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In una grotta dell’Australia Occidentale scoperto un insediamento umano di 45mila anni fa, forse il più antico del continente. Ma è minacciato dalle vicine miniere di ferro

Nella grotta di Ganga Maya, nell'Australia Occidentale, il più antico insediamento umano del continente

Nella grotta di Ganga Maya, nell’Australia Occidentale, il più antico insediamento umano del continente

Finora a contendersi la “palma” di più antico insediamento umano in Australia erano quattro siti: Devil’s Lair, una grotta calcarea nel sud-ovest dello Stato dell’Australia Occidentale, con tracce di 41mila-46mila anni fa; il lago Mungo, un lago asciutto nel Willandra Billabong Creek, 43mila anni fa; Nauwalabila, riparo sotto roccia ad Arnhem Land, 200 chilometri a est di Darwin, 40mila anni fa; Malakunanja, riparo sotto roccia 45 chilometri a nord del precedente, 45mila anni dal presente. Siti importanti che potrebbero essere “superati” dalla recente scoperta ancora al vaglio degli esperti. Nuovi scavi archeologici nella grotta di Ganga Maya (che significa “casa sulla collina”), nella regione di Pilbara, nel nord-ovest dell’Australia, hanno infatti portato alla luce segni di un’occupazione umana che secondo la datazione al carbonio risalirebbe a oltre 45mila anni fa, la più antica finora conosciuta nel continente. La scoperta di manufatti, ossa di animali e carbone è ora oggetto di una relazione scientifica in via di pubblicazione. Il ritrovamento di questo insediamento, che si trova vicino a una miniera attiva di ferro, è particolarmente significativo perché si crede che la caverna sia stata occupata in continuazione anche durante l’era glaciale, fra 22mila e 18mila anni fa, e poi fino a circa 1700 anni fa, spiega la direttrice di archeologia di Big Island Research, Kate Morse.

Nauwalabila, insediamento di 40mila anni fa, in un riparo sotto roccia ad Arnhem Land, 200 chilometri a est di Darwin

Nauwalabila, insediamento di 40mila anni fa, in un riparo sotto roccia ad Arnhem Land, 200 chilometri a est di Darwin

L’archeologa però rimane cauta nel fare affermazioni sul significato del sito, dato che finora sono stati scavati solo 139 cm di profondità per un metro quadrato del sito. “Abbiamo ottenuto solo la data di un manufatto e preferirei ottenere altre datazioni prima di fare questo tipo di affermazioni. È certamente un luogo molto antico.  Penso che sia una zona che l’uomo ha utilizzato prima di spingersi nell’esplorazione dell’Australia”, continua la Morse. “Era partito dal sudest asiatico e, attraverso l’oceano, era arrivato nel nord dell’Australia e da qui si era avventurato nel grande continente procedendo lungo i sistemi fluviali dell’entroterra”. All’interno del sito sono stati trovati manufatti di pietra, ossa animali e carbonella. “Abbiamo analizzato l’osso per capire se si tratti di resti di cibo o di animali morti nella grotta. Il fatto che una parte del materiale risulti bruciato ci fa pensare che si tratti probabilmente di cibo”.

L'insegna del lago Mungo in Australia con un insediamento di 43mila anni fa

L’insegna del lago Mungo in Australia con un insediamento di 43mila anni fa

Ma la vicinanza con le miniere di ferro potrebbe compromettere le ricerche future. Il timore dei ricercatori infatti è che le società minerarie Atlas e Yamatji Marlpa Aboriginal Corporation (YMAC), proprietarie della grotta, abbiano intenzione di distruggere il sito al fine di sfruttarne le risorse naturali. Atlas e Ymac dovranno comunque tener conto del fatto che la grotta di Ganga Maya e le zone circostanti non hanno solo un’importanza scientifica, ma rappresentano pure un legame culturale significativo per la gente del posto, tanto da essere ritenuti luoghi sacri. Gli archeologi hanno già programmato un ulteriore scavo a breve. Ma prima si dovrà pianificare con le compagnie minerarie la protezione del sito e la sua gestione futura. Ken Brinsden, amministratore delegato di Atlas, avrebbe dichiarato che la Ganga Maya Cave non sarà in alcun modo compromessa dalle operazioni minerarie. La speranza è che le compagnie mantengano la parola.

 

“Distruzione e recupero”. Il Cairo mette in mostra 200 tesori rubati dai musei dell’Egitto e recuperati nel mondo: tra questi una statua d’oro di Tutankhamon sottratta nel saccheggio del museo Egizio il 28 gennaio 2011

Vetrine rotte: il museo Egizio del Cairo ha subito un saccheggio il 28 gennaio 2011

Vetrine rotte: il museo Egizio del Cairo ha subito un saccheggio il 28 gennaio 2011

I soldati presidiano il museo Egizio del Cairo dopo il saccheggio subito nei giorni più difficili della rivoluzione

I soldati presidiano il museo del Cairo dopo il saccheggio subito nei giorni più difficili della rivoluzione

La statua in legno dorato di Tutankhamon bambino trasportato sulla testa dalla dea Menkaret

La statua in legno dorato di Tutankhamon bambino trasportato sulla testa dalla dea Menkaret

Vergogna, sbigottimento, smarrimento, disperazione, incredulità, angoscia: furono molti i sentimenti che provò il mondo intero vedendo le immagini del saccheggio del museo Egizio del Cairo trasmesse dai notiziari di ogni continente. Dappertutto vetrine sventrate, frammenti di vetri, segni del passaggio dei vandali, statue abbattute e finite in mille pezzi. Uno spettacolo che nessuno avrebbe mai voluto vedere. “Quel giorno, il 28 gennaio 2011”, raccontano le cronache, “la folla di piazza Tahrir era furibonda, incontrollabile. Da 18 giorni si succedevano dimostrazioni oceaniche e sanguinose; ma il regime di Hosni Mubarak sembrava deciso a resistere. Durante uno degli scontri, una colonna di manifestanti riuscì a scacciare i reparti di polizia che proteggevano la sede del partito di governo, e a darle fuoco. Ebbra di vittoria, la gente si riversò verso l’edificio adiacente: il museo Egizio, lo scrigno che custodisce il patrimonio più prezioso del Paese. Prima di rendersi conto di quel che faceva, di recuperare lucidità, la moltitudine aveva sfasciato 13 vetrine, distruggendo non meno di settanta reperti insostituibili”. A inventario completato, il direttore del museo, Tareq al-Awadi, avrebbe contato 54 opere scomparse. Tra queste due splendide statue di legno dorato di Tutankhamen: Tut mentre pesca con un arpione da una barca, e Tut da bambino trasportato sulla testa dalla dea Menkaret. E poi uno scriba, la regina Nefertiti, una principessa, tutti provenienti da tell el-Amarna, il grande sito archeologico nell’Egitto centrale dove Akhenaton fondò la sua nuova capitale. Dal corredo funebre di Yuya, un potente cortigiano di tremila anni fa, erano spariti uno scarabeo funerario, l’amuleto che veniva posto sul petto delle mummie per scongiurare l’asportazione del cuore, e undici “ushabti”, le statuine incaricate di sostituire il defunto nei lavori manuali richiesti nell’aldilà.

Una mummia danneggiata nel saccheggio del museo egizio  del Cairo nel 2011

Una mummia danneggiata nel saccheggio del museo egizio del Cairo nel 2011

Il Tutankhamon d'oro recuperato dopo il saccheggio del 2011 e ora in mostra al museo del Cairo

Il Tutankhamon d’oro recuperato dopo il saccheggio del 2011 e ora in mostra al museo del Cairo

Sono passati tre anni da quel tragico giorno, per fortuna non invano. E mentre i laboratori del museo facevano il possibile per riparare i danni del saccheggio del 28 gennaio 2011, le autorità egiziane hanno avviato una rete di contatti per fermare l’emorragia di preziosi reperti dall’Egitto, sempre più richiesti dal mercato antiquario illegale. E oggi il Cairo può mostrare con orgoglio i suoi tesori rubati e recuperati nella mostra “Distruzione e recupero” aperta per tre mesi al museo Egizio del Cairo, poi ogni tesoro tornerà nel proprio museo di appartenenza: 200 reperti archeologici rubati negli ultimi tre anni in Egitto e recuperati negli ultimi mesi, tra i quali una statuetta d’oro di Tutankhamon. Il ministro egiziano delle Antichità Mohamed Ibrahim, nel presentare la mostra, ha elogiato il lavoro delle forze dell’ordine e gli ambasciatori di Germania, Regno Unito, Spagna, Australia, Cina e Nuova Zelanda per il loro aiuto nel riuscire a far tornare in Egitto i tesori rubati. “Non tutto il bottino, per fortuna, è andato perduto per sempre”, ha ricordato il ministro. “Qualche ora dopo il saccheggio, in una stazione della metropolitana fu trovata una borsa contenente la statua di Tutankhamon a pesca e altri due pezzi sottratti al museo. Menkaret era in un bidone dei rifiuti, ma senza il faraone bambino. Altre opere furono rinvenute o confiscate nei mesi successivi: 140 oggetti dei 200 in esposizione alla mostra sono stati recuperati da diversi Paesi, mentre gli altri 60 sono stati sequestrati dalla polizia del Turismo e delle Antichità, prima che fossero venduti ai ricettatori”. Notevole il lavoro dei restauratori per ricomporre i tesori rubati. Pochi sono infatti i pezzi recuperati integralmente. Fra questi, il Tutankhamon con l’arpione e altre due statue del grande faraone, e la mummia di un bambino, Amenhotep: i saccheggiatori le avevano tagliato la testa, che è stata riattaccata usando le tecniche originarie. Ma una statua d’avorio del faraone Tuthmosi III è ancora parzialmente mutilata.

Tra gli oggetti salvati e ora in mostra ci sono quaranta statuine di arcieri nubiani

Tra gli oggetti salvati e ora in mostra ci sono quaranta statuine di arcieri nubiani

Purtroppo non tutti i tesori spariti sono stati recuperati: mancano all'appello ancora undici "ushabti"

Purtroppo non tutti i tesori spariti sono stati recuperati: mancano all’appello ancora undici “ushabti”

Il lotto più recente è arrivato poche settimane fa, ha aggiunto il ministro Ibrahim, e comprende dieci oggetti che sono stati rubati dal museo Egizio il 28 gennaio del 2011. Ali Ahmed, capo del dipartimento che si occupa del recupero di oggetti rubati del ministero delle Antichità, ha riferito che i dieci elementi sono gli oggetti più significativi della mostra e tra questi c’è proprio la statuetta d’oro di Tutankhamon. Tra gli altri tesori, anche una statua raffigurante la figlia di Akhenaton e 40 gioielli d’oro trafugati dal museo del Malawi a Minya. Fra gli altri oggetti salvati ci sono quaranta statuine di arcieri nubiani, un vaso di vetro policromo, una piccola statua raffigurante uno scriba, una della dea-gatta Bastet, una del faraone Akhenaton, una del dio-toro Apis. Molti pezzi importanti, tuttavia, sono ancora dispersi: come gli “ushabti”, una cintura di lapislazzuli appartenuta alla principessa Miretteamun, un Apis di bronzo. Con ogni probabiilità queste opera sono già all’estero. Le autorità del Cairo hanno fatto bloccare a Gerusalemme un’asta di 126 antichità egiziane, e al governo britannico è stato chiesto di sospendere la vendita di 800 oggetti presenti su Ebay, per consentire esami e ricerche sulla provenienza. Infine una legge che sta per essere approvata in Germania dovrebbe consentire la confisca e il rimpatrio di diversi pezzi presenti nelle case d’asta tedesche.