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Rovereto. “Archeologia e paesaggi archeologici al tempo della guerra”: tre giorni con i film dall’archivio della Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico

Il museo di Baghdad saccheggiato: immagine emblematica degli effetti della guerra sul patrimonio archeologico

Il museo di Baghdad saccheggiato: immagine emblematica degli effetti della guerra sul patrimonio archeologico

Dario Diblasi direttore della Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

Dario Diblasi direttore della Rassegna internazionale del Cinema archeologico di Rovereto

Tre giorni di proiezioni non-stop per documentare siti e reperti purtroppo compromessi, distrutti o a rischio distruzione. È la nuova iniziativa della Rassegna internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto e della Fondazione Museo Civico Rovereto che ha messo a disposizione la propria sede per la manifestazione collaterale alla mostra “Confini e conflitti. Visioni del potere nel tappeto figurato orientale” aperta a Palazzo Alberti Poja fino all’11 ottobre. Il patrimonio archeologico porta ferite e cicatrici provocate dalle guerre. Salvarne la memoria è uno degli obiettivi che da oltre venticinque anni ormai persegue la Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico organizzata, sotto la direzione di Dario Di Blasi, dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto in collaborazione con la rivista Archeologia Viva. Attingendo a uno dei più vasti archivi del film archeologico (ad oggi più di 4000 titoli dalle più importanti case di produzione specializzate al mondo), sono state selezionate le opere che interessano i territori colpiti da eventi bellici. “La guerra”, commenta Di Blasi, “è atto estremo di violenza contro le popolazioni e contro la persona. Ogni guerra produce tragedie umanitarie dagli effetti irreversibili. La guerra è anche la prima minaccia per il patrimonio monumentale e archeologico. Soprattutto i siti del Vicino Oriente, già per lungo tempo manomessi e saccheggiati dagli scavi clandestini destinati al mercato antiquario, a causa degli accadimenti bellici subiscono danni incommensurabili sia per i bombardamenti che per i furti e le spoliazioni i cui proventi finiscono spesso per finanziare la guerra, quali che siano le forze in campo”.

La valle di Bamiyan in Afghanistan: le monumentali nicchie nella parete di roccia sono vuote. I Buddha sono già stati distrutti dai talebani

La valle di Bamiyan in Afghanistan: le monumentali nicchie nella parete di roccia sono vuote. I Buddha sono già stati distrutti dai talebani

Ricco il programma della tre giorni cinematografica nella sala Fortunato Zeni della sede della Fondazione Museo Civico di Rovereto (Borgo Santa Caterina 41). Si inizia venerdì 17, alle 18, con la presentazione della mini-rassegna. A seguire la proiezione del film tedesco di Ulrike Becker “Patrimonio Afghanistan. Speranza nella valle dei Budda”. La provincia di Bamiyan – importante centro di preghiera lungo la Via della Seta a 2500 metri di altitudine tra le montagne incantate dell’Hazarajat – dal V secolo dopo Cristo ha ospitato i due grandi Buddha scolpiti nella roccia (il primo di 50 metri di altezza era il più grande al mondo, l’altro di 35 metri). Già sfregiati nell’antichità e mitragliati durante l’occupazione talebana di Bamiyan nel 1998, per loro è arrivata la definitiva condanna a morte: nella terra dove vigeva l’intransigenza della sharia non potevano ammettersi monumenti pre-islamici, icone dell’idolatria. Nella falesia di Bamiyan sono scavate oltre 750 cappelle che sino al 2001 custodivano statue e dipinti: anche di questi oggi non ve ne è più traccia. Il film documenta il tentativo di restauro delle statue e segue l’archeologo di origine afgana Zemaryalai Tarzi, dell’Università di Strasburgo, nella sua spettacolare ricerca di un terzo Budda “dormiente”, secondo una fonte cinese, lungo circa 300 metri.

2003: a Baghdad è il caos. I saccheggi non risparmiano neppure il museo archeologico nazionale dell'Iraq

2003: a Baghdad è il caos. I saccheggi non risparmiano neppure il museo archeologico nazionale dell’Iraq

Sabato 18 Aprile si inizia alle 10.30 con il film francese di Milka Assaf “La memoria rubata. Ritorno al museo di Bagdad”. Il film racconta i fatti successivi all’8 aprile 2003, diciannove giorni dopo la dichiarazione di guerra all’Iraq, quando le forze anglo-americane entrano nella città di Bagdad, scatenando una guerriglia urbana. Caos: i saccheggiatori non risparmiano nemmeno quel tempio della memoria che è il museo archeologico di Bagdad. Un anno dopo il museo rinasce dalle sue ceneri. Bombe, spari, boati e fuoco, è questa l’atmosfera che si respira a Bagdad il 20 marzo 2003. Nidal El Amine, dipendente del museo, è una delle prime ad entrare nel museo dopo i saccheggi, la sua reazione e il suo dolore faranno il giro del mondo. La scena che i dipendenti del museo e gli iracheni si trovano davanti è terribile, migliaia di opere trafugate barbaramente e, le poche rimaste, distrutte dai vandali. Il museo, culla della civiltà, invece di essere stato protetto dalle truppe americane è divenuto teatro del conflitto, il disastro è totale e molti dipendenti, ritenuti in parte responsabili della disgrazia, vengono licenziati. Il nuovo direttore del museo è Donny Georges, archeologo iracheno che giurò di far riemergere il museo dalle ceneri della tragedia. I reperti scomparsi furono circa 14400, una terribile sciagura agli occhi della popolazione irachena. Tutti i media, in seguito alla disgrazia, hanno messo in luce l’impotenza delle truppe americane, ed è per questo che si è cercato di rimediare alla tragedia creando un fondo per il museo. Grazie ad iniziative come queste, e anche a singoli cittadini, il museo sta risorgendo e molti reperti rubati sono stati oggi recuperati. Segue il film “Bagdad nell’anno Mille” del francese Alain Moreau.L’agenzia Reuters – ricorda Di Blasi – ha recentemente riportato i risultati di un’indagine del 2014 secondo la quale in questo Paese ben 4.500 siti di interesse archeologico, alcuni dei quali sotto l’egida dell’Unesco per la loro importanza, sono nelle mani delle truppe dell’Isis, come già lo erano stati in quelle di Al Qaeda: luoghi da saccheggiare per rivendere gli oggetti sul mercato nero e finanziare le operazioni. Un rapporto dell’intelligence irachena dell’estate 2014 rivela che l’Isis ha guadagnato 36 milioni di dollari contrabbandando arte antica. In Iraq, la guerra anglo-americana tra il 2003 e il 2011 ha provocato i saccheggi di alcuni siti storici fondamentali, come alcune delle capitali del Sumer e della Babilonia quali Umma e Isin”. Ma non è sempre stato così. Più di 1000 anni fa, infatti, Baghdad era chiamata Madinat al Salam, la “Città della Pace”. Come custode della conoscenza antica, Baghdad aveva tradotto Aristotele, Platone, Euclide. La cosiddetta città delle “Mille e una Notte” era un crogiolo di culture dove artigiani, poeti e mercanti erano in grado di trovare un punto di incontro attraverso la loro lingua comune, l’Arabo. Nel XIII secolo, 12.000 mongoli a cavallo sotto il comando di Hulagu-Khan, nipote di Gengis Khan assediarono la città per 17 giorni. Baghdad non riconquistò più il suo splendore intellettuale, né la sua magnificenza.

Il tempio di Naga in Nubia, la terra dei faraoni neri

Il tempio di Naga in Nubia, la terra dei faraoni neri

Sempre sabato 18 Aprile, ma nel pomeriggio, alle 17.30, proiezione del film “Sulle tracce dei faraoni neri”, produzione svizzera del regista Stéphane Goël con la consulenza scientifica di Charles Bonnet, uno dei più eminenti archeologi europei, che ha trascorso 40 anni della sua vita passando al setaccio le sabbie del Sudan settentrionale. Qui, la guerra civile pluridecennale che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime, l’instabilità politica, la siccità e la povertà hanno favorito gli scavi clandestini nel deserto e quindi il commercio illegale di reperti, una vera e propria “corsa all’oro” per la sopravvivenza. Il lavoro di Charles Bonnet ha conferito una nuova importanza alla civiltà nubiana, quella dei famosi “faraoni neri”, e a Kerma, la prima capitale del grande impero nubiano. Segue il film francese di Karel Prokop “Allarme per il saccheggio del regno di Saba”. Nel nord dello Yemen, non lontano dalla città di Mareb, che nel 1000 avanti Cristo era la capitale del mitico regno di Saba, si trova una regione desertica chiamata Jawf. Questo territorio, ritenuto pericoloso e solo parzialmente controllato dal potere centrale, è attualmente teatro di saccheggi in grande scala di resti pre-islamici perpetrati dalle tribù locali con la complicità di trafficanti internazionali di antichità.

Tur Abdin è il nome della patria dei cristiani aramei della Turchia sud-orientale, vicino al confine siriano

Tur Abdin è il nome della patria dei cristiani aramei della Turchia sud-orientale, vicino al confine siriano

Si arriva così al terzo e ultimo giorno della rassegna. Alle 15.30 il pomeriggio inizia con il film “Il ritorno del popolo arameo” di Ania Reiss, una produzione turco-tedesca. “Tur Abdin” è il nome della patria dei cristiani aramei della Turchia sud-orientale, nei pressi del confine siriano. Un tempo importante centro cristiano, è oggi occupato da un’esigua minoranza di cristiani aramei. Molti sono fuggiti da guerra, violenza e repressioni verso la Germania. Alcuni Aramei esiliati decidono adesso di tornare per salvare il loro patrimonio culturale e ricostruire i villaggi. Li seguiamo nel loro rientro in patria, documentando la lotta per la salvezza della loro cultura millenaria. Chiude la rassegna il film palestinese “Saccheggiando la Terra Santa” di Mariam Shahin. Dal 1967 moltissimi reperti sono stati rimossi dalle terre palestinesi occupate ed esposti nei musei israeliani e in collezioni private, o venduti ai turisti. L’archeologia è stato un elemento chiave usato da Israele per affermare le proprie pretese territoriali sulla Palestina. D’altra parte i palestinesi considerano il patrimonio culturale della West Bank, di Gerusalemme e di Gaza fondamentale per la loro storia e per la costruzione di un’economia pacifica basata sul turismo e il pellegrinaggio. Il fatto che Israele rimuova questi reperti è un caso di salvaguardia culturale, come essa sostiene, o il furto di un’eredità? E qual è il ruolo dell’archeologia nella disputa arabo-israeliana?

Baghdad riapre il museo archeologico mentre a Mosul si contano i danni: condanna unanime dello sfregio dell’Isis ai reperti partici da Hatra e assiri da Ninive. Molte erano copie

I miliziani dell'Isis si accaniscono contro i tesori del museo di Mosul in Iraq

I miliziani dell’Isis si accaniscono contro i tesori preislamici del museo di Mosul in Iraq

Baghdad rivive mentre Mosul muore. Le autorità irachene hanno ufficialmente riaperto al 1° marzo il museo nazionale di Baghdad, in Iraq. Era chiuso da dodici anni e il suo patrimonio era stato danneggiato dai saccheggi causati dalla guerra del 2003. Si stima che solo un terzo dei circa quindicimila reperti trafugati siano stati recuperati negli anni successivi. Una buona notizia certamente, una risposta chiara e decisa delle autorità irachene a quanto successo a Mosul, con la distruzione da parte dell’Isis delle testimonianze delle civiltà preislamiche, dall’assira alla partica. “Quell’evento – sottolineano – ha ricordato brutalmente alla comunità internazionale i rischi del patrimonio artistico nelle zone mediorientali ancora devastate dalla guerra”. E il presidente del Parlamento iracheno, Salim al Jubury: “Queste forze delle tenebre provano ad essere nemici del presente, del futuro e del passato dell’Iraq”. Mentre il vice presidente della Repubblica, Osama al Nujaify, non ha dubbi: “Ora il popolo attende il segnale per liberare Mosul dagli invasori che l’hanno inquinata. Quanto avvenuto a Mosul va oltre la capacità di descrivere la barbarie e l’orrore”.

I proclami degli jihadisti a giustificazione dello scempio fatto a Mosul hanno fatto il giro del mondo

I proclami degli jihadisti a giustificazione dello scempio fatto a Mosul hanno fatto il giro del mondo

2001: i talebani fanno saltare con l'esplosivo i budda di Bamiyan

2001: i talebani fanno saltare i budda di Bamiyan

Orrore e sgomento. Sono immagini di una violenza insensata e scioccante, quelle che hanno fatto il giro del mondo. Cinque minuti di video diffusi dall’Isis in cui miliziani jihadisti, uomini barbuti e donne in chador nero, si sono accaniti contro “i simboli pagani, idoli venerati invece di Allah da gente che viveva nei secoli passati”, abbattendo e dandosi metodicamente alla distruzione di statue e bassorilievi conservati nel museo di Mosul, dove sono custoditi i reperti di Ninive, l’antica capitale dell’impero assiro. E questo è solo l’ultimo episodio – ma forse il più grave – di una campagna contro le vestigia del passato in nome di una presunta purezza islamica portata avanti dai miliziani del Califfato su imitazione dei Taleban che nel 2001 fecero saltare in aria le gigantesche statue del Buddha a Bamiyan, in Afghanistan, tra lo sconcerto della comunità internazionale. Dopo avere conquistato Mosul e la circostante piana di Ninive con una fulminea offensiva nel giugno dello scorso anno, l’Isis ha bruciato migliaia di libri sottratti alle biblioteche, improvvisando roghi nelle piazze, ha danneggiato una parte della cinta muraria di Ninive, ha distrutto con l’esplosivo moschee e chiese meta di pellegrinaggi considerati eretici. Le statue vengono abbattute con rabbia dai loro piedistalli, per essere poi decapitate e distrutte a colpi di mazza o con l’uso di martelli pneumatici.

L'abbattimento di una statua conservata nel museo di Mosul in Iraq

L’abbattimento di una statua conservata nel museo di Mosul in Iraq

Francesco Rutelli promuove la campagna internazionale per la salvaguardia del patrimonio a rischio

Francesco Rutelli promuove la campagna internazionale per la salvaguardia del patrimonio a rischio

Immediata e generale l’indignazione della comunità internazionale, non solo del mondo accademico. L’Unesco ha condannato con forza la distruzione a picconate di statue e altri manufatti del museo di Mosul da parte dell’Isis e chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza (Cds) per la protezione delle tradizioni culturali dell’Iraq come «elemento essenziale» per la sicurezza del Paese. «È stato un deliberato attacco alla storia e alla cultura millenaria dell’Iraq», ha detto la direttrice dell’agenzia Onu Irina Bokova secondo cui questo ultimo atto di vandalismo «è molto più di una tragedia per la cultura, è un problema di sicurezza dal momento che alimenta violenza settaria, estremismo e conflitti». La Bokova ha detto di aver investito il Consiglio di Sicurezza invocando la risoluzione 2199 sui finanziamenti illeciti all’Isis approvata di recente dai Quindici. Sono infatti numerose le denunce secondo le quali i jihadisti si sono impadroniti di antichi reperti o hanno addirittura effettuato scavi clandestini per rivendere sul mercato nero tutto ciò che trovavano come una delle principali fonti di finanziamento per la ‘guerra santa’, accanto al petrolio. “Occorre una ‘Coalizione di Civiltà’ contro l’ISIS, che unisca, con l’Occidente e i Paesi emergenti, le nazioni arabe ed islamiche”, interviene Francesco Rutelli, che da quasi due anni sta promuovendo una Campagna Internazionale per la salvaguardia del patrimonio culturale a rischio. “Stiamo denunciando un aspetto cruciale della deriva islamista-fondamentalista: la deliberata distruzione del Patrimonio Culturale come strumento di potere politico-ideologico-religioso-terroristico. Questa nostra azione è stata dapprima ignorata – a partire dall’Unione Europea, dove la signora Ashton non ha voluto fare assolutamente nulla – in ragione di una malintesa contrapposizione al dittatore siriano Assad. Un immobilismo demenziale, incapace di cogliere la gravità della minaccia e delle distruzioni in Siria, quindi tragicamente dilagate in Iraq. Con la nostra Campagna per la Salvezza del Patrimonio minacciato – grazie all’impegno di prestigiosi studiosi guidati da Paolo Matthiae (che recentemente ha rilanciato l’appello da Tourisma, il salone internazionale dell’archeologia. Vedi: https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2015/02/21/paolo-matthiae-lo-scopritore-di-ebla-premiato-a-tourisma-da-dove-lancia-un-grido-di-dolore-per-la-siria-e-poi-ammonisce-larcheologia-del-vicino-oriente-e-finita-in-futuro-non-sa/) – abbiamo denunciato tre crisi gravissime: la distruzione del Patrimonio dell’umanità in teatri di battaglia, gli scavi illegali e traffico illecito di Patrimonio archeologico, sia per finanziare la sussistenza, sia l’armamento dei gruppi islamisti e, infine, il ritorno dell’iconoclastia, ovvero la distruzione deliberata da parte dell’ISIS delle tracce delle culture additate come diverse, o perverse (riesumando il modello nazista hitleriano)”. E conclude amaro: “Chi uccide la Memoria unica ed irripetibile dell’Umanità, non compie opera meno grave dell’uccisione, dello stupro, del rapimento, della conduzione in schiavitù degli esseri umani. Forse, la diffusione deliberata di queste immagini di Mosul da parte dell’ISIS, con la sua sprezzante immonda arroganza, farà risvegliare qualche anima bella che negli ultimi anni ha preferito far finta di non sapere e non vedere, per non dover agire”.

Le mura ricostruite di Ninive sarebbero state danneggiate dall'Isis

Le mura ricostruite di Ninive sarebbero state danneggiate dall’Isis

Il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini affiderà a una commissione la risposta definitiva

Il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini

Condanna unanime. Se il presidente francese, Francois Hollande, a margine della sua visita nelle Filippine, definisce lo sfregio al museo di Mosul “un atto di barbarie”, il ministro delle antichità della Repubblica d’Egitto, Mamdouh El Damati, a Rovereto per la firma di una convenzione con il Museo civico della città trentina sulla catalogazione fotografica dei siti del Medio Egitto, “atti intollerabili di vandalismo”. Investito dall’Unesco che ne ha chiesto una riunione urgente, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha condannato “con forza” i “barbarici atti di terrorismo” attribuiti all’Isis che includono rapimenti, uccisioni e la “deliberata distruzione di insostituibili manufatti religiosi e culturali del Museo di Mosul” e il rogo di migliaia di libri e manoscritti rari dalla biblioteca di quella città. Thomas Campbell, il direttore del Metropolitan Museum che nelle sue raccolte ospita una importante collezione di arte mesopotamica: “A nome del Metropolitan, un museo che nelle sue raccolte protegge e mostra con orgoglio opere d’arte della Mesopotamia antica e islamica, condanniamo con forza questo atto di catastrofica distruzione inferta a uno dei più importanti musei del mondo, l’attacco insensato non colpisce tragicamente solo Mosul ma il nostro impegno universale a usare l’arte per unire i popoli e promuovere la comprensione umana”. E il ministro italiano ai Beni culturali, Dario Franceschini: “Dopo la violenza atroce sulle persone, ora la follia cieca e distruttrice dell’Isis sulle statue assire a Mosul, patrimonio di tutta l’umanità”.

Secondo gli esperti molte delle opere distrutte a Mosul erano copie: gli originali sarebbero a Baghdad

Secondo gli esperti molte delle opere distrutte a Mosul erano copie: gli originali sarebbero a Baghdad

Ma cosa è andato veramente distrutto a Mosul? Il museo di Mosul è/era uno dei principali del paese, dopo quello di Baghdad, e uno dei più importanti del Medio Oriente. Era articolato in quattro sezioni, dedicate all’arte islamica, preistorica, assira e partica. Nel 2003, nelle prime fasi della guerra in Iraq, molti reperti vennero rubati o danneggiati. Quello stesso anno il personale del museo trasportò 1500 reperti al museo di Baghdad. Ci sono poche informazioni su che cosa sia stato del museo tra il 2009 e oggi, dice l’Arca, associazione con attività in Italia e negli Stati Uniti che si occupa della tutela del patrimonio artistico. Proprio da Baghdad, fonti della commissione nazionale per il patrimonio culturale hanno detto che parte dei reperti del museo di Mosul distrutti nel video diffuso dall’Isis erano copie e che gli originali sono custoditi al Museo iracheno della capitale o all’estero. Altri pezzi erano invece originali, ma le autorità non precisano la loro quantità. Il filmato, diffuso dall’Isis, è “devastante” secondo Daniele Morandi Bonacossi, docente di archeologia all’università di Udine e direttore della missione archeologica “Terra di Ninive” nel nord Iraq. “I nostri riferimenti a Mosul sono stati costretti ad andare via. I loro dipartimenti sono stati chiusi. Senza lavoro e sotto minaccia sono ora lontani dalla città”, afferma Morandi Bonacossi con una lunga esperienza di scavi e ricerche in Siria e Iraq. “Ero a Dohuk (in Kurdistan iracheno) quando due settimane fa abbiamo appreso la notizia della distruzione di un tratto delle mura di Ninive. Ma nessuno può confermare questo fatto”.

A colpi di martello contro un lamassu (toro alato androcefalo) da Ninive

A colpi di martello contro un lamassu (toro alato androcefalo) da Ninive

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Daniele Morandi Bonacossi (univ. di Udine) in Iraq con Gil J. Stein (Oriental Institute of Chicago)

Sui danni inflitti dall’Isis al museo di Mosul e al sito di Ninive, il docente dell’ateneo friulano afferma che alcune delle statue distrutte sono copie in gesso di statue di epoca partica (secondo secolo a.C. – primo secolo d.C.), provenienti dal sito di Hatra, a circa 100 km a sud ovest di Mosul e scavato in passato da una missione dell’università di Torino. Altri pezzi erano invece originali, come conferma Morandi Bonacossi. “Ci sono molte statue originali di calcare, che rappresentano divinità e sovrani”.  Sul sito di Ninive, i jihadisti hanno distrutto con diabolica metodicità delle statue colossali che rappresentano tori androcefali di epoca assira. Nel filmato dell’Isis si vede in particolare la distruzione di due «lamassu» (così venivano chiamati in assiro) posti accanto a una delle 15 porte di Ninive, quella dedicata al dio Nergal. Sul valore commerciale di queste statue il docente italiano non può esprimersi: “Il loro valore è incalcolabile. Ma non sarebbe possibile per i jihadisti metterle sul mercato. Sono statue che pesano centinaia di tonnellate e c’è bisogno di uno sforzo logistico enorme per poterle rimuovere da dove si trovano. È più probabile – conclude Morandi Bonacossi – che l’Isis abbia venduto gli oggetti più piccoli e abbia invece distrutto le statue che non avrebbe potuto piazzare nel mercato nero”.

Le straordinarie vestigia di Hatra, la città partica nel nord dell'Iraq

Le straordinarie vestigia di Hatra, la città partica nel nord dell’Iraq

Nelle prime ricostruzioni giornalistiche si è parlato soprattutto dei reperti artistici che risalgono al periodo assiro-babilonese, ma nel video la maggioranza delle opere distrutte sembra provenire dal sito archeologico di Hatra, città-stato alleata dell’impero partico, e risalgono per lo più al II-III secolo dopo Cristo. L’impero dei Parti si sviluppò tra il III secolo avanti Cristo e il III secolo d.C. e si estendeva, al momento della sua massima espansione, nei territori degli odierni Iran, Iraq e sulle coste orientali della penisola arabica.