decorazione parietale in Primo stile. Nel grande atrio tuscanico si conserva l’originario pavimento di cocciopesto, mentre la vasca dell’impluvio fu rivestita di marmo in età imperiale, quando fu anche rinnovata la decorazione delle pareti in Quarto stile. Bellissimo il finto loggiato di semicolonne ioniche.

Uscendo sul decumano inferiore si prosegue fino alla Casa dei due Atri, con una breve sosta alla latrina pubblica, che si puliva con l’acqua di spurgo del retrostante frigidarium della sezione maschile delle terme centrali. Entrando, la cucina sulla sinistra, con bancone di cottura a due bracci, e la contigua latrina posta sotto la finestra. Camminando lungo il III cardo, all’altezza della bottega di Messenius Eunomus, al primo piano sarà illuminata una delle latrine private site ai piani superiori delle case di Ercolano (ben 82!). Da citare mentre si va verso l’uscita oppure in concomitanza della latrina pubblica fuori alle terme centrali maschili. Uscendo, si costeggia la Casa dell’Albergo, che sfortunatamente non può essere apprezzata nella sua grandiosità per il cattivo stato di conservazione, ma della quale si può evidenziare il peculiare peristilio con l’ampio giardino posto a un livello inferiore rispetto al porticato, nel quale si scende attraverso una scaletta. Durante lo scavo, si rinvennero un pero, una quercia e una pianta di vite, che lo fecero interpretare da Maiuri come un piccolo frutteto (pomarium). Oggi vi sono piantati alberi di mele cotogne.

 

“Lapilli sotto la cenere”. Con la 22.ma clip del parco archeologico di Ercolano il direttore Francesco Sirano esplora ancora il tema “Ercole a Herculaneum”: in questa terza parte scopriamo tra gli ambienti dell’Antiquarium oggetti e ornamenti che richiamano le gesta e il culto di Ercole

L’ingresso dell’Antiquarium di Ercolano dove è allestita la mostra permanente “SplendOri” (foto Graziano Tavan)

Con la 22.ma clip della serie “Lapilli sotto la cenere” il direttore del parco archeologico di Ercolano, Francesco Sirano esplora ancora il tema “Ercole a Herculaneum”, cioè il Mito, la leggenda e la città. In questa terza parte scopriamo tra gli ambienti dell’Antiquarium oggetti e ornamenti che richiamano le gesta e il culto di Ercole.

Sono mille i modi attraverso i quali l’eroe, che ha dato il nome alla città di Ercolano, era vicino ai suoi cittadini. “Nessuno – ricorda Sirano – si faceva mancare anche negli arredi più lussuosi un’immagine che riguardasse Ercole. Per esempio dall’area del decumano viene il piede di un tavolo in marmo africano che raffigura proprio l’eroe fondatore. Si tratta di quella che si definisce una forma ermaica, cioè una forma dove la parte inferiore in realtà è un pilastro e la parte superiore ci raffigura il busto dell’eroe in età avanzata, completamente avvolto in una tunica. Attorno alle spalle ha avvolta la pelle del leone Nemeo di cui si vede molto bene la testa. Si può notare come si sfruttano bene i colori del marmo africano, per cercare di dare anche una colorazione, animare questa visione. Molto interessante è anche la presenza, sotto la mano destra dell’eroe, di un motivo che pende, interpretato da alcuni come la rappresentazione del pomo delle Esperidi. In realtà si tratta semplicemente della pelle della zampa del leone che è appesa perché il tutto è girato intorno alle spalle. Ancora una volta – continua Sirano – una figura ermaica cioè una figura di Ercole, inserita questa volta in un pilastro di marmo e la testa invece è di bronzo, ci porta a conoscere un altro aspetto: Ercole che diventa protettore della casa, oggetto di culto. Dalla Casa di Nettuno e Anfitrite viene una piccola erma in miniatura con un Ercole barbuto, quindi sempre in età avanzata, e che presenta la stephane, cioè la corona, che ci fa capire che è già diventato una figura divina oggetto di culto, e in questo caso un culto domestico”.

Statuetta in bronzo di Ercole già divinizzato, proveniente dalla Casa del Rilievo di Telefo a Ercolano (foto paerco)

La figura di Ercole accompagnava gli ercolanesi in tanti aspetti della loro vita. “Tra gli oggetti che conserviamo nell’Antiquarium – spiega Sirano – abbiamo anche delle statuine, che probabilmente facevano parte di piccoli santuarietti domestici, come quella che viene dalla Casa del Rilievo di Telefo. Raffigura l’eroe barbato, quindi greco in età matura, ancora in posizione atletica: con la mano sinistra tiene la leontea, cioè la pelle del leone Nemeo, una delle caratteristiche del dio: rappresenta infatti una delle fatiche che lo rese famoso. Qui Ercole è già diventato probabilmente un dio perché si trova su un piedistallo a forma di sgabello. Ed è questa l’idea che ci dà l’indizio che ci fa pensare si tratti di una statuina in qualche maniera legata a un culto domestico, cosa che sta molto bene a Ercolano. Perché il modo di realizzare questa statuina che ha un suo peso, quindi è a bronzo pieno, è estremamente attento soprattutto con la muscolatura. Si vedono i muscoli della schiena, le masse muscolari ben caratterizzate, addirittura le pieghe del collo potente, taurino, che caratterizzavano Ercole anche sulle spalle. È una statua ispirata alla scultura greca del IV sec. a.C. secondo la moda che possiamo trovare in tantissimi luoghi dell’Italia dal periodo ellenistico fino a quello romano”.

Anello in oro e corniola dalla Casa del Mobilio carbonizzato di Ercolano con raffigurato il nodo di Ercole (foto paerco)

Ma Ercole non era solo oggetto di culto domestico, era anche un eroe che gli antichi ercolanesi volevano tenere proprio vicino a sé, addirittura addosso a sé. “Alcuni gioielli o accessori dell’abbigliamento si ispiravano proprio a Ercole – assicura Sirano -.  Per esempio, da una cassettina che conteneva degli averi, qualcosa di prezioso per uno dei fuggiaschi dell’antica spiaggia, proviene un pendaglio di collana, probabilmente, che rappresenta proprio la clava di Ercole, cioè uno degli attributi che lo rendeva universalmente riconoscibile. In vetrina c’è un anello d’oro e corniola che proviene dalla Casa del Mobilio carbonizzato. L’anello raffigura il nodo di Ercole. Si tratta di un particolare modo con cui si allacciava la pelle del leone Nemeo. Questo nodo veniva riprodotto in molte occasioni nel mondo romano. Una di queste era il giorno delle nozze. La sposa aveva una cintura con un nodo simile a quello che viene qui riprodotto. Nel momento in cui andava per la prima volta a letto con lo sposo, il marito scioglieva questo nodo: segno anche della garanzia della verginità, ma soprattutto si riteneva che questo portasse bene perché l’eroe Ercole, cui erano attribuiti circa 70 figli, poteva essere un segno di abbondanza. Un anello molto prezioso che forse i padroni di casa non fecero in tempo a recuperare. E sempre restando nell’ambito degli ornamenti personali, c’è un bracciale d’argento dall’antica spiaggia. Ancora una volta ci porta nel mondo di Ercole. Qui abbiamo una serie di nodi che vengono riprodotti nella decorazione al centro del bracciale. Ancora una volta ispirato al potere magico che questo nodo poteva avere nell’ambito dell’abbondanza e della vita di tutti i giorni”.

Il nodo di Ercole, nuovo logo del parco archeologico di Ercolano

“Secondo alcuni studiosi Amedeo Maiuri nel far realizzare l’ingresso, oggi storico, al parco archeologico si ispirò alla porta di Adriano ad Atene che separava la città di Teseo, la città antica, dalla città moderna, dove l’imperatore Adriano promosse una serie di lavori di rinnovamento. Quale che sia la giusta spiegazione, per noi questa non è una porta ma è un passaggio, un collegamento tra la città antica e la città moderna che devono far parte di uno stesso futuro. Per creare il nostro nuovo segno identitario – conclude Sirano – ci siamo ispirati come gli antichi ercolanesi al nodo di Ercole, perché questo nodo valorizza soprattutto le connessioni. Sono proprio le connessioni che ora il parco vuole approfondire con l’esterno, con il territorio che lo circonda”.

“Lapilli di Ercolano”: con la 17.ma clip il direttore Sirano ci mostra i dettagli nascosti di una delle domus più conosciute di Herculaneum: la Casa di Nettuno e Anfitrite

Nella nuova clip, la 17.ma, dei Lapilli del Parco Archeologico di Ercolano, il direttore Francesco Sirano mostra i dettagli nascosti di una delle domus più conosciute di Herculaneum: la Casa di Nettuno e Anfitrite, uno dei più interessanti esempi di architettura domestica e anche di restauro architettonico di Ercolano. “Sin dalla facciata – spiega Sirano – si annuncia la volontà di Amedeo Maiuri di comunicare al pubblico il senso della sua scoperta e dei suoi restauri. Il prospetto della casa si presenta come una sorta di spaccato assonometrico che ci lascia vedere gli appartamenti al piano superiore. Questi appartamenti, come la casa, erano abitati ed erano stati squassati dalle scosse di terremoto. Il cataclisma deve essere sempre presente a chi visita gli scavi di Ercolano. La casa di Nettuno e Anfitrite aveva una bottega direttamente aperta sulla strada. Siamo in una delle strade più frequentate di Ercolano, vicino alle terme, e quindi questa è una posizione commercialmente importante. Abbiamo il bancone dove venivano serviti bevande e cibi, probabilmente anche cibi caldi perché c’è un piccolo piano di cottura. Molto interessante è la presenza di un ambiente soppalcato che permetteva di occupare al meglio gli spazi e che serviva per raggiungere il piano superiore dove è stato ricavato un piccolo deposito di anfore così come gli scaffali, qui con oggetti esemplificativi. Anche le anfore deposte all’interno della bottega provengono da vari luoghi di Ercolano non solo da questa bottega ma ci aiutano a capire quale era il raggio di azione commerciale per reperire vini e altri tipi di salse che servivano per preparare tutte le pietanze e che venivano servite ai cittadini di Ercolano”.

L’ingresso della Casa di Nettuno e Anfitrite a Ercolano (foto Graziano Tavan)

Immediatamente varcata la soglia della Casa di Nettuno e Anfitrite abbiamo le fauces, caratteristiche di ogni casa, l’ingresso e una piccola stanza che veniva utilizzata come latrina, e c’è il caratteristico bancone da cucina di cui manca solamente il piano. Sul pavimento dell’ingresso si distinguono molto bene alcuni tubi di piombo, le cosiddette fistulae, che rappresentano una derivazione dell’acquedotto per portare acqua corrente in tutte le case. L’acquedotto fu realizzato nell’epoca dell’imperatore Augusto e fece innalzare i livelli di qualità della vita di tutte le città vesuviane in maniera eccezionale.

L’impluvium al centro dell’atrio della Casa di Nettuno e Anfitrite a Ercolano (foto Graziano Tavan)

Attraversato quest’ambiente ci troviamo nell’atrio che è il cuore di ogni casa romana. Riconosciamo l’impluvio, la vasca dove si raccoglieva l’acqua piovana con la cisterna dove l’acqua veniva conservata. “Le pareti si presentano tutto intorno completamente disadorne, perché questa casa fu oggetto di scavi durante il periodo settecentesco. Molto interessante su un lato è la presenza della base di un piccolo larario, un altare di culto domestico, e dall’altro lato la base marmorea per metterci la cassaforte. Questo ci fa capire il livello alto e il potere economico degli abitanti di questa casa. Da qui provengono infatti alcuni dei quadri policromi su marmo tra i più belli dell’area vesuviana. Molto importanti – continua Sirano – sono anche le ricerche, che stiamo conducendo insieme all’università di Toulouse nell’ambito del progetto Vesuvia, le quali hanno messo in evidenza una serie di affreschi conservati al museo Archeologico di Napoli e attribuiti ora con certezza precisamente alle stanze dalle quali furono prelevati durante gli scavi borbonici. Sul lato si aprono i caratteristici cubicula, piccoli ambienti che venivano spesso utilizzati come vere e proprie camere da letto, e sul fondo dell’atrio l’ufficio del padrone di casa, e soprattutto un ambiente, il cosiddetto oecus, utilizzato come triclinio invernale.

Il triclinio estivo della Casa di Nettuno e Anfitrite a Ercolano (foto Graziano Tavan)

Il poco spazio a disposizione non scoraggiò i proprietari di questa casa dal dotarsi di alcuni ambienti di lusso. Tra questi certamente il triclinio estivo che fu impiantato all’interno di un pozzo di luce. “Qui si poteva godere del fresco della sera, ma anche della freschezza che una fontana con lo zampillo dava a chi partecipava al banchetto. I caratteristici letti triclinari col piano inclinato (tre, uno per lato) circondano infatti questa fontana la cui acqua in abbondanza veniva smaltita attraverso un piccolo condotto.

Il famoso mosaico di Nettuno e Anfitrite che dà il nome alla domus di Ercolano (foto Graziano Tavan)

Al centro della parete abbiamo il famoso mosaico che dà il nome alla casa. È realizzato con paste vitree e ha tutta una cornice con delle conchiglie marine. Nettuno e Anfitrite si trovano al di sotto di un’edicola che evoca un vero e proprio culto di queste divinità. Ai lati di questa scena abbiamo una rappresentazione di giardino che aiuta ancora di più chi si trova all’interno della casa a immaginarsi in uno spazio altro, uno spazio dove ci si trova alla presenza di dei del mare, ma soprattutto ci si trova davanti ad ambienti liberi grandi. Ecco degli steccati che delimitano il giardino e con delle fontane a zampillo, e dietro gli steccati un giardino molto rigoglioso con piante e uccelli esotici.

Il raffinato e articolato “edificio” che ricopre il serbatoio della fontana della Casa di Nettuno e Anfitrite a Ercolano (foto Graziano Tavan)

Il lato nord del triclinio era occupato dal serbatoio che riforniva la fontanella. “Questo serbatoio è camuffato all’interno di una sorta di edificio a due livelli con il coronamento al piano di sopra e il fronte caratterizzato da tre nicchie: due laterali rettangolari e una absidata all’interno della quale si trovava una statuetta. Il fronte di questo piccolo edificio è completamente rivestito da paste vitree, da tessere di mosaico e da una serie di conchiglie marine che vengono qui applicate. Le immagini alludono a scene legate al mondo del convivio, come i  due grandi kantaroi che si trovano alla base con una serie di tralci di vite e degli uccellini veramente molto raffinati all’interno di questa vegetazione, e al piano di sopra scene di caccia con delle ghirlande sopra le quali sono appollaiati dei pavoni che ci ricordano i paradeisa, cioè i grandi giardini delle corti ellenistiche che erano il punto di riferimento di tutte le élite locali di questo periodo. A coronamento dell’edificio quattro maschere che ricordano la commedia e la tragedia antiche”.