Archivio tag | Homo Habilis

Paleoantropologia in lutto. Si è spento nella sua Nairobi a 77 anni il “padre dell’Homo erectus” Richard Leakey, figlio di Louis e Mary Leakey che gli hanno trasmesso la passione per la ricerca di fossili umani. Ha dimostrato che l’umanità si è evoluta in Africa. Sua la scoperta del “Ragazzo del Turkana” di 1.6 milioni di anni fa

Il paleoantropologo kenyota Richard Leakey si è spento all’età di 77 anni

“Origins” è stato il suo primo libro famoso. Lo scrisse nel 1977, quasi alla fine di un decennio era stato protagonista di spedizioni in Kenya con la scoperta dei crani fossili di Homo habilis (1,9 milioni di anni) nel 1972 e di Homo erectus (1,6 milioni di anni) nel 1975 che ricalibrarono la comprensione scientifica dell’evoluzione umana. Un successo sancito dalla copertina della rivista Time con Richard Leakey in posa con un modello di Homo habilis sotto il titolo “How Man Became Man”. L’inizio dell’anno si è portato via all’età di 77 anni il famoso paleoantropologo, ambientalista e politico keniano Richard Leakey, le cui scoperte rivoluzionarie hanno contribuito a dimostrare che l’umanità si è evoluta in Africa. È morto il 2 gennaio 2022 nella sua casa fuori Nairobi, dove era nato il 19 dicembre 1944 da Louis e Mary Leakey, tra i più famosi scopritori mondiali di ominidi. Leakey ha ereditato dai genitori la vocazione per la paleoantropologia, ovvero lo studio dei reperti fossili umani. Ad annunciarne la morte “con profondo dolore” il presidente del Kenia, Uhuru Kenyatta. Leakey soffriva da anni di tumori alla pelle e affezioni renali ed epatiche. Nel 1969 gli era stata diagnosticata una malattia renale terminale, e nel 1979, all’aggravarsi della malattia, aveva ricevuto un trapianto di rene da suo fratello Philip, permettendogli di riprendersi. 

kenya_ragazzo-del-turkana_scheletro

Lo scheletro fossile del “Ragazzo del Turkana” di 1.6 milioni di anni fa scoperto da Richard Leakey

kenya_ragazzo-del-turkana_fase-della-ricostruzione-facciale

Le fasi della ricostruzione facciale del “Ragazzo del Turkana” di 1.6 milioni di anni fa

Era già un noto cacciatore di fossili quando fece il suo ritrovamento di fossile più famoso: il Ragazzo del Turkana. Era il 23 agosto 1984 quando l’équipe diretta del paleoantropologo Richard Leakey, nel giacimento di Nariokotone in prossimità delle sponde del lago Turkana in Kenya, scoprì uno scheletro quasi completo (mancano soprattutto mani e piedi), di un giovane Homo ergaster morto a circa 9-12 anni, 1.6 milioni di anni fa all’inizio del Pleistocene. Classificato inizialmente come Homo erectus viene ora attribuito alla specie Homo ergaster. La scoperta e la sua interpretazione fu riportata nel libro “Origins Reconsidered”, scritto da Leakey con Roger Lewin e pubblicato nel 1992. Ma Richard Leakey si era già allontanato dalla paleontologia fin dal 1989, lasciando la moglie Meave Leakey e la figlia Louise Leakey a condurre le ricerche paleontologiche nel Nord del Kenya, e dedicandosi alla difesa dell’ambiente e contrastando il bracconaggio degli elefanti, come presidente del Kenya Wildlife Service (KWS).

Paleontologia. Eccezionale scoperta in Sudafrica: trovate le ossa fossili dell’Homo Naledi, un po’ primitivo e un po’ moderno, che si distingue da tutte le specie finora conosciute. Forse seppelliva i morti

Il paleontologo Lee Berger, capo della missione in Sudafrica, mostra un fossile di Homo Naledi trovato nella grotta Rising Star

Il paleontologo Lee Berger, capo della missione in Sudafrica, mostra un fossile di Homo Naledi trovato nella grotta Rising Star

Un po’ primitivo, un po’ moderno: aveva le mani in grado di arrampicarsi sugli alberi, ma i piedi quasi identici ai nostri per una deambulazione eretta. È stata scoperta in Sudafrica una nuova specie umana, una scoperta senza precedenti nella storia della paleontologia. Questo ominide, un po’ cugino lontano dell’uomo, un po’ fratello, è stato chiamato Homo Naledi, perché la grotta della scoperta vicino a Johannesburg si chiama stella nascente (Rising Star). E Naledi significa stella nella lingua Sesotho, usata da alcune tribù sudafricane. È il più grosso ritrovamento di ossa di ominidi mai avvenuto: tutto è cominciato nella grotta detta Rising Star, a una cinquantina di chilometri a nordovest di Johannesburg, dove sono stati scoperti oltre 1500 elementi fossili, appartenenti a una quindicina di individui. L’Homo Naledi, ominide con caratteristiche primitive e moderne al tempo stesso, non era molto alto, era piuttosto snello, aveva un cervello minuscolo, ma forse seppelliva già i suoi morti, ben prima dell’Homo sapiens. I diversi sedimenti ritrovati nella caverna non permettono ancora di datare le ossa e risalire alla sua età, ma secondo gli studiosi questa nuova specie umana scoperta in Sudafrica potrebbe avere tra i due milioni e i due milioni e mezzo di anni. I resti fossili erano ammucchiati in una cavità accessibile solo attraverso un pozzo talmente stretto che per recuperarli è stato arruolato uno speciale team di speleologi e ricercatori che fossero magri abbastanza per entrarci con le braccia alzate sopra la testa. Questa è una regione conosciuta dai ricercatori già dai primi decenni del Novecento come possibile “culla dell’umanità”, vista la quantità di fossili e reperti rinvenuti.

Il paleontologo Lee Berge nella grotta Rising Star dove sono stati trovati 1500 elementi fossili di Homo Naledi

Il paleontologo Lee Berger nella grotta Rising Star dove sono stati trovati 1500 elementi fossili di Homo Naledi

L’annuncio dell’incredibile ritrovamento è stato dato dalla University of Witswaterstrand di Johannesburg, dalla National Geographic Society e dal Dipartimento per la Scienza e la Tecnologia/ National Research Foundation del Sudafrica ed è stato pubblicato dalla rivista scientifica eLife. Un approfondimento della ricerca verrà pubblicato sul numero di ottobre del National Geographic. I frammenti recuperati finora appartengono – come si diceva – ad almeno 15 individui della stessa specie: molti altri, si crede, restano da recuperare. “Poiché abbiamo a disposizione esemplari multipli di quasi tutte le ossa del suo corpo”, dice il paleontologo Lee Berger, che ha guidato le spedizioni di scoperta e recupero, “Homo naledi è già praticamente la specie fossile meglio conosciuta nella linea evolutiva dell’uomo”. Uno dei membri del gruppo del professor Lee Berger è lo scienziato italiano Damiano Marchi del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa.

La ricostruzione di Homo Naledi con le centinaia di ossa fossili disponibili ai paleontologi

La ricostruzione di Homo Naledi con le centinaia di ossa fossili disponibili ai paleontologi

Le ossa delle mani di Homo Naledi: appaiono adatte all'utilizzo di utensili, ma le dita sono curve, poteva arrampicarsi

Le ossa delle mani di Homo Naledi: appaiono adatte all’utilizzo di utensili, ma le dita sono curve, poteva arrampicarsi

È proprio il contesto in cui sono stati ritrovati i fossili a far emergere quello che probabilmente è l’aspetto più straordinario della scoperta: Homo Naledi forse seppelliva i suoi morti e la sepoltura finora era considerata una pratica iniziata con l’uomo moderno (risalente a 200mila anni fa, con l’Homo Sapiens). Le ossa di neonati, bambini, adulti e anziani, infatti, giacevano in un anfratto molto profondo. “Quella camera è stata sempre isolata dalle altre e non è mai stata direttamente aperta verso la superficie”, assicura Paul Dirks della James Cook University nel Queensland, in Australia, primo firmatario dell’articolo che descrive il contesto della scoperta. “Soprattutto, in questo remoto anfratto mancavano fossili appartenenti ad altri animali di rilievo; c’erano praticamente solo resti di Homo Naledi”. Gli unici elementi fossili non appartenenti all’ominide (una dozzina di elementi su oltre 1500) sono resti isolati di topi e uccelli: la cavità attirava pochi frequentatori occasionali. Le ossa di Homo Naledi non presentano segni di morsi di predatori o saprofagi e non sembrano trasportate fin lì da qualche altro agente esterno, come un flusso d’acqua. “Abbiamo esplorato tutti gli scenari alternativi”, dice Lee Berger, il capo della spedizione: “Una strage, la morte accidentale dopo essere rimasti intrappolati nella grotta, il trasporto da parte di un carnivoro sconosciuto o di una massa d’acqua, e altri ancora. Alla fine, l’ipotesi più plausibile è che gli Homo Naledi abbiano intenzionalmente depositato laggiù i corpi dei defunti” e che, dunque, fossero proprio dediti alla sepoltura ben prima dell’Homo sapiens. Se fosse confermata, la teoria farebbe pensare che questa specie fosse già capace di un comportamento ritualizzato (vale a dire ripetuto) finora attribuito solo agli esseri umani moderni. “Questa grotta non ha ancora svelato tutti i suoi segreti”, conclude Berger. “Ci sono ancora centinaia, se non migliaia di resti ancora da studiare sepolti laggiù”

Una ricostruzione della testa di Homo Naledi realizzata dal paleoartista John Gurche, che ha lavorato sulla base delle scansioni delle ossa ritrovate, utilizzando pelliccia di orso per simulare i peli e i capelli. Fotografia di Mark Thiessen (National Geographic Society)

Una ricostruzione della testa di Homo Naledi realizzata dal paleoartista John Gurche, che ha lavorato sulla base delle scansioni delle ossa ritrovate, utilizzando pelliccia di orso per simulare i peli e i capelli. Fotografia di Mark Thiessen (National Geographic Society)

Confronto tra ominidi: Lucy, fossile di 3,2 milioni di anni fa scoperto in Etiopia nel 1974; il ragazzo del Turkana, fossile di 1,6 milioni di anni fa trovato in Kenia nel 1984; e l'Homo Naledi

Confronto tra ominidi: Lucy, fossile di 3,2 milioni di anni fa scoperto in Etiopia nel 1974; il ragazzo del Turkana, fossile di 1,6 milioni di anni fa trovato in Kenia nel 1984; e l’Homo Naledi

“Complessivamente, Homo Naledi appare come una delle specie più primitive del genere Homo”, spiega John Hawks della University of Wisconsin-Madison, uno degli autori dell’articolo che descrive la nuova specie, “ma ha alcune caratteristiche sorprendentemente umane, tali appunto da farlo ricomprendere nel genere Homo cui apparteniamo anche noi. Aveva un cervello minuscolo, più o meno delle dimensioni di un’arancia, posto in cima a un corpo relativamente lungo e snello”. Secondo i ricercatori, Homo Naledi doveva essere in media alto circa un metro e mezzo e pesare 45 chili. Il cranio e i denti appaiono abbastanza simili a quelli di alcune specie più primitive del genere Homo, come Homo Habilis e le spalle somigliano di più a quelle delle grandi scimmie. Mani e piedi, invece, ci dicono molto di lui e delle sue abitudini: “Le mani appaiono adatte all’utilizzo di utensili”, dice Tracy Kivell della University of Kent, che ha fatto parte del team che ha studiato l’anatomia della nuova specie, “ma le dita sono molto curve, il che fa pensare che fosse molto bravo ad arrampicarsi”. Quanto ai piedi, sono il tratto anatomico più sorprendente, perché “sono praticamente indistinguibili da quelli di un essere umano moderno”, aggiunge William Harcourt-Smith del Lehman College della City University of New York, un altro studioso che ha partecipato alla ricerca. Le caratteristiche dei piedi e delle gambe slanciate fanno pensare che la specie fosse adatta anche a lunghe camminate. “La particolare combinazione dei tratti anatomici distingue Homo Naledi da tutte le specie finora conosciute”, conclude Berger.