Al museo Archeologico nazionale di Adria, per il ciclo di incontri del gruppo archeologico Adriese, conferenza di Alberto Andreoli su “Luigi Groto e la rappresentazione inaugurale dell’Olimpico”, a corollario della mostra “Lo sguardo del buio. Il Cieco d’Adria e il Tintoretto”

Cinque anni di lavori, dal 1580 quando fu progettato dal sommo architetto Andrea Palladio al completamento delle scene fisse realizzate nel 1585 da Vincenzo Scamozzi: e finalmente, il 3 marzo 1585, l’inaugurazione ufficiale del Teatro Olimpico di Vicenza, il primo e più antico teatro stabile coperto dell’epoca moderna. E per l’occasione fu messo in scena, in una fastosa rappresentazione, l’Edipo Tiranno, volgarizzamento della tragedia sofoclea del veneziano Orsatto Giustinian, opera per la quale erano state realizzate da Vincenzo Scamozzi le prospettive lignee raffiguranti le vie di Tebe, divenute poi fisse e immutabili nel tempo, le uniche d’epoca rinascimentale ad essere giunte fino a noi, peraltro in ottimo stato di conservazione. Sul palcoscenico, tra gli interpreti c’era Luigi Groto, oratore e poeta, nato ad Adria il 7 settembre 1541, morto a Venezia il 13 dicembre 1585, detto il Cieco d’Adria perché perdette la vista otto giorni dopo la nascita. Di questo evento che per Luigi Groto rappresentò il definitivo riconoscimento della sua crescente fama di erudito e letterato, parlerà Alberto Andreoli dell’università di Ferrara nell’incontro dal titolo: “Luigi Groto e la rappresentazione inaugurale dell’Olimpico”: appuntamento domenica 11 ottobre 2020 alle 17 al museo Archeologico nazionale di Adria (Ro). La conferenza è promossa dal gruppo archeologico Adriese “Francesco Antonio Bocchi” nell’ambito del XXXI Ciclo di incontri 2020-2021. Per motivi sanitari gli ingressi saranno contingentati con un massimo di 30 persone di pubblico. Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria allo 042621612.
Secondo l’opinione più diffusa, nell’Edipo Tiranno all’Olimpico Luigi Groto avrebbe interpretato il ruolo del cieco indovino Tiresia, ma si accenna anche al ruolo del re Edipo, e purtroppo né le fonti contemporanee, né gli studiosi moderni, e neppure lo stesso epistolario grotiano sembrano dare risposte certe che permettano di superare il dubbio. Di certo si sa che in una lettera al pittore vicentino Giovanni Battista Maganza, detto il Magagnò, datata 4 giugno 1584, Luigi Groto dice di accettare, entusiasta e riconoscente, l’invito degli Accademici Olimpici a recitare la parte di Tiresia. Più ambigua una lettera di poco più di un mese dopo (22 luglio) nella quale, rispondendo al letterato Camillo Camilli che gli proponeva di impersonare Edipo, l’adriese sembra sostenere che è giusto che un cieco sostenga la parte d’un cieco, ma non dice che ruolo poi in definitiva abbia accettato. Tanto che potrebbero essere addirittura valide entrambe le ipotesti: Groto come Tiresia e Groto come Edipo, perché l’oratore adriese dalla prima inaugurale alla replica di qualche giorno dopo potrebbe essersi scambiato il ruolo con l’accademico vicentino Nicolò Rossi, che figura anche lui tra gli attori principali.

Per saperne di più sulla figura di Luigi Groto si può ancora visitare la mostra “Lo sguardo del buio. Il Cieco d’Adria e il Tintoretto”, visitabile fino al 6 gennaio 2021 al museo Archeologico nazionale di Adria, promossa dal Comune di Adria e dal ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo – Polo museale del Veneto, in collaborazione con la Pro Loco di Adria, la Fondazione scolastica “C. Bocchi” di Adria e l’Accademia dei Concordi di Rovigo, la UICI di Rovigo e il Polo tecnico di Adria per la realizzazione del percorso tattile associato alla mostra. L’allestimento è l’occasione per realizzare un viaggio nell’iconografia del letterato adriese attraverso i ritratti riprodotti nelle sue pubblicazioni ed altre opere che lo rappresentano. La mostra indaga, inoltre, il rapporto esistente tra la figura di Luigi Groto e il modo in cui viene rappresentato nell’iconografia pittorica ponendo un particolare accento sulla sua cecità intesa non come caratteristica debilitante bensì come possibilità di penetrare la realtà. L’obiettivo è quello di porre l’accento sulla sua cecità, intesa non come caratteristica debilitante, bensì come possibilità di penetrare la realtà. Con l’evento adriese si riscopre quindi la figura classica del poeta cieco che, come un indovino, riesce a trascendere il reale per arrivare alla verità insita nelle cose. Un ruolo che Luigi Groto nella vita ricoprì con l’arte del poetare, tanto che gli fu chiesto – come detto – di interpretare Tiresia nel 1585. La richiesta arrivò per l’inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza, con la tragedia Edipo Tiranno di Sofocle, trascritto da Orsatto Giustinian e con musiche di Andrea Gabrieli.
In mostra a Vicenza la riscoperta del teatro Berga, il teatro romano di Vicetia, dai disegni e scavi ottocenteschi del Miglioranza alle immagini di oggi
Il primo a riesumarlo dall’oblio del tempo fu Andrea Palladio. Il teatro romano di Berga a Vicenza era ormai abbandonato da quasi tredici secoli, ma nel borgo a sud-est di quella che fu la Vicetia romana si potevano ancora scorgere tracce dell’antico edificio. Così l’archistar ne tracciò la pianta che fu alla base della conoscenza dell’antico teatro, seguito nel secolo successivo dai rilievi di altri architetti, Ortensio Zago e Ottavio Bertotti Scamozzi. Ma fu solo all’inizio dell’Ottocento con l’architetto vicentino Giovanni Miglioranza che abbiamo la prima indagine metodica sul teatro, cui dedicò della sua vita. Ed è proprio a questo insigne studioso e al monumento scomparso che Vicenza dedica la grande mostra dell’estate “Miglioranza e il Teatro Berga. Disegni dall’800, immagini di oggi”, aperta nello spazio Underground di Palazzo Chiericati fino al 27 settembre a cura di Chiara Signori ed Elena Cimenti con 25 disegni del Miglioranza provenienti dl Gabinetto Stampe e disegni di Palazzo Chiericati e due dalla biblioteca Bertoliana. I disegni illustrano piante, spaccati e prospetti realizzati dall’architetto nell’arco di trent’anni, prima basandosi sullo studio dei pochissimi resti visibili nell’Ottocento e successivamente grazie agli scavi diretti dallo stesso Miglioranza. Buona parte dei fogli esposti sono dedicati infatti ai reperti archeologici rinvenuti proprio durante questi lavori: statue, capitelli, cornicioni delineati dall’architetto, che rivelano le sue doti nel disegno e nel chiaroscuro.

La ricostruzione 3D del Teatro dell’architetto Fabrizio Burtet Fabris basata sui disegni del Miglioranza
Non manca il confronto tra l’ipotesi ricostruttiva del Miglioranza e l’articolazione planimetrica del teatro elaborata alla luce dei risultati degli interventi di scavo, rilievo e restauro delle strutture antiche diretti dalla soprintendenza Archeologia negli ultimi decenni. Questo confronto sarà possibile grazie a un video, realizzato dall’architetto Fabrizio Burtet Fabris, che proporrà inoltre la ricostruzione 3D del Teatro basata sui disegni del Miglioranza. “Questa mostra è una sorta di workshop seminariale, di dimensioni ridotte, che ha la capacità di far comprendere il senso del lavoro di approfondimento e di studio che spesso sfugge al grande pubblico ma che produce interessanti risultati in termini di conoscenza del nostro passato”, spiega il vicesindaco e assessore alla crescita Jacopo Bulgarini d’Elci. “La mostra offre quindi l’opportunità di scoprire aspetti ignoti ed estremamente interessanti di un pezzo di città su cui si ergeva l’antico Teatro Berga, oggi scomparso, ma di cui resta ancora qualche traccia, tra Porton del Luzzo e Palazzo Gualdi, oltre che i reperti conservati al museo Naturalistico e archeologico e i disegni di Miglioranza”.

Una veduta di Borgo Berga oggi a Vicenza: evidente l’andamento del teatro antico nelle case che vi sono state costruite sopra
Il Teatro Berga era il teatro romano di Vicenza, la romana Vicetia, e sorgeva nell’omonimo quartiere del centro storico di Borgo Berga, in corrispondenza degli attuali edifici compresi tra contra’ Santi Apostoli, piazzetta San Giuseppe, contra’ Porton del Luzzo, piazzetta Gualdi, stradella Pozzetto e contra’ Lioy, con la cavea rivolta verso sud e la scena verso nord. In particolare il percorso di contra’ Porton del Luzzo segue l’andamento circolare del perimetro esterno della cavea del teatro. Il teatro, edificato verso la fine del I secolo a.C., si trovava nell’area a sudest del centro cittadino edificata oltre il fiume Retrone e che era collegata con il centro tramite un ponte che sorgeva in corrispondenza dell’attuale ponte San Paolo. Inoltre, nei pressi della cavea confluivano due importanti vie di comunicazione: la strada proveniente da Lonigo e quella proveniente da Costozza. In età Claudia la scena fu arricchita di ulteriori statue di membri della classe imperiale. Il complesso del Teatro Berga, realizzato principalmente con la pietra estratta nelle cave di Costozza, era costituito da una parte meridionale, che includeva il teatro vero e proprio, e una vasta area porticata posta a nord (porticus post scaenam) di circa 70-80 metri. Il diametro esterno della cavea era pari a circa 82 metri. Si stima che il teatro potesse contenere oltre 5000 spettatori. La scena era ornata da statue in marmo, alcune delle quali sono state rinvenute nel corso di scavi e sono conservate nel museo archeologico-naturalistico di Santa Corona di Vicenza, che per l’occasione sarà accessibile gratuitamente ai visitatori della mostra. Il teatro fu utilizzato per le rappresentazioni almeno fino al III secolo d.C.: infatti, esso è citato in un’iscrizione proveniente da Leptis Magna che ricorda gli onori tributati presso il teatro di Vicetia al pantomimo Marco Settimio Aurelio Agrippa (ottenne decurionalia ornamenta, cioè onori da decurione). La prima citazione storica dell’edificio è costituita da un diploma dell’imperatore Ottone III risalente al 1001, con il quale l’imperatore cede la proprietà dell’edificio al vescovo di Vicenza. Dopo esser stato utilizzato come carcere nella seconda metà del XIII secolo, il teatro andò in rovina e su di esso furono poi edificati, verso la prima metà del XVIIII secolo, edifici ad uso abitativo, tuttora esistenti. Mentre è evidente la sua forma, conservata dall’andamento delle strade, si conserva poco della sua struttura. I muri di sostruzione della cavea sono stati in parte inglobati nelle costruzioni successive. Il teatro fu rilevato per la prima volta già da Andrea Palladio, che poté così redigere una pianta dettagliata. Anche altri celebri architetti ebbero modo in seguito di redigere tavole con disegni del teatro.
“Miglioranza cominciò ad esaminare i resti dell’antico teatro vicentino e le fonti sui teatri antichi, dedicandosi in modo particolare a Vitruvio”, spiegano le due curatrici. “Tra il 1824 e il 1831, grazie ai frequenti studi sui resti visibili principalmente nei sotterranei delle case costruite sopra il teatro. Miglioranza realizzò 17 disegni dove mostrava un’immagine del teatro Berga che oggi sappiamo essere poco aderente alla realtà archeologica. In questo primo gruppo di disegni Miglioranza resta vicino alle ipotesi dedotte da Ortensio Zago e, soprattutto ai precetti di Vitruvio”. Nello stesso periodo realizzò la Veduta del Teatro Berga dallo spaccato delle gradinate, una visione scenografica ad acquerello, dove l’autore dimostra le sue doti nel disegno e nel chiaroscuro. Divenuto architetto, nel 1832 Miglioranza presentò i suoi disegni al Vicerè del Lombardo Veneto. Ottenne un sussidio e il parere positivo agli scavi nella zona del teatro. Ebbero così inizio le quattro campagne di lavori, dirette con passione da Miglioranza, sotto il controllo di una commissione nominata dal Comune. Alla fine dei primi due anni di scavo (1838-1839) aveva riportato alla luce i settori orientali della scena e dell’orchestra, oltre ad aver realizzato una galleria che consentiva di vedere i resti ritrovati. “Miglioranza era convinto che il Berga fosse un teatro costruito secondo le proporzioni dettate da Vitruvio”, continuano Signorini e Cimenti, “anche se l’area riportata alla luce non risultava stesa a sufficienza per poterlo affermare”. Durante la terza campagna di scavo (1842-1848), senza grandi risultati, realizzò i 27 disegni sui materiali decorativi ritrovati fino ad allora: statue, capitelli, fregi. “Dopo l’ultima campagna di scavo (1853-1854)”, concludono le curatrici, “disegnò i 5 fogli più importanti risultato degli studi di tutta una vita e anteprima del grande progetto della Illustrazione del Teatro Berga che però non riuscì ma a compiere”.
Il percorso espositivo si conclude con alcune fotografie realizzate da Marco Zorzanello del Centro di Cultura Fotografica, che collegano il passato e il presente del Teatro Berga con uno sguardo contemporaneo reso possibile grazie alla collaborazione delle persone che oggi abitano i palazzi costruiti sui resti del Berga. “Le immagini fotografiche esposte”, interviene Zorzanello, “mostrano realmente e metaforicamente il teatro di oggi. Pur mantenendo intatta la sua forma urbana, nel corso dei secoli questo luogo della città ha subito in modo spontaneo e non programmato, un cambiamento radicale, passando dall’essere un teatro sino a divenire un isolato densamente abitato. In tal modo questo singolare “condominio” è diventato un incredibile palcoscenico dove gli abitanti si muovono come attori dello spettacolo della Storia”.
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