Firenze. Giulia Basilissi, restauratrice al MAF, illustra ad “archeologiavocidalpassato.com” l’intervento di manutenzione sulla Chimera di Arezzo insieme ad alcune curiosità emerse durante l’operazione in laboratorio, prima del nuovo allestimento al museo Archeologico nazionale

La Chimera di Arezzo nella nuova sala allestita al museo Archeologico nazionale di Firenze (foto graziano tavan)

Dal 19 novembre 2025, con l’inaugurazione della nuova sala del MAF, la Chimera di Arezzo – icona e simbolo dell’arte etrusca – ritrova la sua collocazione ideale, grazie a un accurato intervento affidato allo studio fiorentino di architettura Guicciardini & Magni, che lo ha realizzato insieme all’ufficio tecnico e alle curatrici del Museo: un allestimento esperienziale, allo stesso tempo monumentale e poetico, che invita ogni visitatore a un incontro personale con un capolavoro che da secoli incarna il genio artistico e il mito della civiltà etrusca. La scultura, iscritta al numero 1 nell’inventario del Museo, è appartenuta sin dal suo ritrovamento al futuro Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici, diventando subito uno dei pezzi più emblematici e preziosi della collezione medicea (vedi Firenze. Al museo Archeologico nazionale aperta la nuova sala della Chimera di Arezzo, il capolavoro in bronzo dell’arte etrusca: icona e simbolo fin dal suo ritrovamento nel 1553. La presentazione del direttore Maras per “archeologiavocidalpassato” | archeologiavocidalpassato).

Giulia Basilissi, restauratrice (foto maf)

Prima di giungere al nuovo allestimento, la Chimera di Arezzo è stata sottoposta a un accurato intervento di manutenzione curato da Giulia Basilissi, funzionaria restauratrice del museo Archeologico nazionale di Firenze, che lo illustra ad archeologiavocidalpassato.com, insieme ad alcune curiosità emerse durante le operazioni nel laboratorio di restauro “Eminia Caudana” del MAF.

Sono Giulia Basilissi, funzionaria restauratrice del museo Archeologico nazionale di Firenze”, spiega ad archeologiavocdalpassato.com. “Attualmente presso il museo è presente un laboratorio di restauro intitolato a Erminia Caudana, una delle prime restauratrici donne del nostro territorio. Il laboratorio eredita, chiaramente in piccole dimensioni, ciò che è stato il centro di restauro, un’eccellenza per quanto riguarda il restauro dei bronzi. Ben sappiamo che proprio al centro sono stati restaurati i Bronzi di Riace. Attualmente non ci sono le stesse potenzialità di allora – è un altro momento storico – però è stato possibile in occasione del nuovo allestimento della Chimera fare un’attività di manutenzione delle superfici di questo importantissimo bronzo. È stata quindi l’occasione per mappare tutte le aree che devono essere oggetto di manutenzione e controllo nel tempo.

La Chimera di Arezzo nella nuova sala allestita al museo Archeologico nazionale di Firenze (foto graziano tavan)

Lavorando all’interno del museo – continua Basilissi -, il mio compito è quello di controllare lo stato di conservazione. Ma sono stati eseguiti anche alcuni interventi superficiali con metodologia a secco, attraverso varie spugne e pennelli. È stata fatta una microaspirazione, la rimozione di tutto quello che era il deposito meno coerente presente sulla superficie. E si è poi deciso anche di approfondire un po’ l’intervento di pulitura per quanto riguarda la parte della criniera. La Chimera è caratterizzata dalla presenza del “nero lorenese” o delle patinature lorenesi, strati manutentivi che sono stati applicati in passato proprio sui bronzi della nostra collezione. Proprio nell’area della criniera alcune di queste stesure risultavano di rilevante spessore ed erano frammiste anche al deposito che via via si era accumulato sulla superficie. Pertanto è stata fatta una pulitura, abbiamo cercato di approfondire il livello di pulitura, cercando di andare a rimuovere questi depositi che andavano a creare un tono un po’ marrone, un po’ più diverso all’interno della criniera. Non è un intervento molto semplice proprio perché, come è possibile osservare, ci sono moltissime socche sovrapposte che hanno anche una lavorazione molto particolare.

Non si è trattato di un restauro – precisa Basilissi -, ma di una attività di manutenzione. Però uno dei compiti del museo è appunto quello di occuparsi della conservazione, di conservare al meglio i nostri beni. Quindi è soltanto un intervento di “riordino” e il nostro compito è continuare a monitorare la Chimera”.

Adesso la Chimera la vediamo tutta di un medesimo tono, però – assicura Basilissi – siamo certi del fatto che ci fossero delle applicazioni polimateriche che conferivano colore alla Chimera stessa. Certamente c’erano degli inserti in corrispondenza degli occhi. Ci sono alcuni fori che si vedono in corrispondenza della bocca che sicuramente identificano gli agganci dove venivano molto probabilmente dei denti d’argento. Non lo sappiamo, però dal punto di vista tecnologico così sembrerebbe. E poi ci sono delle agemine in rame in corrispondenza delle gocce di sangue della Chimera. Il dato è stato confermato durante l’intervento di manutenzione, soprattutto è stata riosservata la parte delle agemine con il microscopio digitale. E si può osservare la mancanza di una delle gocce. Qui è saltata una delle agemine e quindi questo identifica il fatto che quella parte non è stata realizzata in fusione, ma sono stati fatti degli inserimenti polimaterici. Quindi – conclude Basilissi – i nostri bronzi antichi in realtà erano molto più colorati e polimaterici di quanto ci immaginiamo”.

 

 

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