Torino. Al museo Egizio Stephen Quirke (Petrie Museum e UCL), su “Middle Kingdom birth tusks, and an enigmatic coffin in Turin: troubling authenticity”: oggetti autentici o interpretazioni moderne?. Conferenza on line in collaborazione con Acme

Le zanne della nascita (“birth tusks“) sono oggetti distintivi dell’arte sacra del Medio Regno, formate rimuovendo lo strato esterno ruvido di una zanna di ippopotamo e tagliandone una metà per produrre una zanna liscia e lucente. Delle birth tusks parla il prof. Stephen Quirke, venerdì 9 luglio 2021, alle 18, al museo Egizio di Torino nella conferenza egittologica online “Middle Kingdom birth tusks, and an enigmatic coffin in Turin: troubling authenticity”, realizzata in collaborazione con ACME. La conferenza, in lingua inglese, sarà introdotta da Christian Greco, direttore del museo Egizio. E verrà trasmessa in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Museo.

Oltre settanta esempi di birth tusks lavorate sono documentati da scavi dal 1860 in Egitto, Nubia e Levante. Si sa che ne furono acquistati altri cento fino al 1973, comprese moderne imitazioni attestate già nel 1888. La maggior parte reca una processione di figure divine, e alcune iscrizioni invocano la loro protezione per donne e bambini. Gli egittologi James Breasted e Flinders Petrie hanno pubblicato degli studi su due zanne non provate con figure che sono in uno stile altrimenti ineguagliabile e potrebbero essere aggiunte moderne. Tuttavia, una visita a Torino ha rivelato figure altrettanto sconcertanti su un’enigmatica bara esposta al museo Egizio. Conferma di autenticità? O ancora il segno di una mano moderna? A seconda della risposta, questi tre oggetti possono estendere e cambiare la nostra immagine di una finestra unica sul passato. Nel corso della conferenza Stephen Quirke illustrerà le zanne di nascita come tipo di oggetto, e quindi affronta il dilemma curatoriale: come incorporare nella nostra ricerca e mostrare i manufatti museali non provati senza paralleli dagli scavi. La loro storia è un racconto dell’antico Egitto o di sogni moderni?

L’egittologo Stephen Quirke
Stephen Quirke ha studiato Egittologia all’università di Cambridge, specializzandosi in scrittura ieratica del Medio Regno con un focus sulla storia sociale. Ha lavorato per nove anni come curatore al dipartimento di Antichità Egiziane del British Museum, prima di trasferirsi all’University College di Londra per diventare curatore al Petrie Museum of Egyptian Archaeology. Dal 2013 lavora come insegnante all’Istituto di Archeologia dell’UCL. Le sue pubblicazioni includono, con Mark Collier, The UCL Lahun Papyri (2002-2006), Hidden Hands: Egyptian Workforces in Petrie Excavation Archives, 1880-1924 (2010), Exploring Religion in Ancient Egypt (2014) e Birth tusks: the armoury of health in context – Egypt 1800 BC (2016). Attualmente sta lavorando a uno studio sulle migliaia di acquisti in Egitto dell’archeologo Flinders Petrie dal 1880 al 1920.
Antico Egitto a Vittorio Veneto. Paolo Renier chiude gli incontri a margine della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018” con il suo intervento su “L’energia di Abydos, il valore simbolico di Sethi I, il retaggio spirituale”

Paolo Renier, autore del Progetto Abido, in mostra a Vittorio Veneto (foto Graziano Tavan)

La locandina della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” a Vittorio Veneto
Paolo Renier fa il bis per il gran finale della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto” alla Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv), messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, mostra che, dopo la proroga concessa a grande richiesta del pubblico, chiuderà definitivamente domenica 1° luglio 2018. A Vittorio Veneto Paolo Renier presenta un racconto particolare dove il protagonista è proprio lui o, meglio, la sua trentennale esperienza dedicata all’antico Egitto, tra incontri, scoperte e documenti fotografici: dalla “folgorazione” per la civiltà dei faraoni e, soprattutto, per la città sacra di Abydos in occasione del suo primo viaggio – come turista – sulle rive del Nilo (era il 1989), alla nascita del progetto Abydos, alla realizzazione del rilievo fotografico del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion. E ora, alla vigilia del finissage della mostra, Renier fa il bis o, meglio, completa il suo racconto, come richiesto proprio dagli attenti partecipanti all’incontro di sabato 23 giugno 2018 nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli. Quindi sabato 30 giugno 2018, stavolta non più alle 18 ma alle 17 (per avere più tempo da condividere con i presenti), il fotografo trevigiano, autore e promotore del Progetto Abydos, riprende la conversazione dal titolo impegnativo “L’energia di Abydos, il valore simbolico di Sethi I, il retaggio spirituale”, durante la quale farà scorrere sullo schermo la sua storia con i testi e le immagini, presenti nel percorso della mostra, sviluppando i tre titoli-temi attraverso l’esperienza trentennale in Egitto dedicata a “Rispetto, Conoscenza e Valore di Abydos-Egitto”.

La grande frattura nella falesia sopra Abido, dove gli antichi egizi ponevano l’ingresso dell’Aldilà (foto Paolo Renier)
Abydos non è un sito qualsiasi dell’Antico Egitto. Quando Renier parla di “energia di Abydos” cerca di rendere quell’atmosfera speciale che ancora oggi si respira tra i suoi templi da dove lo sguardo spazia sul deserto fino all’orizzonte chiuso da un’alta falesia dove si apre una gola che per gli antichi egizi era la porta di accesso all’Aldilà. Di certo per millenni Abydos ha esercitato un’attrazione particolare sugli antichi egizi. Già il nome originale (Ȝbḏw, pronunciato convenzionalmente Abdju) che significa collina del tempio, ci porta dritti all’essenza della città sacra per eccellenza perché appunto si riteneva che in quell’antica città, nel tempio simbolo della collina primigenia emergente dal Nun, vi fosse conservata la testa di Osiride. Forse è un caso che proprio ad Abido sia stata trovata l’unica rappresentazione nota del grande faraone Cheope. Ma forse non è un caso che per ben 3000 anni Osiride sia stato venerato ad Abido dove appunto si diceva fosse conservata la reliquia più preziosa del dio: la sua testa. Un’immagine del reliquiario campaniforme che la racchiudeva si può ammirare ancora oggi. È raffigurata su una splendida pittura policroma all’interno del tempio abideno del faraone Sethi I. Del resto la tradizione raccontava che intorno alla tomba di Osiride ci fossero 365 altari per le offerte, uno per ogni giorno dell’anno.

La grande distesa di cocci che ancora oggi si può vedere nella zona di Umm el-Qa’ab ad Abido (foto Graziano Tavan)
Si perdono nella preistoria le origini della città sacra, che sicuramente fu capoluogo importante se non addirittura capitale dell’Alto Egitto nel periodo predinastico di Naqada e nel protodinastico. E proprio la necropoli di Umm el-Qa’ab (che significa in arabo la Madre dei Vasi, perché quando l’egittologo inglese Flinders Petrie scoprì questo sito – all’inizio del XX secolo – la collina sacra era letteralmente ricoperta da vasi: otto milioni di vasi deposti lì nel corso dei secoli da mani scomparse migliaia di anni fa, in offerta a Osiride, il signore dell’oltretomba) sembra essere l’anello di congiunzione tra l’Antico Egitto prima e dopo l’unificazione. Nel cosiddetto “cimitero U”, uno dei tre della necropoli di Umm el-Qa’ab, sono state portate alla luce ben 650 tombe di epoca predinastica (periodo Naqada I) e sepolture più raffinate (3800-3150 a.C.) dedicate a personaggi importanti, i primi dominatori delle Due Terre. Nella zona centrale c’è il “cimitero B” che ospita gli ultimi re predinastici sepolti approssimativamente dal 3150 al 3050 a.C. Tra i resti di questi signori si trovavano un tempo le spoglie di re Narmer, che la tradizione vuole unificatore delle Due Terre, e di re Horus Aha, il Combattente. Infine, nell’area sud della necropoli abidena, si estende il cimitero più ampio che abbraccia le tombe di una regina e sei re della I dinastia e di due re della II dinastia. Personaggi sepolti intorno al 3050 – 2800 a.C. Uno di questi regnanti, Horus Djer, governò per ben 50 anni. Salì al trono intorno al 2980 a. C. Secoli dopo, la sua tomba sarebbe stata trasfigurata dalla leggenda e divenuta il centro di un culto del dio Osiride.

L’egittologa Federica Pancin al lavoro ad Abido seguita dal custode del tempio di Sethi I(foto Paolo Renier)
“La necropoli di Umm el-Qa’ab”, scrive Federica Pancin, egittologa di Ca’ Foscari, “costituiva la tappa più importante nella celebrazione dei misteri osiriaci, che si teneva ogni anno ad Abido e a cui partecipavano gli abitanti di ogni parte dell’Egitto e di ogni estrazione sociale: la divinità si manifestava in queste occasioni, quando la sua effigie usciva dal tempio e veniva portata in processione per la città e nel deserto. La grande partecipazione è confermata dalle centinaia di stele, recuperate dalle diverse missioni archeologiche, che i pellegrini più facoltosi provenienti da tutto l’Egitto lasciavano ad Abido, anche se è più verosimile che essi non si recassero fin lì direttamente e commissionassero invece ai locali o ad agenti di viaggio i loro monumenti”. E continua: “La tomba di Djer/Osiride fu meta di pellegrinaggi nazionali per oltre un millennio: ogni anno, verosimilmente nel mese di Khoiak, si celebrava la processione in cui veniva messa in scena la passione di Osiride, che assicurava il successo della rigenerazione di Osiride e, con essa, la rinascita della vegetazione della Valle del Nilo”.

Paolo Renier ad Abydos con l’egittologo Gunter Dreyer dell’università Tedesca del Cairo (foto Graziano Tavan)
Forse non è un caso che proprio nella necropoli di Umm el-Qa’ab siano stati trovati i primi ideogrammi e segni di scrittura datati 3200 a.C. A scoprirli è stato l’egittologo tedesco Gunter Dreyer che Paolo Renier, insieme a chi scrive, ebbe l’onore di incontrare nel suo viaggio-missione del 2004 proprio nella casa della missione tedesca ai margini del deserto di Abido. “Straordinari e importantissimi reperti”, ricorda Renier nella mostra di Vittorio Veneto, “scolpiti in piccole tavolette in avorio o in pietra, vere testimonianze delle prime dinastie dei faraoni, e che in seguito per la loro importanza, essendo i primi segni di scrittura, sono state portate al museo Egizio del Cairo, dove le possiamo ancora vedere esposte nelle teche appena si entra nella sala principale”.

Il faraone Seti I in delicato bassorilievo nel tempio di Seti I ad Abido straordinariamente reso dalla maestria di Paolo Renier
E poi non si può ricordare Abido senza menzionare il faraone Sethi I (e il figlio Ramses II) con il suo grande tempio, una delle opere architettoniche più complesse e straordinarie dell’Antico Egitto, dove l’arte egizia tocca livelli sublimi, forse mai più superati, e con l’annesso Osireion, un unicum nell’architettura dei faraoni, e per certi versi ancora uno dei monumenti più misteriosi, e per questo più affascinanti, non solo di Abido. “Il sito di Abido”, scrive Renier, “si trova esattamente al centro dell’Egitto, e questo non credo sia un caso, anche perché non conosco in tutto l’Egitto un luogo così carico di spiritualità”. Il fotografo trevigiano ricorda bene di aver visto coppie di giovani sposi desiderosi di avere figli, la sposa accompagnata da alcune donne vestite di nero, compiere dei particolari riti nel tempio di Sethi I e nell’acqua dell’Osireion. “Chiaramente non ho mai saputo e soprattutto cercato di voler conoscerne il seguito di quei momenti così intimi di vita con particolare e autentica devozione. Mi piace ricordare che nel Vangelo dell’apostolo Giovanni, c’è questa parabola: “…..a Gerusalemme vi è, presso la Porta delle Pecore, una piscina chiamata in ebraico Betzaeta che ha cinque portici. Sotto di essi c’era sempre un gran numero di sofferenti, ciechi, zoppi e paralitici che attendevano il mutamento dell’acqua, poiché un Angelo del Signore scendeva in tempi stabiliti nella piscina e l’acqua ne era mutata, e il primo che entrava nella piscina, dopo tale mutamento, veniva risanato da ogni infermità …..e Gesù gli disse: “ vuoi essere guarito? ” L’infermo rispose: “ Signore io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si increspa, perciò mentre io mi avvicino, qualche altro scende prima di me.”…..Gesù gli ordinò: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina! ”. Allora mi viene spontanea una domanda: ma se succedeva questo mutamento dell’acqua con incredibili miracoli, in un tempio più piccolo e più semplice di quello di Abydos, cosa poteva succedere nell’imponente edificio dell’Osireion?”.
“L’acqua è sempre stata veramente un elemento protagonista nel tempio di Sethi I”, continua Renier, “unico tempio in Egitto con due grandi pozzi uguali costruiti all’inizio della grande scalinata di accesso, ora coperti di sabbia. Al tempo del faraone quello di sinistra poteva essere una specie di nilometro che misurava i livelli del Nilo, nonostante la distanza dal fiume di oltre 10 chilometri. Invece quello di destra poteva forse misurare l’altezza dell’acqua del canale dell’Osireion, che ancor oggi ha dei livelli diversi durante l’anno. Tutti e due i pozzi, comunque, servivano per purificare il visitatore. C’è però chi sostiene l’idea che forse il pozzo di destra potesse servire anche all’illuminato che doveva superare una speciale prova, quella di immergersi nell’ingresso di un percorso sotterraneo, per poi nuotare in apnea lungo un condotto di circa 120 m. situato proprio sotto il tempio di Sethi I, forse con delle camere di respiro per poter arrivare fino alle scale di accesso nel piano centrale del vicino tempio dell’Osireion. Una volta eseguiti rituali di particolare spiritualità, in questa specie di isola circondata dall’acqua di un canale, probabilmente si poteva aver accesso al corridoio ipogeo, non a caso lungo ancora circa 120 m., che però questa volta conduce all’esterno di tutto il complesso del tempio di Sethi I, in mezzo al deserto”.
I codici di Nag Hammadi. E forse non è neppure un caso, come intende Renier porre all’attenzione del pubblico in chiusura del suo incontro, che proprio a pochi chilometri da Abido, a Nag Hammadi, siano stati trovati antichi codici, risalenti al III – IV secolo d.C. e contenenti per la maggior parte scritti gnostici cristiani composti, probabilmente, intorno al II-III secolo d.C.. La scoperta risale al 1945, quando in una giara di terracotta un gruppo di beduini del villaggio di al-Qasr trovò alcuni papiri, che rimasero però nascosti per lungo tempo dopo il ritrovamento; andarono dispersi, ma furono fortunatamente recuperati, messi a disposizione degli studiosi. E infine pubblicati nel 1985. I testi sono scritti in copto antico, benché la maggior parte di essi siano stati tradotti dal greco. L’opera più importante presente in essi è il Vangelo di Tommaso, l’unico manoscritto della raccolta a essere completo. “Vorrei riuscire, nei miei prossimi eventi”, conclude Renier, “ad avvicinarmi a una più reale conoscenza del passato attraverso le mie immagini e soprattutto le mie esperienze egizie, con l’aiuto dei miei più cari amici studiosi, e assieme cercare di scoprire la vera storia che ci lega così incredibilmente all’antico Egitto dei faraoni”.
L’Antico Egitto a Vittorio Veneto. L’ing. Rubino nelle conferenze della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”, interviene su “Il codice geometrico armonico universale del sarcofago, piramide di Cheope”
Per i tanti appassionati dell’Antico Egitto che seguono Paolo Renier nella conoscenza dell’Osireion, un unicum nell’architettura della civiltà dei faraoni, cioè la mitica tomba di Osiride, il dio dell’Oltretomba cui era dedicata la città sacra di Abydos, il “codice geometrico armonico” studiato dall’ingegner Alfonso Rubino, esperto di geometria sacra, non è una novità. Lo studioso era già intervenuto a Conegliano nel 2014 in occasione della mostra di Paolo Renier a Palazzo Sarcinelli “EGITTO come Faraoni e Sacerdoti NEL TEMPIO DI OSIRIDE custodi di percorsi ormai inaccessibili” (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2014/10/29/lantico-egitto-a-conegliano-ce-un-codice-geometrico-armonico-alla-base-dellosireion-di-abido-lo-ha-scoperto-ling-rubino-grazie-ai-rilievi-reali/). Sabato 2 giugno 2018, alle 18, nell’aula magna della Rotonda di villa Papadopoli a Vittorio Veneto (Tv), messa a disposizione dall’associazione storico culturale Zheneda, per le conferenze promosse in occasione della mostra “Rispetto, Conoscenza e valore. 1989-2018, Paolo Renier per Abydos-Egitto”, Alfonso Rubino interviene su “Il codice geometrico armonico universale del sarcofago, piramide di Cheope”.
Lo studio, anticipa Rubino, si basa sulle misure del sarcofago della Grande Piramide di Giza eseguite nel 1883 da Sir William Matthew Flinders Petrie (227,63 x 97,79 x 104,92), misure in centimetri che ci portano a trovare una stretta correlazione con le misure e le proporzioni dell’Arca dell’Alleanza riportate nel Libro dell’Esodo (25, 10-21; 37, 1-9 ), rese col cubito ebraico pari a 44,45 cm. “Secondo questi dati l’Arca dell’Alleanza misurava dunque 111,125 cm. di lunghezza per 66,675 cm. di larghezza. Fin qui questi numeri dicono poco. Ma non per Rubino che prima inizia a disegnare un reticolo geometrico quadrato con semilato di lunghezza pari a 97,79 cm., cioè la larghezza del sarcofago di Cheope. Quindi procede a tracciare linee linee diagonali e linee verticali passanti dai punti di intersezione del rombo interno al reticolo quadrato e alle linee diagonali già tracciate. A Vittorio Veneto, assicura Rubino, queste operazioni saranno facilmente comprensibili dalla grafica. Qui dobbiamo accontentarci delle spiegazioni. “Dopo questi tracciamenti si giunge a identificare un quadrato che ha il lato pari a 11/14 di 195,58 cm. che dà 153,67 cm. E questa non è una misura qualsiasi”, spiega, “ma rappresenta una soluzione geometrica (approssimata) della quadratura del cerchio detta di Archimede: il perimetro del quadrato è uguale al perimetro della circonferenza inscritta nel reticolo quadrato e corrisponde al valore approssimato π ∗ = 22/7”.

Il modello geometrico armonico rappresenta l’icnogramma del Sarcofago della Grande Piramide (studio ing. Rubino)
Il percorso per giungere a identificare il “codice geometrico armonico” non è ancora concluso. Rubino arriva a tracciare 7 circonferenze dello stesso raggio pari ai 3/14 di 97,79 cm. (cioè la larghezza del sarcofago di Cheope) che dà 20,955 cm. Alla fine si riesce a tracciare un doppio profilo rettangolare. Il profilo rettangolare esterno misura 227,5003 cm. x 97,79 cm., mentre il profilo rettangolare interno 197,8654 cm. x 68,1552 cm. con una distanza tra i due profili di 14,8174 cm. “Il confronto tra le misure calcolate del modello e le misure rilevate del Sarcofago”, spiega Rubino, “dimostra una elevata coerenza dei dati. Ad esempio se osserviamo la leggera anomalia dello spessore della parete del lato Nord tra rilievo e modello e modifichiamo il dato rilevato con il valore medio degli altri tre spessori misurati, l’errore si riduce ulteriormente. Penso che il modello geometrico armonico presentato sia l’autentico icnogramma del Sarcofago della Grande Piramide”.

Negli studi dell’ing. Rubino il dio Shu del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell?osireion risponde agli stessi canoni dell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci
L’icnogramma del Sarcofago è suscettibile di un ulteriore sviluppo che permette di definire un nuovo rettangolo di proporzioni e dimensioni esattamente corrispondenti a quelle dell’Arca dell’Alleanza. L’icnogramma integrato del Sarcofago e dell’Arca dell’Alleanza permette a sua volta di spiegare e giustificare le proporzioni e le dimensioni di due primarie opere pittoriche di Leonardo da Vinci: l’Annunciazione , e la Vergine delle Rocce conservata al Museo del Louvre. “Lo studio presentato dimostra che sia il Sarcofago della Grande Piramide che l’Arca dell’Alleanza , descritta nella Bibbia, sono manufatti che derivano da un unico preciso icnogramma di quadratura del cerchio. Quadratura detta di Archimede. L’Arca dell’Alleanza è di fatto una filiazione compositiva del codice geometrico armonico del Sarcofago come lo sono l‘Annunciazione e la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci”. Concetti, studi, confronti che l’ingegnere spiegherà al pubblico di Vittorio Veneto, dando risposte a dubbi e curiosità dei presenti. Anche perché Rubino ha in mente un gran finale: l’applicazione del codice geometrico armonico al bassorilievo del dio Shu al centro del soffitto astronomico della stanza del sarcofago dell’Osireion di Abydos che ci porta direttamente all’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci. Un motivo in più per non mancare a Vittorio Veneto.
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