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Nel bimillenario della morte di Ovidio, al santuario di Ercole Vincitore a Tivoli (Roma) la mostra “E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe”: al centro il restaurato gruppo scultoreo di Niobidi scoperto a Ciampino nel 2012 insieme a opere sul mito realizzate nel corso dei secoli

Il santuario di Ercole Vincitore a Tivoli (Roma), uno dei maggiori complessi sacri dell’architettura romana in epoca repubblicana

Nell’antico Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli (Roma) si conserva un gruppo scultoreo di Niobìdi di estrema rilevanza. Ma non da molto. La sensazionale scoperta delle statue risale infatti a pochi anni fa, all’estate del 2012, nei pressi di Ciampino (Roma), all’interno del Barco Colonna, in una natatio (piscina) legata al quartiere termale di una villa romana, già attribuita alla famiglia dei Valerii Messallae. L’esponente più insigne della famiglia in età augustea, il celebre Marco Valerio Messalla Corvino, console nel 31 a.C. con Ottaviano, fu poeta egli stesso e protettore di Tibullo e di Ovidio e proprio nelle “Metamorfosi” di Ovidio possiamo leggere una delle descrizioni più celebri del mito di Niobe e dei suoi sventurati figli. Ecco che quindi la stimolante coincidenza della presenza del gruppo di Niobìdi a Tivoli con il bimillenario della morte del poeta Publio Ovidio Nasone avvenuta a Tomi (l’odierna Costanza, oggi in Romania), sul mar Nero, il 18 d.C., ha convinto l’Istituto Villa Adriana e Villa d’Este a promuovere la mostra “E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe”, che inaugura la prima stagione espositiva nelle vesti di nuovo organismo autonomo del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.

L’ingresso della mostra “E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe” al santuario di Ercole Vincitore a Tivoli (Roma)

Il progetto espositivo, curato da Andrea Bruciati e Micaela Angle, si sviluppa nell’Antiquarium del Santuario di Ercole Vincitore, fino al 23 settembre 2018, presentando per la prima volta al pubblico le statue dopo complesse operazioni di restauro. Il santuario di Ercole Vincitore è uno dei maggiori complessi sacri dell’architettura romana in epoca repubblicana. Situato a Tivoli, venne edificato nel corso del II secolo a.C. Si tratta di una struttura di dimensioni imponenti, realizzata con una serie di terrazzamenti, a picco sul fiume Aniene. La mostra è allestita in due nuove sale del Santuario che ne fungono da palcoscenico. Partendo proprio dal gruppo di Ciampino, l’esposizione esplora il mito di Niobe all’interno della tradizione attraverso un’attenta analisi dell’evoluzione e della fortuna di esso nei secoli: dall’iconografia della violenza nel Rinascimento si passa al XX secolo e si arriva fino al nuovo millennio, quando il tema è declinato in stilemi e rappresentazioni figurative che interessano l’attualità, come il genocidio e la guerra. In questa prospettiva, il tema della strage antica diventa, quindi, occasione di riflessione e confronto con l’iconografia della violenza dal Rinascimento all’età contemporanea, fino ai tempi nostri, connotandosi in stilemi e rappresentazioni figurative che interessano temi stringenti per l’attualità come il genocidio, la guerra, e rispecchiandosi nella grande letteratura contemporanea. Se uno degli obiettivi del progetto scientifico è quello di celebrare Ovidio, si vuole però qui “vivificare, attraverso l’analisi di un episodio delle Metamorfosi, un racconto lungo oltre duemila anni, dove l’interpretazione e l’eredità del mito vengono intesi quasi come storytelling mutante e impressivo”.

La testa di Niobe che fa parte del gruppo scultoreo di Niobidi scoperto a Ciampino

Ma cerchiamo di conoscere meglio il mito di Niobe, magistralmente narrato da Ovidio in Metamorfosi, VI, 146-312. In nostro aiuto viene uno dei curatori, Micaela Angle. “Niobe, regina di Tebe, sarebbe stata la più fortunata delle madri”, interviene, “se tale non fosse sembrata a se stessa (“Sono felice; chi potrebbe negarlo? L’abbondanza di figli mi rese sicura. Immaginate che si sottragga qualche parte a questa moltitudine; benché privata, non mi ridurrò al numero di due, che è la prole di Latona”, era il pensiero di Niobe)”. La dea si indigna e si rivolge ai figli, Apollo e Artemide, per essere vendicata. Vicino alle mura di Tebe, in un campo pianeggiante, i figli maschi di Niobe si esercitano a cavallo. Lì, i gemelli divini fanno strage dei fanciulli con arco e frecce. La notizia della sciagura e il dolore del popolo raggiungono Niobe, la quale si stupisce che gli dei abbiano potuto ciò e si adira che abbiano osato: “Godi, crudele Latona, del mio dolore e sazia il cuore – la sfida-; son portata alla tomba da queste morti. A me infelice, però, restano più figli che a te; anche dopo tante morti sono superiore”. Ha appena finito di parlare che risuona dall’arco la corda che atterrisce tutti, eccetto Niobe, sfrontata anche nella sventura. Dopo che sei figlie sono state uccise, resta l’ultima; la madre, ricoprendola con il corpo dice: “Una sola, la più piccola, lasciamene; di molte te ne chiedo una sola”. E mentre prega, quella cade. “Privata della famiglia – continua a raccontare Angle – si accascia e diviene di pietra; l’aria non muove i capelli, il colore del viso è esangue, gli occhi sono immoti nel volto, niente di vivo è nel suo aspetto. Anche la lingua nel palato si irrigidisce e i polsi cessano di battere; il collo non può piegarsi, né le braccia muoversi, né i piedi camminare; anche le viscere sono pietra. Avvolta in un turbine di vento, viene trasportata nella sua patria e, sulla vetta di un monte, si stempera in pianto. Tuttora il marmo stilla lacrime”, spiega Annamaria Stefani.

Una statua del gruppo di Niobidi restaurata ed esposta in mostra (foto Quirino Berti)

“Il mito, inteso come narrazione investita di sacralità”, scrive l’altro curatore, Andrea Bruciati, “può “spiegare” l’ordine profondo che regola l’esistenza, come la vita e la morte, i successi e le sconfitte, la natura e i fenomeni che ci circondano, tutto ciò che è accaduto e che accadrà. Attraverso gli intermediari con il mondo divino – sacerdoti, celebranti e ogni ministro del culto – il mito aiuta ed indirizza nell’interpretazione della realtà, cercando di superare e risolvere le contraddizioni della natura o della società. L’eccidio dei regali Niobidi da parte degli dei e la successiva trasformazione della madre addolorata in roccia, da cui sgorga una fonte d’acqua, offre diversi gradi di lettura; la vicenda dei Niobidi può essere scomposta in più nuclei: la presenza di un regno (Tebe), i suoi legittimi sovrani (Anfione e Niobe), la fortuna del regno (espressa dalla prolificità dei regnanti), l’eliminazione della stirpe e dei regnanti. Un secondo tema, che può essere considerato del tutto separato, è la manifestazione del dolore e, invece della morte, la trasformazione in roccia e in fonte d’acqua perenne: la metamorfosi di Niobe descritta da Ovidio. La prima parte del mito è fortemente legata all’importanza della polis di Tebe, e al ruolo e alla posizione dei regnanti. L’arroganza della regina Niobe che avoca a sé, per merito di prolificità, onori e beni destinati agli dei è il pretesto della strage dei suoi figli. La casata reale perde, quindi, la sua discendenza e pertanto non potrà trasmettere, legittimamente, l’autorità e il potere di governare il regno. La rappresentazione artistica della vicenda mitologica invia, quindi, un feroce monito ai rappresentanti della regalità o di un potere egemonico”.

La ricomposizione in mostra, dopo il restauro, del gruppo di Niobidi scoperto a Ciampino nel 2012

I Niobidi di Ciampino – si è detto – sono stati recuperati all’interno di una piscina annessa a una villa di prima età imperiale (fine I sec. a. C. – II sec. d. C.). “Le statue – sottolinea Angle – facevano parte di un gruppo, probabilmente replica di un originale più antico. Solo alcune delle 13 o 15 sculture marmoree originariamente presenti, sono state rinvenute: quelle dei figli potevano verosimilmente essere allestite attorno alla piscina, mentre Niobe, di cui si è preservata solo la testa, doveva occupare un basamento in peperino al centro della medesima vasca. In tal modo, la madre, per sempre fissata nella pietra come nel racconto della tradizione, alimentava idealmente con le proprie lacrime la piscina, in un gioco di rimandi tra il mito e la sua rappresentazione. Non erano probabilmente rappresentati Apollo e Artemide, artefici dell’eccidio, la cui invisibilità doveva accrescere la drammaticità della scena, ben esprimendo l’imperscrutabilità del volere e della punizione divina. L’interesse del ciclo deriva proprio dalla possibilità di coglierne il contesto, che ne amplifica i significati, sebbene, sulla base dei più recenti restauri, la sistemazione delle statue attorno alla piscina paia essere stata adottata per queste sculture solo in seconda battuta”. Il restauro del gruppo statuario dei Niobidi è stato di particolare impegno a causa dell’avanzato stato di corrosione del marmo. “Le superfici delle sculture – continua – erano di difficile lettura perché rivestite da uno spesso strato di terra che non era possibile rimuovere senza asportare grani di marmo. Anche nelle zone con meno incrostazioni era evidente un’avanzata corrosione della pietra che aveva perso la superficie originaria e si presentava erosa e disgregata”. Col primo intervento di restauro, curato dalla CBC Conservazione Beni Culturali e finanziato dall’allora Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, è stata rimossa la terra, e incollati i piccoli frammenti non eccessivamente pesanti. Col secondo intervento, finalizzato alla ricomposizione, allo studio e alla realizzazione dei supporti per la staticità e la movimentazione, affidato alla ditta Carlo Usai e finanziato dalla Confederazione Elvetica, nel quadro di un accordo bilaterale Italia-Svizzera, sono stati ricomposti i frammenti ritenuti pertinenti ad alcune sculture. “L’eventuale spazio tra i frammenti è stato colmato da integrazioni in malta o resina, secondo le necessità. Per risolvere tecnicamente il problema della stabilità delle opere sono stati realizzati inoltre appositi supporti, parzialmente vincolati alle basi nella superficie d’appoggio. Tale intervento è stato anche l’occasione per effettuare delle osservazioni sull’originario allestimento dei componenti del gruppo, in relazione al grado di inclinazione delle basi antiche”.

L’allestimento della mostra sul mito di Niobe a Tivoli

“Inserita in spazi generalmente adibiti all’arte antica”, spiegano i curatori, “la mostra infrange la divisione tra passato e contemporaneo così come quello tra esposizione temporanea e collezione permanente, ipotizzando una commistione trasversale di questi logoi che metta in luce le caratteristiche intrinseche ai siti che compongono il nuovo Istituto. Interamente modellato attraverso piattaforme diacroniche di pensiero, il progetto propone infatti un percorso non soltanto visivo, ma anche letterario, immaginario e musicale, ispirandosi alla poesia stessa del grande poeta romano. Oltre al gruppo scultoreo centrale, l’esposizione presenta un ampio panorama di capolavori che nei secoli hanno riguardato la vicenda di Niobe. Il progetto espositivo si compone infatti di pregiate ceramiche antiche a figure rosse, come quella del Pittore di Arpi rappresentante Andromeda e Niobe, insieme ai marmi bianchi proveniente dai secoli successivi e ai fregi rinascimentali realizzati da Polidoro da Caravaggio, fino al celebre Nudo e Albero firmato da Mario Sironi degli anni ’30 del ‘900 e al Red Carpet di Giulio Paolini che esprime l’atrocità della strage in chiave contemporanea”.