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Altino (Ve). Al museo Archeologico nazionale visita guidata “Parole e pratiche per la buona sorte: i riti di fondazione” con lo staff del museo nell’ambito di #ParolaalleFonti

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Bronzetto legato ai riti di fondazione conservato al museo Archeologico nazionale di Altino (foto parco archeologico altino)

Come avveniva la fondazione delle città nell’antichità e da quali riti era accompagnata? Se ne parlerà domenica 16 marzo 2025, alle 15.30, al museo Archeologico nazionale di Altino (Ve), durante la visita guidata “Parole e pratiche per la buona sorte: i riti di fondazione” con lo staff del museo, per #ParolaalleFonti, dedicata ai riti di fondazione di edifici importanti o città: i confini, segnati da limiti artificiali oppure naturali, erano sacri e inviolabili a Roma e in tutto l’Impero, e le fonti archeologiche e storiografiche ne attestano l’importanza. La visita è su prenotazione; è gratuita per gli abbonati e inclusa nel biglietto d’ingresso per gli altri. Info e prenotazioni: drm-ven.museoaltino@cultura.gov.it, 0422789443.

“Le sei coppe provengono dagli scavi dell’area archeologica della porta-approdo”, spiega la direttrice Marianna Bressan, “condotti nell’autunno 1984 da Michele Tombolani, allora direttore del Museo di Altino. Si trovavano rotte in mille pezzi in uno strato della fondazione di una palafitta di pali di rovere costruita per sostenere il ponte addossato alla Porta approdo. Questa, realizzata all’inizio del I sec. a.C., si affacciava sul canale che delimitava a Nord la città di Altino. Il ponte invece venne aggiunto successivamente, quando la città andava espandendosi oltre i confini originali. La datazione delle coppette sul finire del I sec. a.C. indica anche il momento di costruzione del ponte. In genere le coppe come queste, fatta di ceramica fine, ottenuta da argilla depurata, rivestita da un velo di vernice, e decorate a stampo, si usavano per la mensa a tavole piuttosto benestanti. Ma forse le sei coppe di Altino, trovate spezzate all’interno di una fondazione, accanto a una fibula d’argento e una moneta di bronzo più antiche, non furono mai usate a tavola, più probabilmente fecero parte del complesso di oggetti sacrificati durante il rito che celebrò la fondazione del ponte. Occorreva infatti raccomandarlo agli dei, perché sanciva fisicamente e simbolicamente la conquista della terra incognita oltre i confini definiti della città.

“Una particolarità di queste coppette – continua Bressan – è la decorazione, realizzata a stampo da una matrice e distribuita dalla spalla al fondo. Ogni coppa ha una decorazione diversa: in una spicca una teoria di bucrani e festoni; in un’altra una corona di gigli concatenati. Una è decorata a squame, un’altra a cordoni e raggiera; un’altra ancora a baccellature verticali e sotto a foglie frastagliate. Una però merita un’attenzione particolare. In alto, sopra la teoria di gigli uscenti da bucrani e losanghe, si riconoscono alcune lettere greche: ypsilon, ro, tau, sigma, omicron, kappa, ni. Si deve leggere da destra a sinistra, quindi Nicostratu, ovvero di Nicostrato. È la firma dell’artigiano, un nome greco. E tuttavia ci sono alcune anomalie. La scritta va da destra a sinistra, ma la ni e la ro sono dritte. Inoltre un artigiano greco sapeva che le scritte per risultare dritte sul vaso dovevano essere retrograde sulla matrice. Le anomalie riguardano anche la forma delle coppe. Le anse e i piedini sono applicate sopra le decorazioni segno che non erano previsti nella matrice. Tutto fa pensare che siano di fronte a un esperimento. Un artigiano, forse locale, che conosce bene la ceramica megarese, greca, di moda all’epoca, tenta un’innovazione. Inventa una forma nuova. Per piazzarsi meglio sul mercato finge di essere greco. I suoi tentativi vanno di pari passo con quelli di altri. Il più felice – conclude Bressan – è quello di Lucius Sarius o meglio del suo schiavo Surus, di origine orientale, che di lì a poco otterranno un successo su larga scala con le loro coppe cui queste di Altino assomigliano”.