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Aquileia, aperta dalla Fondazione una nuova area archeologica, Domus e Palazzo Episcopale: viaggio a ritroso nel tempo dal palazzo episcopale del V sec. d.C. a una domus romana del I-II sec. d.C.

Le autorità scientifiche e politiche all’inaugurazione ad Aquileia dell’area archeologica Domus e Palazzo episcopale

L’area archeologica Domus e Palazzo Episcopale di Aquileia

Si arricchisce l’offerta del sito archeologico di Aquileia, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’Umanità: in piazza Capitolo, per iniziativa della Fondazione Aquileia, è stata inaugurata la nuova struttura di “Domus e Palazzo Episcopale”, che  completa la riqualificazione della piazza della Basilica sul lato nord, restituendo alla fruizione del pubblico un importante spaccato della vita di Aquileia e offrendo la rara opportunità di vedere grazie a un sapiente gioco architettonico la sovrapposizione di livelli pavimentali di diverse epoche. L’intervento, firmato dagli architetti Tortelli Frassoni (con il progetto esecutivo di Mads & Associati), è stato finanziato anche grazie al progetto europeo Expoaus finanziato dal Programma IPA Transfrontaliero Adriatico 2007-2013 e al generoso sostegno ricevuto da alcuni veri e propri mecenati dell’arte –  Olimpias Group, BCC di Fiumicello e Aiello, Allianz Italia e Danieli & C Officine Meccaniche – che hanno voluto contribuire all’opera grazie alla normativa sull’Art Bonus. La realizzazione delle opere è di CP costruzioni Trieste ed Eu.Co.Re restauri di Pavia di Udine. Alla cerimonia di inaugurazione sono intervenuti Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia; Gianni Torrenti, assessore regionale alla Cultura; Antonio Zanardi Landi, presidente della Fondazione Aquileia; Cristiano Tiussi, direttore della Fondazione Aquileia; Gabriele Spanghero, sindaco di Aquileia; Pietro Fontanini, presidente della Provincia di Udine; Marta Novello, direttrice scientifica della soprintendenza. Fino al 6 maggio 2017 l’apertura dell’area è gratuita e regolamentata su 4 turni giornalieri con l’assistenza del personale di sorveglianza che coordina l’accesso dei gruppi: si deve presentarsi all’ingresso del sito puntuali alle ore 10, 12, 15 o 17. Dal 7 maggio ingresso libero tutti i giorni con orario continuato 10-19. Con la nuova proposta di Domus e Palazzo episcopale si fa un emozionante viaggio a ritroso nel tempo, nel cuore dell’antica Aquileia, ammirando le strutture della domus del I-II secolo, la grande aula absidata del IV secolo, gli estesi resti musivi e murari del palazzo episcopale del V secolo. Uno step reso possibile anche grazie allo storico accordo per la gestione delle aree archeologiche del sito Unesco firmato lo scorso dicembre tra il ministero dei Beni e Attività culturali e del Turismo (Mibact) e la Fondazione Aquileia. Con l’intesa si è sancito il conferimento in uso alla Fondazione Aquileia di tutte le aree archeologiche della città, in maniera tale che la Fondazione si occupa della gestione, della manutenzione ordinaria e straordinaria e della valorizzazione dell’intero sito archeologico, mentre alla soprintendenza restano le competenze relative alla tutela. Tra i risultati già raggiunti, la recente conclusione dei lavori di restauro del Sepolcreto, necropoli costituita da cinque recinti funerari, ora fruibile anche con illuminazione notturna: l’area sarà visitabile tutte le sere di giugno, luglio e agosto (dalle 8 alle 22), per offrire al pubblico la possibilità di suggestive passeggiate.

Antonio Zanardi Landi,
presidente della Fondazione Aquileia

L’area archeologica “Domus e Palazzo Episcopale” è il frutto di una lunga storia di valorizzazione, iniziatasi con l’acquisizione da parte dello Stato di un rustico privato denominato “stalla Violin”. Già negli anni Cinquanta del Novecento l’allora soprintendenza alle Antichità delle Venezie aveva condotto i primi scavi in quest’area di piazza Capitolo, sotto la direzione di Luisa Bertacchi,  ed erano stati messi in luce (e lasciati in vista) tre ambienti di un più ampio complesso, identificato come un settore del palazzo episcopale di V secolo. Tra il 2009 e il 2010, nuove indagini promosse dalla Fondazione Aquileia e con la direzione scientifica della soprintendenza Archeologia del Friuli – Venezia Giulia hanno portato alla scoperta di una sala mosaicata dell’inizio del IV secolo, dotata di abside, e quindi alla decisione della Fondazione Aquileia di attuare un progetto di copertura e musealizzazione del sito per consentire la protezione dei resti e permettere contestualmente al pubblico di apprezzarli. Con l’avvio del cantiere, a inizio 2016 ulteriori scavi hanno raggiunto i livelli del I-II secolo, imponendo una variante al progetto originario, che è confluito nell’attuale struttura.

Il sapiente gioco architettonico dell’area Domus e Palazzo episcopale consente la visione dei livelli pavimentali di diverse epoche

Nella nuova struttura sono visibili i significativi resti di uno degli isolati della città romana che si svilupparono, alla fine del I secolo a.C., fuori dalla cinta muraria originaria eretta quasi due secoli prima. Il percorso di visita si snoda tra strutture e pavimenti musivi delle diverse fasi edilizie del sito, visibili a profondità diverse (si raggiungono i 4 metri sotto il piano di campagna attuale): il visitatore potrà effettuare – come si diceva – un emozionante viaggio a ritroso nel tempo, dunque, nel ventre di Aquileia, ammirando le strutture della domus di I-II secolo, la grande aula absidata del IV secolo, gli estesi resti musivi e murari del palazzo episcopale del V secolo. Questi ultimi sono i resti archeologici che s’incontrano per primi nel percorso di visita. La lunga sala, collegata probabilmente al complesso basilicale, faceva parte della residenza di rappresentanza del vescovo di Aquileia, la cui autorità era cresciuta in maniera significativa durante il IV secolo. Il muro occidentale divideva la sala da un’area esterna lastricata (scavata nel 2010 e oggi non più visibile), che è stato possibile datare tra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C. grazie al rinvenimento di alcune monete. Il mosaico  databile nel corso del V secolo d.C., è suddiviso in due tappeti di diversa ampiezza separati da una fascia di tessere gialle. Nella porzione settentrionale è un motivo a piccoli quadrati concentrici attorno a un bottone nero realizzati con l’utilizzo di tessere di cotto. Il più ampio spazio di forma allungata è invece decorato da una composizione a reticolato ornata da losanghe e quadrati, impiegata anche in altri contesti cristiani di Aquileia.

I mosaici dell’aula absidata del complesso basilicale teodoriano del V sec. d.C.

Al centro del percorso espositivo e al livello più profondo, si conserva parte di una casa del I secolo d.C., con i resti di muri recanti ancora la decorazione ad affresco per un’altezza di più di un metro: una circostanza straordinaria ad Aquileia in livelli di questa epoca. Il percorso si conclude con la splendida sala absidata di una domus di IV secolo, scoperta tra il 2009 e il 2010. L’aula absidata, costruita all’interno dell’isolato occupato dal complesso basilicale teodoriano e forse appartenente alla residenza del vescovo, aveva un’ampiezza di circa 100 metri quadrati e fu realizzata secondo modelli architettonici in voga al tempo e documentati ad Aquileia anche in altri contesti residenziali di alto livello. L’abside, con ampiezza di oltre cinque metri, era sopraelevata e raccordata al piano dell’aula da un gradone. Le pareti e il soffitto erano decorati con affreschi, dei quali sono stati rinvenuti numerosi frammenti nel corso dello scavo: raffinati tralci di vite con foglie, grappoli d’uva e volatili su fondo rosso davano risalto al catino absidale rispetto al più semplice soffitto bianco della sala. Nel pavimento a mosaico, un originale motivo a tendaggio realizzato in tessere dai colori sfumati esaltava la funzione rappresentativa dell’abside, usata come spazio di ricevimento, al quale era destinato il maggiore impegno decorativo. Il pavimento dell’aula è suddiviso in tre campiture da raffinate fasce vegetali con al centro un riquadro del quale si conserva solo parte della cornice. Le semplici trame geometriche, a esagoni e cerchi allacciati, sono arricchite da motivi figurati policromi raffrontabili con la decorazione delle aule teodoriane, con le quali condividono le maestranze e la datazione successiva all’editto di Costantino del 313 d.C. Le raffigurazioni attingono al repertorio dei soggetti di genere ampiamente diffuso nella produzione musiva romana: pesci, polipi, conchiglie e volatili sono affiancati a grappoli d’uva, racemi fioriti, cesti e bacili ricolmi di frutti, per evocare, attraverso l’allusione alla ricchezza della natura, un’idea di benessere e prosperità.

Archeologia ferita. Un successo la mostra “Il Bardo ad Aquileia”: 16mila visitatori in meno di tre mesi. E a giugno arrivano i tesori dell’antica Persia dal museo di Teheran

La statua di Giove con cornucopia proveniente da Oued R'mel (foto di Gianluca Baronchelli)

La statua di Giove con cornucopia proveniente da Oued R’mel (foto di Gianluca Baronchelli) nella mostra “Il Bardo ad Aquileia”

Il manifesto della mostra "Il Bardo ad Aquileia" nel museo di Aquileia

Il manifesto della mostra “Il Bardo ad Aquileia” nel museo di Aquileia

Aquileia ha scommesso sulla qualità dell’offerta e ha fatto centro con il progetto “Archeologia ferita”. In meno di tre mesi per la prima iniziativa sui tesori del Bardi sfiorati i 16mila visitatori. Numeri da record dunque per la mostra “Archeologia ferita. Il Bardo ad Aquileia”, allestita al museo Archeologico nazionale di Aquileia e promossa dalla Fondazione Aquileia, dall’istituto nazionale per il Patrimonio tunisino e dal Polo museale e soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia. E ora pronti per una nuova proposta: i tesori del museo Archeologico dell’Iran antico di Teheran in mostra ad Aquileia dal prossimo giugno, frutto della disponibilità della Repubblica islamica e del museo Archeologico di Teheran, maturata nella recente visita istituzionale della Regione. I dati sulla mostra “Il Bardo ad Aquileia” sono stati resi noti dal presidente della Fondazione Aquileia, Antonio Zanardi Landi, assieme alla presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, che ha commentato: “Siamo veramente soddisfatti per un evento che ha portato a Aquileia 16mila persone nei due mesi e venti giorni di apertura della mostra, inaugurata nel dicembre scorso: è un dato che confrontato a quello dei 35mila visitatori che mediamente in un anno visitano il Museo archeologico di Aquileia fa capire il successo straordinario di questa iniziativa: una ricaduta per tutto il Friuli Venezia Giulia a livello nazionale e internazionale”.

Debora Serracchiani, governatore della Regione Friuli Venezia Giulia, Cristiano Tiussi e Antonio Zanardi Landi (presidente Fondazione Aquileia) all'inaugurazione della mostra "Il Bardo ad Aquileia"

Debora Serracchiani, governatore della Regione Friuli Venezia Giulia, Cristiano Tiussi e Antonio Zanardi Landi (presidente Fondazione Aquileia) all’inaugurazione della mostra “Il Bardo ad Aquileia”

La mostra si era aperta con la presentazione a Roma del ministro Franceschini, che la presidente della Regione Serracchiani ha tenuto a ringraziare: “Abbiamo fatto un grande lavoro di squadra e devo un grazie anzitutto al ministro perché ha supportato questo evento sin dall’inizio, ma anche all’ambasciatore Zanardi Landi, al direttore della Fondazione Cristiano Tiussi e anche al sindaco di Aquileia, determinato a raggiungere questo obiettivo con noi, e a tutti gli operatori privati con cui abbiamo chiuso una partnership che ci ha permesso di affrontare le spese più importanti dell’esposizione”. Zanardi Landi ha ricordato i tanti articoli usciti a livello regionale, nazionale e internazionale, i molti commenti e articoli su stampa e siti web di Russia, Francia, Austria, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Iran, Egitto: 32 testate italiane e 25 estere per un totale di 90 articoli sulla stampa, 160 siti web, 15 servizi televisivi e 5 interviste radio anche in Francia e Svizzera. Il presidente ha parlato di una «stimolante scommessa vinta, non solo per il grande afflusso di visitatori, ma perché ha segnato l’inizio di un percorso importante per il rilancio di Aquileia, proposta come luogo simbolo del dibattito sui danni inferti al patrimonio culturale e artistico dal terrorismo fondamentalista”.

Antonio Zanardi Landi a Tourisma illustra il progetto di Aquileia "Archeologia ferita" (foto Valerio Ricciardi)

Antonio Zanardi Landi a Tourisma illustra il progetto di Aquileia “Archeologia ferita” (foto Valerio Ricciardi)

Zanardi Landi, come anticipato nella recente edizione di Tourisma a Firenze, ha confermato anche che, dopo la recente visita della presidente Serracchiani a Teheran (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/01/13/dopo-tunisi-la-persia-a-giugno-aquileia-ospitera-una-mostra-con-i-tesori-del-museo-archeologico-di-teheran-dalla-missione-del-governatore-del-friuli-venezia-giulia-in-iran-un-protocollo-di-collabor/), si sta lavorando alacremente per poter inaugurare a giugno una mostra sull’archeologia persiana: 15-20 reperti molto importanti provenienti dall’Iran, “oggetti di grande forza comunicativa, che hanno il potere di stupire e di innescare un processo di riflessione. Sarà una mostra importante, la prima da molti anni, che si collocherà in un momento di riapertura dei contatti con l’Iran e che potrà accompagnare l’azione del Governo e della Regione, nonché dei nostri imprenditori che si stanno riaffacciando in forze su quel mercato”. Serracchiani, definendolo “un risultato straordinario”, ha ricordato che questa nuova mostra aprirà nel periodo più intenso dell’afflusso delle presenze nell’area aquileiese. “L’obiettivo resta comunque quello di un’offerta che completi l’afflusso in tutto l’arco dei dodici mesi e che vada di pari passo all’impegno per l’approfondimento dell’attività di scavo nel sito aquileiese”.

Archeologia ferita. In attesa dei tesori persiani, prorogata al museo archeologico di Aquileia la mostra “Il Bardo ad Aquileia”

Il ritratto dell'imperatore Lucio Vero proveniente dal teatro di Dougga (foto di Gianluca Baronchelli)

Il ritratto dell’imperatore Lucio Vero proveniente dal teatro di Dougga (foto di Gianluca Baronchelli)

Il manifesto della mostra "Il Bardo ad Aquileia" nel museo di Aquileia

Il manifesto della mostra “Il Bardo ad Aquileia” nel museo di Aquileia

È stata prorogata fino al 28 febbraio l’apertura della mostra “Il Bardo ad Aquileia” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/01/03/archeologia-ferita-il-museo-di-aquileia-apre-le-porte-ai-reperti-da-musei-e-siti-colpiti-dai-terroristi-prima-tappa-otto-capolavori-dal-museo-del-bardo-di-tunisi/) organizzata dalla Fondazione Aquileia in collaborazione con il Polo Museale del Fvg, la Soprintendenza Archeologia, e l’Istituto Nazionale per il Patrimonio tunisino e con il sostegno della Cciaa di Udine, della Bcc di Fiumicello e Aiello e di Edison. “Siamo molto lieti”, sottolinea il presidente della Fondazione Aquileia, Antonio Zanardi Landi, “che il messaggio che abbiamo voluto lanciare con questa mostra sia stato accolto da migliaia di persone: solo attraverso la riproposizione dei valori della cultura e della storia comune sarà possibile sconfiggere la cieca violenza e la barbarie di chi vorrebbe proporre infondati scontri di civiltà. Ed è proprio con questo spirito che stiamo già lavorando a una nuova sfida: in un momento di rinnovato dialogo con la Repubblica Islamica dell’Iran vogliamo portare ad Aquileia reperti archeologici importanti della plurimillenaria storia persiana” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/01/13/dopo-tunisi-la-persia-a-giugno-aquileia-ospitera-una-mostra-con-i-tesori-del-museo-archeologico-di-teheran-dalla-missione-del-governatore-del-friuli-venezia-giulia-in-iran-un-protocollo-di-collabor/). Nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia sono esposti i reperti provenienti dal Museo Nazionale del Bardo di Tunisi, colpito il 18 marzo 2015 dal terrorismo fondamentalista. Il Museo Archeologico ha inoltre ampliato il programma di visite tematiche alla mostra con una serie di nuovi appuntamenti.

Archeologia ferita: il museo di Aquileia apre le porte ai reperti da musei e siti colpiti dai terroristi. Prima tappa: otto capolavori dal museo del Bardo di Tunisi

Un foro di proiettile su una vetrina del museo del Bardo di Tunisi

Un foro di proiettile su una vetrina del museo del Bardo di Tunisi (foto Gianluca Baronchelli)

Il manifesto della mostra "Il Bardo ad Aquileia" nel museo di Aquileia

Il manifesto della mostra “Il Bardo ad Aquileia” nel museo di Aquileia

Debora Serracchiani, governatore della Regione Friuli Venezia Giulia, Cristiano Tiussi e Antonio Zanardi Landi (presidente Fondazione Aquileia) all'inaugurazione della mostra "Il Bardo ad Aquileia"

Debora Serracchiani, governatore della Regione Friuli Venezia Giulia, Cristiano Tiussi e Antonio Zanardi Landi (presidente Fondazione Aquileia) all’inaugurazione della mostra “Il Bardo ad Aquileia”

La celebre testa dell’imperatore Lucio Vero del II secolo d.C., ritrovata a Thugga. E poi la statua di Giove, i mosaici con i Lottatori nudi o il grande ritratto a tessere della Dea Cerere. Sono alcuni dei tesori della mostra “Il Bardo ad Aquileia”, che fino al 31 gennaio porta nel museo archeologico nazionale della città friulana di Aquileia otto opere dal museo del Bardo di Tunisi, prima tappa del progetto “Archeologia ferita”, destinato a crescere nel tempo. “Ci sono mostre”, commenta il ministro dei Beni culturali e del turismo, Dario Franceschini, “importanti per il valore scientifico dell’operazione e delle opere. E altre che sono importanti anche per il messaggio che trasmettono, come questa”. “Una mostra”, aggiunge il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, “che è un segnale di vicinanza che Aquileia, città di confine e di passaggio ha sempre avuto verso tutti i popoli del Mediterraneo”. Era il 18 marzo 2015 quando l’efferatezza del terrorismo jihadista colpì il museo nazionale del Bardo di Tunisi: l’attentato provocò la morte di 24 persone, tra cui 21 turisti, un agente delle forze dell’ordine e due terroristi, e 45 sono rimaste ferite. Un colpo tremendo nel cuore della Tunisia che ha pianto le vittime e la fuga dei turisti. Proprio per non dimenticare fatti drammatici come l’attentato di Tunisi, il progetto “Archeologia ferita” promosso dalla Fondazione Aquileia, in collaborazione con la soprintendenza Archeologia e il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia, intende portare in successione e con cadenza semestrale ad Aquileia opere d’arte significative provenienti da musei e siti colpiti dai tragici attacchi del terrorismo fondamentalista. Si comincia dunque con la mostra “Il Bardo ad Aquileia”: otto opere che vogliono rappresentare uno spaccato dell’arte e dell’alto artigianato delle province africane in età romana tra il I e il III secolo, e che nel museo friulano dialogano con i manufatti conservati ad Aquileia. “Una scelta per simboleggiare i legami che hanno unito il Nord Africa all’alto Adriatico in età romana. Una scelta, inoltre, che dà forza a quanti si oppongono a chi tenta di negare il dialogo interculturale e interreligioso”.

Il cortile centrale interno del museo del Bardo di Tunisi (foto di Gianluca Baronchelli)

Il cortile centrale interno del museo del Bardo di Tunisi (foto di Gianluca Baronchelli)

“L’idea di questa mostra”, racconta Antonio Zanardi Landi, presidente della Fondazione Aquileia, presentando la rassegna alla presenza dell’ambasciatore tunisino Naceur Mestiri, “nacque quando accompagnai il presidente Mattarella in una visita a Tunisi che voleva significare la vicinanza italiana al popolo e al governo tunisino in un momento molto complicato. Il Bardo è il più importante museo dell’Africa settentrionale, dopo quello del Cairo, e le sue opere dimostrano come il Mediterraneo duemila anni fosse luogo di convivenza e scambio reciproco”. Proprio come Aquileia, iscritta dal 1998 nell’Heritage List dell’Unesco, sede di un bellissimo Foro Romano, ma soprattutto «città di confine e di passaggio», come dice il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, dove per secoli hanno convissuto pacificamente Romani, Giudei, Greci, Alessandrini. “Questa mostra offre la possibilità di raccontare la nostra Storia e il nostro presente”, spiega Serracchiani. “Sono convinta che la risposta migliore a quello che sta accadendo non siano solo soluzioni militari, ma anche e soprattutto la via culturale. Dobbiamo approfondire la conoscenza reciproca, ovviamente nel rispetto delle diversità che ci tengono insieme. Gli europei dovrebbero ricordarlo di più”.

Il ritratto dell'imperatore Lucio Vero proveniente dal teatro di Dougga (foto di Gianluca Baronchelli)

Il ritratto dell’imperatore Lucio Vero proveniente dal teatro di Dougga (foto di Gianluca Baronchelli)

Vediamo un po’ meglio le opere esposte seguendo le schede curate da Cristiano Tiussi. Cominciamo con un capolavoro della statuaria romana: il ritratto di Lucio Vero, che resse l’Impero assieme al fratello adottivo Marco Aurelio tra il 161 e il 169 d.C. Proveniente dal teatro di Dougga (Thugga), la testa è più grande del naturale. Il ritratto colpisce per il sapiente contrasto tra le superfici levigate del volto e il chiaroscuro della chioma riccioluta e della folta barba, che presentano tracce del colore originario. Un atto d’omaggio della comunità di Thugga all’imperatore che si distinse nelle campagne contro i Parti e contro le tribù germaniche dei Marcomanni e Quadi. Secondo le fonti antiche, proprio di ritorno dal fronte settentrionale, Lucio Vero trovò la morte all’inizio del 169 d.C. sulla strada che collegava Aquileia ad Altino.

La statua di Giove con cornucopia proveniente da Oued R'mel (foto di Gianluca Baronchelli)

La statua di Giove con cornucopia proveniente da Oued R’mel (foto di Gianluca Baronchelli)

Da Oued R’mel proviene una bella statua di Giove, di dimensioni inferiori al naturale. Nudo e in posizione stante, Giove sorregge con il braccio sinistro un corno dell’abbondanza (cornucopia), simbolo di fecondità e fertilità, che nel mito è connesso con l’infanzia del dio (il corno apparteneva alla capra Amaltea, nutrice del piccolo Giove). L’identificazione del dio è assicurata dall’aquila dalle ali spiegate, scolpita sul sostegno a forma di tronco, dietro la gamba di Giove. La statua fu realizzata nell’avanzato II secolo d.C.

La stele del cavaliere Marco Licinio Fedele (foto di Gianluca Baronchelli)

La stele del cavaliere Marco Licinio Fedele (foto di Gianluca Baronchelli)

La semplice stele, tipica della produzione funeraria della Tunisia, apparteneva ad un cavaliere originario di Lugdunum (Lione), Marco Licinio Fedele, che morì a 32 anni dopo aver servito addirittura per 16 anni nella III Legione Augusta. Questa legione era di stanza ad Ammaedara (Haïdra), dove il cavaliere fu sepolto, a partire dal secondo quarto del I secolo d.C. e fino al 75 d.C. Il defunto è raffigurato in forme semplici e lineari, quasi primitive, nella parte alta del monumento, entro una nicchia. In posizione frontale, egli trattiene per le redini due cavalli, inseparabili compagni della vita militare, bardati da cerimonia.

Brocca in ceramica sigillata proveniente dalla necropoli di El Aouja (foto di Gianluca Baronchelli)

Brocca in ceramica sigillata proveniente dalla necropoli di El Aouja (foto di Gianluca Baronchelli)

I due esemplari ceramici esposti, rinvenuti nella necropoli di El Aouja, nella Tunisia centrale, rappresentano una fiorentissima produzione artigianale di ceramica da mensa, la cosiddetta terra sigillata africana, così chiamata per la presenza di decorazioni figurate a rilievo (sigilla). Il colore arancio-rosso della ceramica deriva dalla tecnica di cottura, che avveniva in ambiente ricco di ossigeno. A partire dal II secolo d.C., l’Africa invase con i suoi prodotti tutto il bacino Mediterraneo, segnando spesso un netto predominio su altre produzioni, inclusa l’Italia e Aquileia. Il primo recipiente è una bottiglia cilindrica, che può considerarsi una sorta di summa mitologica antica: le figure a rilievo rappresentano Apollo con la cetra seduto su un altare, Sun ileno barbato, due Satiri e una baccante, Mercurio con la borsa e il caduceo, una scena erotica sormontata da due spighe, Marte appoggiato ad una lancia, due Amorini affrontati a un elmo corinzio, un Satiro che tiene un tirso, Sileno, Vittoria, Venere e baccante. Alla base del collo, tra le due anse, si trova un’iscrizione che si riferisce alla bottega che l’aveva prodotta (EX OFFICINA (N) ABIGI). La seconda è una brocca, dalla rara forma assai moderna, al cui centro vi sono una conchiglia, una corona e un cartiglio a coda di rondine con l’acclamazione di vittoria (TAVRISCI NIKA), riferita ad una delle associazioni (i Taurisci appunto) che organizzavano gli spettacoli nell’anfiteatro. Dall’altro lato sono rappresentati una ghirlanda e un leone in corsa. I due esemplari sono riferibili a produzioni di pieno III secolo d.C.

"Lottatori", mosaico proveniente da Gightis (Henchir Bou Ghrara), nel sud della Tunisia (foto di Gianluca Baronchelli)

“Lottatori”, mosaico proveniente da Gightis (Henchir Bou Ghrara), nel sud della Tunisia (foto di Gianluca Baronchelli)

Nell’ambito dell’esposizione, ampio risalto è attributo ai mosaici provenienti dai centri romani della Tunisia, le cui straordinaria collezione costituisce il fulcro del percorso espositivo del Museo del Bardo. I tre esemplari provenienti dai siti di Uthina (Oudhna) e di Gightis (Henchir Bou Ghrara, nel sud della Tunisia) costituiscono un campione altamente rappresentativo della eccezionale qualità raggiunta dai mosaicisti dell’Africa Proconsolare nel corso dell’età imperiale. La ricchezza e la varietà delle decorazioni policrome che ne hanno determinato la fama dall’antichità sino ai giorni nostri condividono con i pavimenti di Aquileia un immaginario basato sulla celebrazione di motivi e concetti largamente condivisi su scala mediterranea. La raffigurazione della dea Cerere, così simile, con i suoi ricchi fasci di spighe, a tante personificazioni dell’Estate presenti nei mosaici di Aquileia, fa allusione a quella ricchezza della natura cui dovevano la loro fortuna i numerosi centri tunisini affacciati sulle sponde del Mediterraneo. Le immagini dei lottatori di Gightis rimandano, con le loro acrobazie, all’ambito tipicamente romano delle terme, ampiamente rappresentato negli esemplari del Museo di Aquileia.

“Celti sui monti di smeraldo”: nella mostra di Zuglio, l’antica Iulium Carnicum, per la prima volta la storia dei Celti nelle Alpi Orientali con reperti da Veneto, Friuli Venezia Giulia, Carinzia e Slovenia

Visitatori alla mostra "Celti sui monti di smeraldo" aperta al museo civico archeologico di Zuglio in Carnia

Visitatori alla mostra “Celti sui monti di smeraldo” aperta al museo civico archeologico di Zuglio in Carnia

zuglio_Logo_titolo_mostra_celti_Museo_ZuglioLa storia dei Celti nell’arco alpino orientale: una storia complessa, per certi versi ancora da scrivere che viene ora affrontata per la prima volta attraverso le testimonianze più significative del territorio compreso tra Veneto, Friuli Venezia Giulia, Carinzia e Slovenia occidentale. Dove? Nella straordinaria mostra “Celti sui Monti di Smeraldo”, a Zuglio, l’antica Iulium Carnicum, in provincia di Udine, ideata per per celebrare i venti anni di apertura al pubblico del museo. Dopo il fortunato successo della mostra “In viaggio verso le Alpi. Itinerari romani dell’Italia nord-orientale diretti al Norico” del 2013, il piccolo ma attivissimo museo Archeologico di Zuglio si cimenta in un’esposizione di sicura rilevanza culturale proponendo – fino al 31 ottobre 2015 – appunto una nuova, importante mostra dall’affascinante titolo “Celti sui monti di smeraldo”, frutto della sinergia tra il Comune di Zuglio, la soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia, la soprintendenza Archeologia del Veneto e numerosi musei italiani ed esteri. L’allestimento, curato e pensato per offrire contenuti di qualità anche ad un pubblico non esperto del settore, è stato realizzato con il sostegno di numerosi enti pubblici e privati.

In mostra a Zuglio reperti da Cividale, Udine, Trieste, Montebelluna, Montecchio Maggiore, Klagenfurt, Pieve di Cadore, Pordenone, Ljubijana, Tolmino

In mostra a Zuglio reperti da Cividale, Udine, Trieste, Montebelluna, Montecchio Maggiore, Klagenfurt, Pieve di Cadore, Pordenone, Ljubijana, Tolmino

Un reperto proveniente dal Marc in mostra a Zuglio

Un reperto del Marc in mostra a Zuglio

Il titolo della mostra “Celti sui monti di smeraldo”, interviene la curatrice Angela Ruta, “evoca il paesaggio della Carnia, dove l’archeologia ha acquisito negli ultimi anni dati che hanno cambiato il panorama degli studi. Sappiamo che fu percorsa da guerrieri transalpini, che si soffermarono sulle alture più strategiche, in posizione dominante rispetto ai corsi d’acqua”. Armi celtiche provenienti da rilievi e altipiani carnici sono infatti gli indicatori preziosi della penetrazione, a partire dalla fine del IV-III secolo a.C., di gruppi in movimento dall’area danubiana verso la penisola balcanica (Taurisci, Scordisci). “Ma fin dal V secolo a.C. la documentazione archeologica suggerisce la presenza di stranieri abbigliati alla maniera celtica, inseriti all’interno delle comunità locali”. Numerosi gli studiosi coinvolti e di grande rilievo l’elenco delle istituzioni che hanno collaborato all’esposizione, appoggiata e sostenuta da enti pubblici e privati. Il museo di Zuglio ha realizzato questo importante progetto in collaborazione con la soprintendenza Archeologia del Friuli Venezia Giulia e la soprintendenza Archeologia del Veneto e con numerosi musei: i civici musei e gallerie di Storia e arte di Udine, i civici musei di Storia e arte di Trieste, il Landesmuseum für Kärnten di Klagenfurt, il museo Archeologico nazionale di Cividale, il museo di Storia naturale e Archeologia Città di Montebelluna (TV), il museo di Archeologia e Scienze naturali “Giuseppe Zannato” di Montecchio Maggiore (VI), il museo Archeologico della Magnifica Comunità di Cadore di Pieve di Cadore (BL), il museo Archeologico del Friuli Occidentale – Castello di Torre di Pordenone, il Narodni muzej Slovenije di Ljubljana e il Tolminski muzej di Tolmin in Slovenia.

Il gancio di cintura traforato in ferro trovato a Montebello Vicentino e conservato al museo Zannato di Montecchio

Il gancio di cintura traforato in ferro trovato a Montebello Vicentino e conservato al museo Zannato di Montecchio

Il percorso espositivo è stato pensato per offrire una sintesi ragionata e aggiornata della presenza celtica. Nella sezione “Primi Celti a Nordest (V-IV secolo a.C.)” viene dato risalto a materiali rinvenuti a Montebello Vicentino, Montebelluna e Paularo-Misincinis: la composizione dei corredi tombali suggerisce una mobilità non solo individuale ma anche di gruppi di stranieri, che via via si integrarono con la popolazione locale, dando vita così a nuove produzioni originali, come le fibule tipo Paularo. È in questa sezione che si può osservare il “Gancio di cintura traforato in ferro”, databile tra la metà del V e gli inizi del IV secolo a.C., trovato a Montebello Vicentino (Vicenza) e conservato al museo di Archeologia e Scienze naturali “G. Zannato” di Montecchio Maggiore. Si tratta di una placca traforata di forma triangolare allungata, che termina a uncino, con fascetta rettangolare ribattuta alla base e chiodo per il fissaggio alla cintura. Raffigura tre coppie di animali sovrapposti: e affrontati, dal basso: uccelli acquatici, dragoni, cavallucci marini. “I ganci da cintura traforati”, spiega Ruta, “costituiscono l’elemento di chiusura del sistema di sospensione che assicurava il fissaggio dell’arma (spada o coltellaccio) al corpo del guerriero. L’avvolgimento delle cinghie di cuoio (non conservate), raccordate da anelli (di solito associati ai ganci), avveniva al fianco o sul torace”.

Morso di cavallo proveniente dalla necropoli di Caporetto/Kobarid

Morso di cavallo proveniente dalla necropoli di Caporetto/Kobarid

La seconda sezione è dedicata ai luoghi di culto tra Cadore e alto Isonzo. I due principali contesti esposti, la straordinaria deposizione di armi e cavalli scoperta di recente a Kobarid/Caporetto e il luogo di culto militare di Monte Sorantri di Raveo, rientrano nei casi di aree consacrate dove venivano conservate le spoglie di nemici vinti o venivano dedicate offerte di armi alle divinità. Va sottolineato che tra Carnia e valli del Natisone risultano ormai numerosi i luoghi di offerta o sacrificio di armi, che trovano confronto in Gallia ed Europa centrale danubiana. Il Monte Sorantri di Raveo, altura che controlla le vallate del Degano e del Tagliamento, è il sito più importante per l’archeologia celtica della Carnia. Sulla sommità del monte, a circa 900 metri di altitudine e sul pendio sudoccidentale, all’esterno di un vasto insediamento cinto da una muraglia, con case in muratura attribuibili, per le parti finora indagate, all’età romana, sono stati raccolti tra il 1995 ed il 1997 numerosi reperti metallici di ambito celtico, databili tra il III ed il I secolo avanti Cristo. Le armi, sia di offesa (spade, cuspidi di lancia) che di difesa (umboni di scudo, elementi di elmi) dovevano in origine far parte di trofei o altre installazioni cultuali collocate probabilmente in un’area sacra, secondo un uso attestato in molti santuari della Gallia. Le armi presentano spesso tracce di defunzionalizzazione rituale. Le pratiche cultuali sono proseguite fino alla prima età imperiale romana.

Una spada piegata ritualmente dalla necropoli di Brezec di San Canzian

Una spada piegata ritualmente dalla necropoli di Brezec di San Canzian

Da ultima la sezione dedicata alle necropoli in uso tra il III e I secolo a.C., rappresentata da diversi corredi funerari, emblematici del Celtismo finale, da Montebelluna a S. Floriano di Polcenigo a Dernazzacco,. a Socerb/San Servolo e Škocjan/S. Canziano del Carso fino a Reka presso Cerkno, Idrija di Bača, Most na Soči /S. Lucia di Tolmino e Kobarid/Caporetto. Le lunghe spade e le lance, spesso ritualmente ripiegate caratterizzano i personaggi maschili, preziosi ornamenti d’argento spiccano nelle tombe femminili. Nè mancano i famosi torques intrecciati che tanto hanno contributo al fascino del Celtismo, tra il Veneto orientale e il golfo di Trieste. Il percorso si conclude con una piccola ma preziosa sezione numismatica.

Il museo civico archeologico "Iulium Carnicum" di Zuglio

Il museo civico archeologico “Iulium Carnicum” di Zuglio

Il foro romano dell'antica Iulium Carnicum

Il foro romano dell’antica Iulium Carnicum

La visita “Celti sui monti di smeraldo” offre l’opportunità di apprezzare anche il museo civico Archeologico “Iulium Carnicum”: inaugurato nel 1995, espone i numerosi reperti provenienti dalle indagini finora effettuate a Zuglio, piccolo centro della Carnia situato a pochi chilometri da Tolmezzo. Il materiale era precedentemente conservato in un antiquarium locale che, come risulta da una serie di documenti manoscritti, esisteva già agli inizi dell’Ottocento, epoca in cui ebbero luogo i primi scavi regolari per iniziativa del Commissario di guerra del Regno d’Italia. Il Museo, che ha sede in un edificio storico di proprietà comunale restaurato dopo il terremoto del 1976, dà al visitatore una panoramica dello stato attuale della ricerca archeologica in Carnia, con particolare riguardo alla realtà di Zuglio, dove le indagini archeologiche hanno consentito di portare alla luce importanti monumenti dell’antica Iulium Carnicum.La superficie espositiva si sviluppa in un percorso che ha lo scopo di far conoscere il territorio gravitante nell’antichità su Zuglio. Una serie di pannelli didattici ed alcune cartine di distribuzione dei siti archeologici accompagnano i reperti che da diverse località della Carnia sono confluiti nella raccolta civica. Si tratta di materiale di notevole interesse, frutto di ritrovamenti occasionali e di scavi sistematici, che si riferisce ad un ampio arco cronologico compreso tra l’età preistorica e quella altomedioevale.