L’Antico Egitto non finì col suicidio di Cleopatra, ma per l’effetto disastroso di eruzioni vulcaniche (forse in Islanda): niente pioggia sugli altopiani etiopici, niente benefica piena del Nilo. L’ipotesi formulata dal team del prof. Ludlow del Trinity College di Dublino e pubblicata su “Nature”

Le piramidi della piana di Giza in Egitto: nei secoli sono state il simbolo della civiltà dei faraoni
Non fu il morso di un aspide sul seno di Cleopatra a porre fine alla millenaria storia del Regno d’Egitto, ma l’effetto catastrofico di più di due secoli di eruzioni vulcaniche, anche distanti migliaia di chilometri dal grande fiume, sulle piene annuali del Nilo. Con buona pace del grande drammaturgo William Shakespeare che ha reso immortale nel suo “Antonio e Cleopatra” il melodramma di Cleopatra, tra Cesare e Marco Antonio. A queste conclusioni sono giunti gli scienziati coordinati da Francis Ludlow del Trinity College di Dublino (Irlanda) che hanno pubblicato la loro ricerca con le nuove ipotesi il 17 ottobre 2017 su Nature. Infatti durante il regno dei Tolomei in Egitto, iniziato nel 305 a.C. con il generale macedone Tolomeo e conclusosi nel 30 a.C. con la morte di Cleopatra VII e l’annessione dell’Egitto a Roma, le ceneri prodotte dall’eruzione di vulcani, probabilmente islandesi anche se non c’è la sicurezza matematica, e trasportate dai venti sull’Africa sub-sahariana avrebbero causato una drastica diminuzione delle piogge, con la conseguente contrazione dell’annuale piena del Nilo che per millenni ha regolato la vita degli antichi egizi, garantendone la prosperità. L’effetto sarebbero state ripetute carestie, lunghi periodi di privazioni, che provocarono rivolte tra la popolazione. I ricercatori irlandesi sono prudenti, ma dai dati raccolti le continue guerre a Oriente con i Seleucidi, i conquistatori ellenistici dell’impero persiano, e le ripartizioni di terre incolte – registrate dai papiri – potrebbero essere lette in modo diverso: come un modo per far fronte alla necessità di approvvigionarsi di derrate di cereali in Siria e Anatolia o garantire alla popolazione stremata nuovi appezzamenti.

Carotaggi in Antartide: i ricercatori del Trinity College di Dublino sono riusciti a ricostruire la sequenza delle eruzioni vulcaniche nell’arco di alcuni millenni
Ma su quali basi scientifiche l’équipe del prof. Ludlow è giunta a queste conclusioni? Fonti storiche, insieme a prospezioni e analisi con le più sofisticate tecnologie. E tutto è cominciato molto lontano dalla valle del Nilo: in Groenlandia e in Antartide. Proprio i ghiacci conservano e sigillano in microscopiche bolle d’aria le particelle in sospensione nell’atmosfera. E quindi – se ci sono – anche le ceneri vulcaniche. Grazie a speciali carotaggi è stato così possibile ricreare una sequenza cronologica degli eventi climatici nei millenni e datare le eruzioni vulcaniche. Questi dati poi sono stati incrociati con le informazioni storiche disponibili: innanzitutto il nilometro islamico, che riporta registrazioni sistematiche dei livelli del Nilo dal 622 d.C. (anno dell’invasione araba) al 1902, quando fu inaugurata dai britannici la prima diga di Assuan che in pratica annullò le piene annuali. E poi le testimonianze riportate dagli antichi papiri: testi amministrativi e decreti sacerdotali. “L’Egitto tolemaico era una delle superpotenze dell’epoca meglio documentate”, spiegano i ricercatori. “Possiamo quindi vedere quali provvedimenti presero all’insorgere di rivolte o la relazione tra le guerre contro la grande potenza rivale, l’impero dei Seleucidi, e l’effetto delle eruzioni vulcaniche”.
Il Nilo, circa 6825 chilometri di lunghezza, è tra i grandi fiumi della Terra, alimentato da piogge nella fascia equatoriale dell’Africa (principalmente attraverso il Nilo Bianco) e gli altopiani etiopici (soprattutto attraverso il Nilo Azzurro). Prima del XX secolo, l’inondazione estiva, legata principalmente alle piogge monsoniche negli altopiani etiopici, cominciava con l’osservazione della crescita delle acque ad Assuan già da giugno, per arrivare ai livelli massimi tra agosto e settembre, e poi a decrescere progressivamente entro la fine di ottobre. Finora gli effetti negativi delle eruzioni vulcaniche sulle piene sono stati poco studiati anche se ci sono conferme che imponenti eruzioni vulcaniche (anche geograficamente molto distanti dal grande fiume) possano alterare il ciclo delle inondazioni del Nilo: fatti accertati, per esempio, in concomitanza con le eruzioni dell’Eldgjá (Islanda, nel 939), del Laki (Islanda, 1783-’84) e del Katmai (Alaska, 1912). Gli scienziati spiegano così questo fenomeno: quando si verificano importanti eruzioni esplosive la quantità di particelle che arriva fino alla troposfera, ossia nell’atmosfera più alta, è tale da ridurre in modo significativo la radiazione solare, con conseguenze sul clima, e quindi sulla piovosità e sulle piene dei grandi fiumi.
I papiri nel regno tolemaico. “Abbiamo esaminato la tempistica e la frequenza delle guerre avviate dai Tolomei”, spiegano i ricercatori su Nature, “e l’emissione di decreti sacerdotali in relazione agli anni di eruzione, nonché la tempistica e la frequenza dell’insorgere della rivolta contro la cosiddetta regola tolemaica (un sistema di tassazione che si rifà al mondo greco) e le vendite di terreni usualmente di successione ereditaria”. Papiri e iscrizioni segnalano rivolte di diversa gravità ed estensione che hanno portato minor gettito fiscale, come durante la grande rivolta di Tebe del 207 a.C. durata 20 anni. “Queste rivolte – sottolineano – sono generalmente considerate rivolte nazionaliste da parte degli egiziani che risentono della regola greco-tolemaica e/o della pesante tassazione statale, e sono raramente considerati in relazione alle sollecitazioni socioeconomiche dopo la mancata piena del Nilo. Non è un caso che ci sia un picco di scoppi di rivolte proprio negli anni successivi alle mancate piene del Nilo, anche se qualche volta alcune di queste proteste sono state ritardate o prevenute grazie all’intervento statale, come nel caso proprio di Cleopatra che fece elargizioni di grano dalle riserve statali durante le crisi dovute alle mancate piene del Nilo nel 46 e 44 a.C.”.
Terza guerra siriaca (246 – 241 a.C.). Le fonti storiche restituiscono molte informazioni sulla guerra intrapresa da Tolomeo III Evergete contro Seleuco II, riuscendo a fare dell’Egitto la maggiore potenza militare del Mediterraneo. Una vittoria cui Tolomeo non fece seguire altri conflitti, togliendo fondi all’esercito che, alla fine del suo regno, risultò molto indebolito. Forse – dicono i ricercatori irlandesi – sono state altre le motivazioni che hanno indotto Tolomeo III a non forzare la mano: per esempio, le due grandi eruzioni vulcaniche registrate nel 247 e 244 a.C. Lo storico romano Giustino scriveva, qualche secolo dopo, che se Tolomeo III “non fosse stato richiamato in Egitto per problemi interni [egli avrebbe conquistato tutti i territori dei Seleucidi], essendo giunto a est dell’Eufrate fino a Babilonia in una campagna di grande successo”. Quali saranno stati questi “problemi interni”? Ce lo rivela un papiro coevo, cioè del III sec. a.C., che fa sapere che Tolomeo III rientrò in patria per affrontare “la rivolta egiziana”.
C’è poi il decreto sacerdotale di Canopo, scolpito su una stele nel 238 a.C. Si tratta di un decreto dei sacerdoti egizi in onore di Tolomeo III e della regina Berenice scritto in due lingue con tre scritture: il geroglifico, il demotico e il greco. L’iscrizione, tra l’altro, esalta il successo del re nel reprimere le insurrezioni dei nativi egiziani, operazione che viene definita “mantenere la pace”, con interventi su vasta scala finanziati con i fondi stornati dalla guerra di Siria, chiusa nel 241 a.C. e ricorda che durante un anno di limitate inondazioni il governo ha annullato le tasse, e importato grano dall’estero. Infine c’è il caso delle vendite di terreni al di fuori della famiglia. Gli egittologi ci ricordano che la proprietà privata passava di generazione in generazione all’interno delle famiglie, un modo per rispondere alle molte imposte che gravavano sui terreni. “Nelle nostre ricerche”, scrivono i ricercatori su Nature, “abbiamo riscontrato un sensibile aumento di terreni dopo un’eruzione. Ciò suggerisce una risposta alla mancata piena del Nilo causata da un’eruzione vulcanica da parte di famiglie che probabilmente si trovavano costrette a vendere le terre private impoverite da scarsi rendimenti del raccolto e in difficoltà a onorare imposte e altri obblighi”. E continuano: “Torniamo a focalizzarci sulla rivolta tebana del 207 a.C. che segue di due anni un’eruzione in area tropicale. Un papiro riporta che “al momento della rivolta … la maggior parte degli agricoltori sono stati uccisi e la terra è andata a seccare … quando … [questo] … è stato registrato come terra senza proprietari, … i sopravvissuti hanno preso la terra … I loro nomi sono sconosciuti e quindi nessuno per questa terra paga le tasse al tesoro …”. I nostri risultati suggeriscono inoltre che l’intervento statale nelle aste sul terreno rappresenta un’ulteriore strategia di copertura economica a livello statale per restituire la terra alla produzione e quindi renderla imponibile alla tassazione dopo la mancata piena del Nilo e la relativa instabilità sociale”. Mentre la dinastia tolemaica si sarebbe conclusa ufficialmente con il suicidio di Cleopatra nel 30 a.C., dopo la sconfitta navale di Roma ad Azio nel 31 a.C., il team irlandese ipotizza che l’Egitto in realtà fosse giunto alla fine del decennio precedente fortemente penalizzato da ripetute mancate piene del Nilo, carestia, peste, inflazione, corruzione amministrativa, spopolamento rurale, migrazione e abbandono delle terre. Un decennio che ha sperimentato, nel 44 a.C., la terza più grande eruzione degli ultimi 2500 anni.
Gli archeologi dell’università di Bologna dopo oltre 80 anni tornano a scavare in Albania nell’antica Butrinto, centro ellenistico e colonia romana dell’Epiro che sorge a pochi chilometri dal confine con la Grecia
Secondo Virgilio venne fondata dal profeta troiano Eleno, figlio del re Priamo, che dopo la caduta di Troia sposò Andromaca e si spostò a occidente. Lo storico Dionigi di Alicarnasso ricorda invece che lo stesso Enea visitò la città dopo che anche lui era fuggito dalla distruzione di Troia. Parliamo dell’antica città di Butrinto, centro ellenistico e romano a pochi chilometri dal confine con la Grecia in quella regione che in antico si chiamava Epiro e oggi appartiene all’Albania. È qui che da settembre scaveranno gli archeologi italiani dell’università di Bologna: il Consiglio Nazionale di Archeologia del Ministero della Cultura della Repubblica di Albania ha infatti approvato il progetto dell’ateneo felsineo per lo studio e lo scavo di un importante edificio sacro della città ellenistica e romana di Butrinto. Qui aveva condotto ricerche importanti e molto fruttuose, fra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, un altro “bolognese”: Luigi Ugolini, laureato in Archeologia proprio a Bologna nel 1921. Poi la seconda guerra mondiale pose fine a quei lavori, ripresi successivamente da archeologi albanesi, inglesi e americani.

Il sito archeologico di Butrinto posto in posizione strategica nel braccio di mare dell’isola di Corfù
Butrinto in origine era una città dell’Epiro, con contatti con la colonia greca di Corfù e le tribù dell’Illiria a nord. I resti archeologici più antichi datano ad un periodo compreso fra il X e l’VIII secolo a.C. Dal IV secolo a.C. crebbe in importanza: di questo periodo sono un teatro, un tempio ad Asclepio ed un’agorà. Nel 228 a.C. Butrinto divenne protettorato romano insieme a Corfù, e successivamente divenne parte della provincia dell’Illyricum. Nel 44 a.C. Cesare designò Butrinto come colonia per ricompensare i soldati che avevano combattuto per lui contro Pompeo, tuttavia il proprietario terriero locale Tito Pomponio Attico si oppose al suo corrispondente Cicerone, che stava agendo nel Senato romano, contro il piano. Come risultato, pochi coloni si spostarono a Butrinto. Nel 31 a.C. L’imperatore Augusto, fresco vincitore della Battaglia di Azio contro Marco Antonio e Cleopatra, rimise in vigore il piano per fare di Butrinto una colonia di veterani. I nuovi residenti espansero la città e, fra l’altro, costruirono un acquedotto, le terme, un foro e un ninfeo. Nel III secolo d.C. gran parte della città venne distrutta da un terremoto, che rase al suolo parecchi edifici del foro e dei dintorni. Gli scavi archeologici hanno rivelato che la città era già in declino e stava diventando un centro manifatturiero, anche se la città sopravvisse comunque e divenne un porto molto importante. All’inizio del VI secolo Butrinto divenne un vescovato e vennero costruiti nuovi edifici come il battistero (uno dei più grandi dell’epoca paleocristiana) e la basilica. L’imperatore Giustiniano rafforzò le mura della città, che però venne saccheggiata nel 550 dagli Ostrogoti guidati dal re Totila. Gli scavi evidenziano che le importazioni di beni dal Vicino Oriente continuarono fino agli inizi del VII secolo, quando i Bizantini persero il controllo della zona. Butrinto segue così la stessa sorte di gran parte delle città balcaniche dell’epoca, dove la fine del VI e l’inizio del VII secolo sono uno spartiacque fra l’età romana e il medioevo.
I primi scavi archeologici cominciarono nel 1928 quando il governo fascista di Mussolini mandò una spedizione verso Butrinto. Gli scopi oltre che scientifici avevano anche ragioni geopolitiche, puntando ad estendere l’egemonia italiana nella zona. La spedizione era condotta da un archeologo italiano, Luigi Maria Ugolini, che fece un ottimo lavoro. Ugolini morì nel 1936, ma gli scavi continuarono fino al 1943, quando furono fermati dalla seconda guerra mondiale. Vennero riportate alla luce la città romana e la città ellenistica, comprese la porta dei leoni e le porte scee, chiamate così da Ugolini in ricordo delle famose porte di Troia nominate nell’Iliade di Omero. Dopo che il governo comunista di Enver Hoxha prese il potere nel 1944, le missioni archeologiche straniere vennero bandite. Il lavoro venne proseguito da archeologi albanesi, fra i quali Hasan Ceka. Negli anni Settanta l’Istituto Albanese di Archeologia intraprese una campagna di scavi su larga scala. A partire dal 1993 un’equipe di archeologi inglesi, guidati dal prof. Richard Hodges (University of East Anglia, Penn Museum) ha ripreso le ricerche archeologiche all’interno della città di Butrinto e nel vicino suburbio di Vrina. Gli scavi hanno riportato alla luce i resti del Triconch Palace, l’area capitolina e forense, una torre tardoantica riusata nel periodo altomedievale come residenza, numerosi cimiteri urbani tra cui si segnala quello presso il pozzo di Junia Rufina, assieme a numerose altre strutture. Le indagini presso la pianura di Vrina hanno dimostrato l’esistenza di una colonia romana databile ad età augustea, attraversata da un imponente acquedotto che riforniva la città.
Gli archeologi della Sezione di Archeologia del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Alma Mater, in continuità ideale con quelle passate ricerche, tornano dunque in questo sito importante e bellissimo, visitato da decine di migliaia di turisti ogni anno, soprattutto meta delle visite dei passeggeri delle molte crociere in navigazione nel mar Ionio che approdano all’isola di Corfù. La missione dell’Alma Mater è diretta da Sandro De Maria, ordinario di Archeologia Classica al Dipartimento di Storia Culture Civiltà, che da quindici anni lavora con i suoi collaboratori in un altro importante sito archeologico albanese: Phoinike (Fenice), città sorta nel IV secolo a.C. e abbandonata al tempo della conquista turca dell’Albania, nella prima metà del XVI secolo. I risultati ottenuti con le ricerche di Phoinike sono stati numerosi e importanti: scavi all’agorà della città ellenistica, al teatro antico, in quartieri di case ellenistiche e romane, nella basilica paleocristiana, nelle necropoli, nei siti minori del territorio. Grazie a questi lunghi anni di intenso lavoro il progetto dell’Alma Mater, che ha come partner l’Istituto Archeologico Albanese di Tirana, si estende ora alla vicina Butrinto, centro santuariale importantissimo in età ellenistica (destinato al culto di Asklepios/Esculapio) e colonia romana dell’età di Augusto.
La nuova zona archeologica a Butrinto sarà oggetto di un progetto di studio e recupero di un’area sacra che sorge al di sopra del teatro, fino ad oggi mai indagata a fondo. Le attività si estenderanno poi a progetti di ricerca, scavo e valorizzazione di più ampio respiro. Gli scavi a Butrinto partiranno il prossimo settembre, in contemporanea con quelli di Phoinike, dove nel corso degli anni sono già passati diverse centinaia di studenti dell’Alma Mater, assieme a loro colleghi albanesi e di altre nazionalità europee, in un progetto di ricerca e formazione specialistica che fin dall’inizio ha goduto del sostegno del Ministero degli Affari Esteri Italiano, nell’ambito delle Missioni Archeologiche Italiane all’estero. Proprio il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione, con la Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese, assicura il sostegno finanziario alla campagna di scavo, a cui si aggiunge il contributo dell’Università di Bologna e del suo Campus di Ravenna, che agevola la partecipazione degli studenti iscritti ai corsi legati alla conservazione dei beni culturali.
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