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I Veneti snobbarono la ceramica con rappresentati i miti dei Greci, estranei ai propri valori e cultura

Frammento di ceramica greca al museo di Adria

Frammento di ceramica greca al museo di Adria

I Veneti antichi sapevano bene chi erano i Greci dei quali ebbero modo di apprezzare la produzione artistica. Ma dei Greci snobbarono, se non addirittura rifiutarono,  la mitologia, lontana ed estranea alle culture dei popoli delle terre che si affacciavano sull’Alto Adriatico. A queste conclusioni giungono Lorenzo Braccesi, professore emerito già ordinario di Storia antica all’Università di Padova, e Francesca Veronesi , una dei curatori della mostra “Venetkens” (chiude domenica 17 novembre con un successo di pubblico inaspettati: quasi 90mila spettatori), in un saggio scritto proprio per il catalogo dell’esposizione patavina.

braccesi

Il prof. Lorenzo Braccesi

Che i Greci conoscessero  e fossero in contatto con le terre bagnate dall’Alto Adriatico lo aveva già scritto nel V sec. a.C. il greco Erodoto nelle sue “Storie”, sostenendo che erano stati i Focei a indicare agli altri Greci le particolarità dell’Adriatico, descritto con il termine Adrias, cioè proprio la parte alta dell’Adriatico. Ma quell’attestazione da sempre aveva fatto discutere e dubitare gli studiosi. Infatti, diversamente delle coste meridionali della penisola, lungo le coste delle terre dei Veneti antichi non c’è traccia di colonie greche, quasi che tra Micenei ed età classica, vale a dire tra il X e il VI sec. a.C., ci sia stata una cesura tra due periodi di frequentazioni ampiamente attestate. Invece i rinvenimenti archeologici più recenti sembrano dissipare ogni dubbio: l’Adriatico sarebbe stato abitualmente solcato da traffici commerciali ad ampio raggio senza soluzione di continuità. E i Veneti antichi ebbero modo di conoscere e apprezzare  le merci greco-asiatiche . La ceramica greca la troviamo praticamente ovunque: nei centri abitati, nelle necropoli, nei santuari. Ma i Veneti antichi mostrano anche di valutare – prima di scegliere – nella ricca produzione non solo la tipologia, in base all’utilizzo cui quegli oggetti erano destinati, ma anche i soggetti decorativi. Alle rappresentazioni del mito greco si preferiscono le scene di guerra e le decorazioni a motivi vegetali e floreali. “Si può ipotizzare un preciso rifiuto da parte dei Veneti antichi nei confronti del patrimonio mitologico greco”, afferma Francesca Veronese, “forse sentito come troppo interferente  con i propri valori. Ciò comunque non porta al rifiuto di altri aspetti culturali: ne è un esempio la pratica del simposio, che viene accettato e assimilato dai Veneti nella sue duplice valenza quotidiana e funeraria. Non a caso le forme di ceramica attica attestate in Veneto sono principalmente kylikes, skyphoi, kantharoi e crateri” .

Canali e barene nella laguna di Venezia

Canali e barene nella laguna di Venezia

Ma come e dove i Veneti antichi venivano in contatto con le merci greche ed egeo-orientali? A meridione delle lagune venete sorgevano gli empori di Adria, città etrusco-venetica a nord del delta del Po, meta di traffici greci già in epoca arcaica, e di Spina, città etrusca a sud del delta del Po, terminal di traffici attici per tutta l’età classica. Al centro delle lagune c’era l’emporio di Altino preromana. “A settentrione – precisa Braccesi – non conosciamo per ora l’esistenza di empori, ma è presumibile ce ne fosse uno al Caput Adriae, vicino alle risorgive del Timavo”. Questi empori erano raggiungibili attraverso una navigazione interna protetta o endolagunare: una via scavata dall’uomo in età preromana che consentiva, con tagli e canali trasversali (fossae), il collegamento del delta con le lagune venete. “I Romani – ricorda Braccesi – non fecero per buona parte che consolidare e ampliare una rete di tagli artificiali preesistenti”. Così seguendo le descrizioni fatte dagli storici romani, da Plinio a Livio, abbiamo un’idea di cosa fosse stato realizzato prima di loro. “In età augustea scavano la fossa Augusta, per collegare Ravenna a Spina,  ma in realtà riattano la fossa Messanica. Nella prima età imperiale, la fossa Flavia per unire il Po di Spina ad Adria, lavorando su un canale etrusco. E poi la fossa Clodia, per immettere il Po di Adria nell’Adige e da Chioggia in laguna, canale che semplicemente amplia la fossa Philistina”. Quindi, sono gli idronimi a confermarlo,  non furono solo gli Etruschi  a realizzare le canalizzazioni preromane, ma anche i Siracusani, che ricolonizzarono Adria con il tiranno Dionigi: fossa Philistina omaggia il politico e storico siracusano Filisto, la Messanica la sicelota città di Messina.

Secondo Plinio il “sistema delle fossae conferisce nella laguna veneta dove defluisce in mare il Medoaco (Meduacus Maior, il fiume di Padova) , formando con la sua foce la bocca di porto di Malamocco: qui infatti esisteva un “grande porto” che traeva nome dal fiume e che era invisibile dal mare perché a fronte della laguna, come assicura lo storico greco Strabone.  “Dal grande porto – continua Braccesi – le navi antiche potevano raggiungere per via interna gli empori a nord e a sud, costituendo quindi uno svincolo decisivo per le rotte endolagunari che in età preromana attraversavano la laguna di Venezia”.

Frammento di ceramica greca al museo di Adria

Frammento di ceramica greca al museo di Adria

Non è un caso che proprio da qui parta in epoca storica il generale spartano Cleonimo alla volta di Padova. Percorso seguito anche nella leggenda dell’eroe troiano Antenore che risalendo il fiume andò a fondare Padova. Entrambi vengono dal mare, ricorda Braccesi, entrambi risalgono la via del Medoaco, entrambi sono personaggi immortalati dal medesimo autore antico, quel Tito Livio che ben conosceva la natura dei luoghi per essere nativo di Padova. Ma nell’immaginario locale, si chiede lo studioso, dove approda l’eroe della leggenda, dove sbarca Antenore?   “Probabilmente nello stesso luogo dove Livio fa sbarcare Cleonimo. Cioè, spalle al mare, sul fronte simmetricamente opposto al litorale, dove sorgeva il grande porto del Medoaco. E quel luogo a un certo punto è stato chiamato Troia!”. Al sito lagunare dove era sbarcato Antenore probabilmente quel toponimo fu dato in epoca storica sull’onda della veicolazione attica (Sofocle, Strabone) della saga troiana. La leggenda antenorea, col tempo, diviene patrimonio delle stesso mondo veneto. Ma perché allora è assente nel repertorio figurativo della ceramica attica qui destinata all’esportazione? “Perché – conclude Braccesi – le immagini del mito, così diffuso nella ceramica attica, tra i Veneti antichi non paiono proprio trovare udienza”.

Viaggio nella terra dei Veneti antichi

"Venetkens", la grande mostra a Padova

“Venetkens”, la grande mostra a Padova

La grande mostra “Venetkens” a Padova chiude il 17 novembre

Rimane poco meno di un mese per un viaggio, unico e irripetibile, nella terra dei Veneti antichi: la grande mostra “Venetkens”, allestita al Palazzo della Ragione di Padova, chiude il 17 novembre. Meglio affrettarsi, perché difficilmente si potrà avere una visione d’insieme così completa e composita di oggetti (sono oltre 1700 quelli in mostra) provenienti non solo dai musei archeologici nazionali in Veneto, ma anche dai musei civici, dai magazzini della soprintendenza, e dalle Regioni vicine e oltre confine, come la Slovenia: dalla tomba del principe delle Narde di Frattesina  alla situla Benvenuti di Este, fino agli ex voto di Auronzo e di Lagole di Calalzo e alle statue monumentali di Gazzo Veronese; ma anche capolavori finora mai esposti al pubblico , come l’incredibile situla dell’Alpago o i nuovi cippi confinari e le sepolture principesche con cavalli di Padova.

Trentasette anni dopo “Padova romana”

Cavallino in bronzo: il cavallo veneto era famoso

Cavallino in bronzo: il cavallo veneto era famoso

L’ultima significativa, anche se parziale, esposizione sulle genti che hanno abitato il Veneto prima dei romani fu nel 1976 con “Padova preromana”: allora si parlava ancora di “Paleoveneti” terminologia oggi superata dalla dizione “Veneti antichi”. Questa mostra, spiega il soprintendente ai Beni archeologici del Veneto, Vincenzo Tinè, “vuole dare al visitatore un’impressione sostanziale e duratura di quella che fu una delle più caratterizzate e originali culture dell’Italia antica. Superando le suggestioni mitografiche e restituendo ai Veneti quel ruolo di protagonisti a pieno titolo nel mosaico etnico e culturale che, nella penisola come in area padana, precedette durante tutto il I millennio a.C. la fase globalizzante della ‘pax romana’  e  della strutturazione regionale augustea che, del vecchio caleidoscopio di popoli e culture, fu peraltro la definitiva cristallizzazione”.

“Venetorum angulus”, ma strategico

Visitando la mostra, sintetizza Tinè, si ha la percezione del ruolo di fondamentale mediatore geografico e culturale di questo territorio e del popolo che gli ha dato il nome. “Per nulla ‘Venetorum angulus’ ma, invece, terra di contatto tra realtà mediterranea, peninsulare, padana, alpina e transalpina, in un gioco di relazioni e di scambi che spiega la complessità e l’articolazione di un panorama culturale e probabilmente anche etnico quanto mai vario e multiforme con stratificazioni di diversa origine: Etruschi, Greci, Celti e infine Romani naturalmente”.

Un viaggio che parte da lontano

Bronzetto raffigurante Paride arciere

Bronzetto raffigurante Paride arciere

Era il 1876 quando a Este iniziarono i primi scavi. Da allora la ricerca archeologica non si è mai fermata in tutta la regione e in alcune zone limitrofe. Ciò ha imposto alle curatrici della mostra, Mariolina Gamba, Giovanna Gambacurta, Angela Ruta Serafini, Francesca Veronese, delle scelte rigorose in un mix tra vecchi rinvenimenti già famosi e scoperte recenti, spesso inedite. Il percorso espositivo ha così la prospettiva di un viaggio che attraversa il Veneto antico nello spazio e nel tempo, dal Delta del Po all’alta valle del Piave, dal XII sec. (età del Bronzo) al I sec. a.C. (romanizzazione).  Il visitatore è dunque come un “antico viaggiatore” che approda nei dintorni del delta, proprio dove si pongono le basi per lo sviluppo del Veneto antico. Qui infatti si trovano i più importanti centri mercantili europei dell’epoca, dove giunge l’ambra del Baltico, ma si scambiano anche prodotti in metallo, osso, vetro e merci esotiche come uova di struzzo e avorio. Dal delta si entra nella pianura padana. Seguendo il corso dei fiumi si toccano le due capitali, Este e Padova, ma anche Vicenza, Treviso, Altino, Oderzo, Concordia. Il visitatore-viaggiatore entra nelle città venete nel periodo di loro massimo splendore, cioè tra il VI e gli inizi del IV sec. a.C. Scopre l’organizzazione dello spazio urbano, ammira la bellezza degli edifici, stupisce per le usanze religiose. È in città che ci si imbatte nei testi scritti: chi sa scrivere tra i Veneti antichi? Come? Che suoni ha questa lingua? Qualche risposta cerca di darla anche la mostra. Uscendo dalle città il viandante incontra prima i luoghi di culto e poi le ‘città dei morti’. Lasciandosi alle spalle i grandi centri, il viaggiatore si avvia verso la zona dell’alta pianura, ai piedi delle colline e delle montagne. Attraverso l’alta pianura ci si avvia alla pedemontana, una ‘galassia’ di insediamenti  quanto mai vivaci e produttivi, dai monti Lessini veronesi alle propaggini friulane. La valle del Piave porta il nostro viaggiatore verso il confine dei Veneti e verso la conclusione del suo cammino. Ormai i Romani, che nel 189 a.C. fondano Aquileia, sono ben presenti in regione.