“Gli Ori di Vulci, dal sequestro al restauro”: in mostra a Roma l’eccezionale corredo funerario di una dama etrusca di 2700 anni fa, sequestrato ai tombaroli più di mezzo secolo fa e “riscoperto” nei depositi solo nel 2010

Il manifesto della mostra “Tesori per l’Aldilà. La Tomba degli Ori di Vulci. Dal sequestro al restauro” al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma
Trafugati, recuperati, dimenticati, ritrovati: sono ori lucenti, pendenti raffinati e preziosissimi scarabei ora al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma nella mostra “Tesori per l’Aldilà. La Tomba degli Ori di Vulci. Dal sequestro al restauro” risultato di una grande scoperta giunta però non da uno scavo sul terreno, ma dal museo. Successe sei anni fa. Era il 2010 quando gli archeologi aprirono delle casse “riemerse” nei depositi durante i lavori di riallestimento del museo Archeologico nazionale di Vulci al castello della Badia. E alla vista del contenuto strabuzzarono gli occhi: lì dentro c’era un vero e proprio tesoro, un corredo ricchissimo che doveva accompagnare nell’aldilà una qualche nobile etrusca di 2700 anni fa. Ma da dove proveniva quel tesoro eccezionale? “Tra la meraviglia degli archeologi”, ricorda Alfonsina Russo, soprintendente Archeologia per l’Etruria meridionale, “partirono le indagini, a suon di materiali d’archivio e testimonianze. Fino a risalire a un sequestro effettuato dai carabinieri a Ischia di Castro, nel Viterbese, nel giugno del 1962, quando monili e gioielli furono miracolosamente sottratti ai tombaroli”. Quel meraviglioso corredo doveva essere appartenuto alla cosiddetta Tomba degli Ori – denominazione non casuale -, una tomba trafugata dalla necropoli della Polledrara, proprio a Vulci, che nel VII sec. a.C. era una megalopoli straordinaria, estesa su oltre 100 ettari, dall’entroterra al mare, abitata da molte migliaia di persone (e per questo negli anni ’60 meta prediletta degli scavi clandestini). La necropoli della Polledrara comunque continua anche oggi a regalare scoperte straordinarie e, purtroppo, ad attirare tombaroli senza scrupoli. Proprio quest’inverno la necropoli vulcente ha restituito un altro preziosissimo tesoro appartenuto a una “principessa bambina” e ora al centro di una vasta campagna di scavi (vedi https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/2016/03/10/parco-archeologico-di-vulci-scoperta-nella-tomba-dello-scarabeo-doro-fine-viii-sec-a-c-inviolata-il-tesoro-di-una-principessa-etrusca-bambina-salvato-al-saccheggio-de/).
Se ora i gioielli della Tomba degli Ori – a più di mezzo secolo dal sequestro – risplendono nelle teche di Villa Giulia, è grazie al lavoro di restauro dell’ISCR e al contributo filantropico della Fondazione Paola Droghetti onlus, che dal 1998, attraverso il finanziamento di borse di studio a ex allievi o laureandi della Scuola di Alta Formazione dell’istituto, contribuisce al recupero e alla valorizzazione del patrimonio artistico e archeologico italiano. Per la progettazione dei supporti sono state impiegate le tecnologie 3D, mentre le analisi radiografiche e di fluorescenza dei raggi X hanno permesso all’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro l’identificazione delle leghe di metalli, per lo più rivestite in oro. “I diversi materiali che compongono questo corredo funerario, metalli come l’oro, l’argento e il bronzo, ma anche ambra, pasta vitrea e faïence”, raccontano le restauratrici Irene Cristofari e Flavia Puoti, “hanno richiesto un approccio multidisciplinare e interventi conservativi differenziati”.
Appuntamento dunque al museo nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma dove, nella sala 21, fino al 31 dicembre è aperta la mostra “Tesori per l’Aldilà. La Tomba degli Ori di Vulci. Dal sequestro al restauro”, realizzata in collaborazione con la soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria meridionale, l’Istituto superiore per la Conservazione e il restauro e la fondazione Paola Droghetti. Tra i pezzi più belli esposti, una sontuosa fibula da parata in lega d’oro, tre rari pendenti a disco in argento dorato con simboli astrali. E poi tre scarabei portafortuna incastonati in pendenti-sigillo di tipo siro-fenicio e un raffinato bracciale tubolare in argento decorato in filigrana d’argento dorata insieme a lamine finemente intarsiate e grandi vasi in bronzo realizzati da artigiani provenienti dal Mediterraneo orientale. Tutto a testimoniare l’alto rango della dama vulcente che ne era proprietaria e un significativo spaccato della composita temperie culturale che connotò Vulci nella prima Età Orientalizzante. Ecco quindi che la Tomba degli Ori, conclude Barbara Davidde Petriaggi, la coordinatrice del progetto, “nel restituirci un tesoro ci svela pure gli intensi scambi marittimi che gli Etruschi avevano con i Greci e i Fenici, spinti sulle coste del Lazio settentrionale dall’esigenza di attingere alle fonti di approvvigionamento di materie prime necessarie al progresso industriale e tecnologico”.
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CHI SIAMO
Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)



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