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Archeologia sperimentale. Ricostruito il telaio verticale ed esposto nella Domus Tiberiana sul Palatino insieme ai 63 pesi originali lì ritrovati nel 2010. Il parco archeologico del Colosseo ha raccontato e documentato questa ricerca nel video “Nodi al pettine. Un’esperienza di archeotecnologia”, a cura di Andrea Schiappelli

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Frame del video “Nodi al pettine. Un’esperienza di archeotecnologia” prodotto dal parco archeologico del Colosseo

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La Domus Tiberiana sul colle Palatino, riaperta al pubblico nel settembre 2023, a 50 anni dalla chiusura per gravi problemi strutturali (foto PArCo)

Nel 2010, in un ambiente dell’ala occidentale della Domus Tiberiana sul colle Palatino sono stati messi in luce i resti di un telaio del I sec. d.C., rappresentati da ben 63 pesi di argilla che servivano a tenere tesi i fili. Nel 2023, il nuovo allestimento espositivo della Domus Tiberiana (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2023/09/21/roma-riaperta-al-pubblico-la-domus-tiberiana-a-50-anni-dalla-chiusura-per-gravi-problemi-strutturali-4-ettari-sul-colle-palatino-con-uno-speciale-allestimento-museale-imago-imperii/) è stata l’occasione giusta per ricostruire il telaio in modo “filologico”, pesi di argilla compresi. Il parco archeologico del Colosseo lo ha raccontato in un video documentario: “Nodi al pettine. Un’esperienza di archeotecnologia”, a cura di Andrea Schiappelli per la regia di Flaviano Pizzardi, con Massimo Massussi e Sonia Tucci (archeologi, Società Cooperativa Matrix Novantasei), Ettore Pizzuti (archeotecnologo) e Fulvio Coletti (archeologo – PArCo). Ecco il video prodotto dal Servizio Educazione Didattica e Formazione del PArCo (Andrea Schiappelli-Responsabile, Francesca Boldrighini, Silvio Costa, Silvia D’Offizi, Elena Ferrari, Francesca Ioppi, Federica Rinaldi).

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Il telaio verticale ricostruito nelle sale espositive della Domus Tiberiana sul Palatino (foto matrix96/PArCo)

“Le circostanze del rinvenimento dei 63 pesi da telaio messi in mostra nella sala 5 della Domus Tiberiana”, spiega Fulvio Coletti, archeologo del PArCo, “risalgono al 2010 nell’ambito di una importante campagna di scavi in cui si indagarono il settore occidentale e nord della Domus Tiberiana. Nell’ambito di quegli scavi si andarono a investigare i livelli sottostanti il palazzo imperiale e vennero rinvenute cinque domus, tracce naturalmente di domus, perché furono messe in luce solo parti di queste strutture. Nell’ambito di una di queste domus, la più centrale, fu rinvenuto tutto questo importante numero di pesi da telaio, che fece pensare gli archeologi fosse stato abbandonato un telaio – in legno naturalmente – dell’epoca di utilizzo della casa, quindi della I metà del I sec. d.C. Questi pesi sono ora allestiti ed esposti in una teca accanto al telaio ricostruito e testimoniano attività domestiche che si svolgevano in questa domus”.

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Sonia Tucci sperimenta il ricostruito telaio verticale romano (foto matrix96/PArCo)

“Questo è un telaio verticale autoportante a 4 licci”, illustra Sonia Tucci, archeologa sperimentale, “e lo monteremo mettendo un subbio orizzontale nella parte alta. A questo andremo ad attaccare l’ordito, poi dei separatori orizzontali che permetteranno ai fili con i pesi di andarsi a posizionare nella parte posteriore del telaio. E poi andiamo a posizionare le aste e i licci. Sulle aste poi andremo a montare i licci. Le aste porta-liccio stanno nella posizione attiva, mentre questa è la posizione a riposo. Chiaramente spostando l’asta-liccio dalla posizione dalla posizione riposo alla posizione attiva abbiamo la possibilità di far passare la spoletta all’interno del passo dei fili d’ordito. Quattro licci consentono di strutturare un tessuto a saia con una decorazione differenziata che va dalla spia di pesce al diamante. Quando andremo a montare l’ordito, i fili dell’ordito saranno messi in tensione da dei pesi di ceramica che li faranno scendere nella verticale. I pesi sono stati realizzati in argilla. Quelli che si vedono sono in terracotta e sono una riproduzione fatta mediante un’analisi prima tecnico-funzionale e sperimentale dei materiali che provengono dal record archeologico e successivamente sono stati riprodotti fedelmente al materiale archeologico. Questi verranno montati su ogni asta porta-liccio. I licci andranno quindi a separare i fili dell’ordito e avremo una disposizione di circa 5 fili per centimetro”.

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Un peso da telaio rinvenuto nella Domus Tiberiana sugli appunti della ricerca sperimentale (foto matrix96/PArCo)

“Vista l’importanza del contesto e del ritrovamento del telaio e dei suoi pesi”, interviene Andrea Schiappelli, archeologo del PArCo, “abbiamo pensato come Servizio didattica di documentare con un video il grande lavoro di ricostruzione che è stato organizzato a livello filologico, di archeologia sperimentale, di questo telaio. Abbiamo voluto, come principio, valorizzare un oggetto – un oggetto che ha poi dietro un lavoro – che non fosse diverso da una statua, un rilievo architettonico o da una pittura o un dipinto, per valorizzare alcuni aspetti della vita quotidiana e dei processi di produzione che sono dietro alla vita quotidiana. Come lo era il lavoro del ceramista, chi tesseva aveva dietro una capacità tecnica e un apprendimento sicuramente complesso e prolungato perché usare un telaio non è affatto un’attività facile e scontata. Così come non lo è costruirlo. E grazie al lavoro attentissimo di grande cura di Sonia Tucci, Massimo Massussi ed Ettore Pizzuti, e che stiamo appunto documentando, questa complessità nel fare il telaio e nell’usarlo sicuramente verrà fuori e potrà essere apprezzata da tutti voi”.

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L’archeologo sperimentale Massimo Massussi nella realizzazione del telaio verticale della Domus Tiberiana (foto matrix96/PArCo)

“Le essenze che abbiamo utilizzato”, ricorda Massimo Massussi, archeologo sperimentale, “sono essenze che si ritrovano in Italia già a partire dall’epoca preistorica e protostorica, e in epoca romana. Probabilmente la circolazione di legna era anche molto diffusa. In questo caso sono abete e pino per la struttura portante e per quello che riguarda invece il subbio, la struttura che in realtà dovrà tenere in modo particolare i pesi invece è il faggio. Il faggio è un legno molto utilizzato per quello che riguarda anche la cantieristica navale, e veniva utilizzato per le barche storiche per realizzare gli alberi delle vele. Normalmente ritroviamo l’abete in questa forma, questo semplicemente non è lavorato, sarebbe da scortecciare per far venir fuori l’essenza vera e propria. Questo è il faggio che si ritrova appunto andando a raccoglierlo. E poi c’è un altro legno che veniva probabilmente utilizzato per fare le parti più dure, con una stagionatura molto lunga: è il castagno che generalmente viene utilizzato per fare i piedi che sostengono tutta la struttura. La struttura è stata realizzata senza un chiodo di metallo: sono tutti incastri maschio-femmina e sono stati applicati al posto dei chiodi di metallo quelli di legno”.

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Il telaio verticale ricostruito nelle sale espositive della Domus Tiberiana sul Palatino (foto matrix96/PArCo)

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Archeologia tessile: tessuti realizzati con il telaio verticale ricostruito (foto matrix96/PArCo)

“Il telaio esposto qui nella Domus Tiberiana è una struttura molto complessa”, riprende Sonia Tucci, archeologa sperimentale. “È un telaio verticale autoportante a quattro licci. E su questo telaio è stata realizzata una porzione di tessuto. La cosa interessante è che è stata realizzata anche una decorazione dei bordi con lavorazione a tavoletta. L’archeologia tessile è un ambito di studio particolarmente multiforme. Ci sono diversi ambiti di studio dell’archeologia tessile. La presenza dei tessuti all’interno di scavi archeologici è abbastanza rara, soprattutto in Italia, e tutto ciò è dovuto ad aspetti ambientali, di conservazione dei materiali. Certo è che possiamo rinvenire tracce di tessitura su alcuni reperti, ad esempio i reperti metallici. Dove rinveniamo appunto la traccia della tessitura su porzioni, ad esempio, di fibule o di coltelli, in stato di mineralizzazione”.

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Archeologia sperimentale: copie dei tesi di telaio scoperti nel 2010 nella Domus Tiberiana (foto matrix96/PArCo)

“L’archeologia sperimentale”, chiude Massimo Massussi, archeologo sperimentale, “è una disciplina che possiamo considerare in termini di convergenze di tante altre discipline. Quindi si parte ovviamente dall’archeologia e dalla ricerca di dati, quindi attraverso i nostri scavi archeologici, stratigrafici, e di conseguenza al recupero di manufatti, che ovviamente in molti casi devono essere studiati e analizzati, e interpretati. A cosa serve l’archeologia sperimentale? Serve per capire la tecnologia di produzione e in modo particolare anche la funzione degli oggetti, in questo caso dei manufatti, e quindi la possibilità di farli rivivere e rimetterli in funzione. L’archeologia sperimentale nasce alla fine degli anni ’60 – inizio anni ’70 in connessione in modo particolare con lo studio delle industrie litiche paleolitiche con la riproduzione quindi di manufatti in pietra scheggiata che hanno dato la possibilità agli studiosi di poter capire la tecnologia legata a questo tipo di materiale, e in modo particolare la possibilità di andarne a interpretare la funzione. Quindi l’archeologia sperimentale in questo senso è utilissima per poter ricostruire il passato, per poterlo interpretare, per avvicinarci il più possibile alla funzione degli oggetti e alla loro tecnologia. E sicuramente alla possibilità poi di ricostruire oggetti anche di un certo tipo, legati magari anche a delle esposizioni museali, quindi l’allestimento di musei. Nel nostro specifico caso di studio – conclude -, quello appunto della riproduzione di un telaio di epoca romana, accertato dalla presenza di circa 60 pesi da telaio rinvenuti all’internodi alcuni ambienti di questo importante edificio che si trova al centro di Roma, sostanzialmente abbiamo avuto l’incarico di svolgere questa ricerca, la riproduzione di un telaio funzionale, quindi che sia un oggetto realmente funzionale per essere esposto e fruibile dal pubblico”.