Torino. Conferenza egittologica on line con i curatori Beppe Moiso e Tommaso Montonati su “Documenti inediti per servire alla Storia del Museo”

Giovedì 6 maggio 2021, alle 18, il museo Egizio di Torino presenta la conferenza egittologica online “Documenti inediti per servire alla Storia del Museo”, tenuta dai curatori Beppe Moiso e Tommaso Montonati. L’incontro, trasmesso live streaming sui canali social del museo Egizio di Torino, sarà introdotto dal direttore del museo Egizio, Christian Greco.

Il titolo della conferenza fa riferimento a un’espressione obsoleta, con cui in passato sono stati indicati degli articoli nei quali si esaminavano o erano presentati per la prima volta documenti utili alla ricostruzione delle consistenze e delle provenienze del Museo, e fondamentali per una completa conoscenza della sua storia. A distanza di oltre un secolo, il ritrovamento di ulteriori documenti, che verranno qui presentati, consente di meglio ricostruire la travagliata storia delle collezioni, che nel tempo mescolandosi hanno creato difficoltà nell’identificazione dei singoli reperti.

Beppe Moiso, curatore del museo Egizio
Beppe Moiso è curatore del museo Egizio. La sua attività principale è rivolta allo studio e alle ricerche archivistiche legate alla formazione della collezione torinese, comprendendo l’intera attività archeologica condotta da E. Schiaparelli e G. Farina. Cura la riproduzione informatica degli archivi cartacei e fotografici per la creazione di una banca dati centralizzata. Si occupa degli scavi condotti a Gebelein e Assiut, riconducibili all’attività svolta da Virginio Rosa nella campagna del 1911.

L’egittologo Tommaso Montonati (foto museo egizio)
Tommaso Montonati è egittologo addetto all’archivio storico del Museo. La sua attività principale consiste nel coordinamento nell’ambito dei progetti di digitalizzazione e studio degli archivi fotografici e storici del Museo, per la creazione di un database centrale. I suoi interessi sono rivolti alla nascita e allo sviluppo della missione archeologica italiana in Egitto, allo studio di strutture e antichità di Medio Regno provenienti dai siti provinciali scavati da Schiaparelli, soprattutto Qau el-Kebir, e alla storia del Museo.
“Dalle Alpi alle Piramidi. Piccole storie di piemontesi illustri”: nella settima clip del museo Egizio protagonista Vercelli e Virginio Rosa, giovane archeologo cui si devono molte scoperte importanti per il museo Egizio
Settima tappa, Vercelli. Il viaggio proposto dal museo Egizio di Torino tocca Vercelli con la settima delle otto clip del progetto “Dalle Alpi alle Piramidi. Piccole storie di piemontesi illustri” in collaborazione con il Centro Studi Piemontesi e il patrocinio della Regione Piemonte. “Vi porteremo in giro per il Piemonte per raccontarvi storie di uomini audaci e appassionati di antico Egitto”, spiegano al museo. “Toccheremo tutte le province piemontesi, incontreremo le storie di personaggi vissuti tanto tempo fa: numismatici, viaggiatori, archeologi, architetti e collezionisti che, “parlando” in piemontese (sottotitolata in italiano), racconteranno perché c’è un museo Egizio proprio a Torino!”. La settima puntata è dedicata a Vercelli e Virginio Rosa (1886-1912), giovane archeologo cui si devono molte scoperte importanti per il Museo Egizio, raccontata in piemontese da Giovanni Tesio dell’università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”. Nel 1910 partì da Genova per la sua prima ed unica spedizione archeologica in Egitto. Le ricerche si svilupperanno nei siti di Gebelein e Assiut, consentendo il ritrovamento di molto materiale archeologico, tra cui le tombe di Iti e Neferu, di Ini e degli Ignoti. Virginio Rosa morirà a soli 26 anni poco tempo dopo il suo rientro in Italia, il 20 febbraio del 1912.

1894, Varallo Sesia, provincia di Vercelli. Un bambino dall’aria disorientata si aggira nelle sale del museo di Scienze Naturali, fondato quasi trent’anni prima da Pietro Calderini, un sacerdote naturalista. Il (fiolin) è Virginio Rosa (1886-1912) che ha perso da poco il papà e con la mamma e suo fratello ha dovuto lasciare la bella casa di Pinerolo, vicino a Torino, per ritornare nella modesta dimora della madre, originaria della Val Sesia. L’unico svago lo trova qui, circondato da migliaia di coleotteri ben ordinati, con un formidabile erbario di oltre mille esemplari di piante e centinaia di reperti archeologici che gli consentono di fantasticare sulla vita in età preistorica, greca e romana. Ed è in una saletta appartata che si accende la passione per l’antico Egitto: il piccolo Virginio è attratto da una mummia di gatto con lo sguardo dolce e da numerosi oggetti che portano la sua immaginazione verso Oriente. È un ragazzo curioso e di talento, torna a Torino per studiare. Si laurea in chimica, scrive di scienza e di storia e si dedica alla botanica, ma la civiltà egizia continua a essere la sua grande passione che coltiva al museo Egizio, diretto da Ernesto Schiaparelli. E sarà proprio l’egittologo a dare una svolta alla sua vita. Virginio Rosa diventa suo collaboratore e nel 1910 parte per l’Egitto, perché è proprio il direttore del museo ad affidargli gli scavi di Gebelein e Assiut: nonostante la sua scarsa esperienza, l’anziano egittologo ha in stima la sua solida formazione scientifica e la sua abilità di fotografo, che sarà preziosa sul campo. È grazie al patrigno Secondo Pia, primo professionista ad aver fotografato la Sindone, che Virginio Rosa è in grado di documentare ogni giornata di scavo e ciascuna scoperta, come la tomba monumentale di Iti e Neferu, decorata con magnifiche pitture. Ai suoi occhi sono come fotografie a colori che raccontano nei particolari la vita e alcuni riti degli antichi egizi. Scoprendo quella tomba pensa al padre e all’aldilà, da cui di certo il genitore veglia su di lui. Lo sente vicino. Virginio è un giovane uomo, con occhi intensi e pieni di meraviglia. Il ritmo dei lavori è estenuante, ma l’entusiasmo e la responsabilità che vive non gli consentono di rallentare, di riposarsi, di prendersi cura di sé. “Vento freddissimo, cielo coperto, di notte piove e di giorno pioviggina”, scrive in una lettera a Schiaparelli confermandogli che comunque gli scavi vanno avanti. Ed è proprio quell’incapacità di sentire la stanchezza che gli toglie la vita. Rientra in Italia già malato e, a soli 26 anni, Virginio Rosa muore, lasciando un’eredità di pochi oggetti ma testimonianze straordinarie, che raccontano ancora oggi le sue imprese e la grandezza di una civiltà immortale.
Commenti recenti