La capanna-granaio in legno di quercia del II sec. a.C. scoperta a Capannori (Lucca), reperto unico in Italia, sarà esposta nel locale museo archeologico Athena: emersa dal limo 10 anni fa, è stata salvata con un lungo e delicato restauro che si sta concludendo in queste settimane
Sono passati dieci anni dal suo ritrovamento. Ma non sono passati invano. Quella capanna in legno di 2200 anni fa scoperta a Capannori di Lucca nel 2006, che fin da subito apparve come un reperto archeologico di straordinario valore, un unicum in Italia per il suo stato di conservazione, probabilmente uno spazio adibito al deposito delle granaglie – un granaio, quindi -, è ormai pronta per essere presentata al grande pubblico. La lunga e delicata opera di consolidamento e restauro dei ‘legni’ che compongono l’edificio ipogeo, resa possibile grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, sta per terminare e il prossimo autunno sarà collocato all’interno del museo archeologico ed etnografico Athena di via Carlo Piaggia a Capannori (Lucca). “L’eccezionalità del reperto ci ha spinto a contribuire al suo recupero”, spiega Maido Castiglioni, vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, “affinché un patrimonio storico e culturale di grande valore non andasse disperso e fosse fruibile dal pubblico. Il sostegno alla cultura è infatti uno degli obiettivi della nostra fondazione. Siamo soddisfatti che il restauro dell’opera sia quasi concluso e che tra alcuni mesi possa essere esposta al pubblico”.

Tecnici, archeologi e amministratori presentano al museo Athena il restauro e la musealizzazione dell’eccezionale ritrovamento
L’edificio in legno di quercia risalente al II secolo a.C., fu ritrovato – come si diceva – nel 2006 durante gli scavi per la costruzione del nuovo casello autostradale del Frizzone. Si tratta di una “capanna” quadrangolare con i lati di 4 e 5 metri di cui è rimasta in ottimo stato di conservazione la parte interrata, alta circa un metro e mezzo, che riporta una gradinata su di un lato. La “capanna”, secondo gli esperti, faceva parte di un piccolo villaggio e con tutta probabilità fu costruita da liguri che si erano integrati con la colonia latina di Lucca. Al suo interno sono stati ritrovati resti di granaglie per cui è molto probabile che la struttura svolgesse la funzione di granaio. “L’edificio ligneo”, spiegano gli archeologi, “è stato costruito con la tecnica Blockau (o alternis trabibus, con terminologia vitruviana) che prevede che i tronchi o travi siano sovrapposti orizzontalmente fino a formare delle pareti, con l’aggancio ottenuto agli angoli, dove vengono ricavate delle connessioni che permettono l’incasso e l’irrigidimento della struttura”. Le tecniche e il processo di restauro del granaio ipogeo e la sua futura musealizzazione sono stati illustrati al museo Athena dall’assessore alla Cultura, Silvia Amadei, Giulio Ciampoltrini della soprintendenza Archeologia della Toscana, Alessandro Giannoni direttore del museo Athena, Maido Castiglioni vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, Mauro Lazzaroni presidente del Gac (gruppo archeologico capannorese) e Marcello Piacenti del Centro Restauro Piacenti di Prato che ha recuperato il reperto archeologico.
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I restauri sono stati affidati al Laboratorio della Piacenti spa di Prato, specializzata in interventi di recupero dii siti archeologici
l restauro. “Dalla conclusione delle operazioni di scavo, nel 2007”, spiegano i tecnici, “il reperto è stato estratto dal manto limoso che lo rivestiva completamente grazie all’asportazione del terreno circoscritto ed una prima pulitura dello spessore di fango superficiale. Si è poi provveduto a smontare la struttura e disporla in casse di materiale permeabile (legno di abete) con segatura di essenze, senza tannino, per permettere un trasporto più sicuro in laboratorio. Dopo il trasporto nel Laboratorio della Piacenti spa, le travi sono state asportate dalle casse di abete e sono state adagiate su carrelli mobili, dove è stato possibile asportare la maggior parte dei fanghi e dei residui terrosi depositati sulla superficie. Una serie di cicli di pulitura effettuati hanno avuto come obiettivo principale la fuoriuscita della maggior parte del fango. Le travi lignee sono state sottoposte ad una depurazione continua nel tempo, preparando apposite vasche con acqua in cui immergerle. Con un sistema particolare di filtri e scambiatori, si è riusciti nel tempo, ad ottenere un buon livello di pulitura. Il trattamento successivo ha visto lo studio e l’esecuzione del consolidamento mediante un’aggiunta nelle medesime vasche, di prodotto zuccherino in soluzione. Attualmente sono in corso i test per l’ultimo step della metodologia, che prevede l’essiccazione”.
La musealizzazione. In autunno dunque la “capanna” sarà collocata al piano terra del museo Athena in uno spazio creato appositamente dove ora ci sono tre piccoli locali. Attraverso l’abbattimento di alcune pareti sarà ricavato un ambiente unico, grande circa 60 metri quadrati, dove troverà appunto posto il reperto. I lavori, che prenderanno il via il prossimo 20 giugno per concludersi entro il mese di luglio, prevedono anche l’installazione di una particolare illuminazione adatta a preservare l’opera. Questo spazio ospiterà anche una serie di pannelli illustrativi che ricreeranno l’ambiente dell’opera esposta. “Mentre il ciclo di consolidamento del legno è in fase di completamento, la modulazione degli spazi del museo civico di Capannori sta per offrire una sede adeguata, per condizioni climatiche e di accesso, alla conservare e alla fruizione pubblica della struttura che consentirà un magico viaggio nel territorio capannorese del II secolo a.C.”, afferma Giulio Ciampoltrini della soprintendenza Archeologia della Toscana che ha anche ricostruito la storia dell’importante ritrovamento risalente ormai a dieci anni fa. “Il granaio ipogeo è un unicum in Italia”, spiega Alessandro Giannoni, direttore del museo Athena, “e la sua collocazione all’interno di Athena porterà lustro a questo polo museale. Saranno così valorizzati anche i reperti già presenti provenienti dall’area del Frizzone e dagli scavi di via Martiri Lunatesi, la sezione etnografica dedicata a Carlo Piaggia, nonché quella sulla civiltà contadina”. E l’assessore alla Cultura, Silvia Amadei: “Il nostro obbiettivo è rendere fruibile al pubblico un reperto archeologico di grande valore storico unico in Italia. La sua collocazione nella sede di Athena farà certamente acquistare prestigio a questa realtà museale e di valorizzare le altre collezioni presenti nella struttura. Ringrazio la soprintendenza insieme al Gruppo archeologico capannorese per l’indispensabile collaborazione fornita al Comune nel portare a compimento questo nuovo progetto culturale e naturalmente la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca senza il cui contributo li recupero di quest’opera non sarebbe stato possibile”.
Dagli etruschi ai romani, dal Medioevo ai giorni nostri: tremila anni di storia nel “museo” inaugurato nell’atrio del nuovo ospedale di Lucca con i reperti recuperati dal cantiere
A Lucca entri in ospedale e fai un viaggio all’indietro nel tempo di tremila anni. L’archeologia, gli antenati della Lucchesia, fanno infatti capolino nel nuovo percorso museale nella hall del nuovo ospedale San Luca di Lucca, ultima prestigiosa tappa di una collaborazione virtuosa tra Regione Toscana, Azienda sanitaria 2, soprintendenza ai Beni archeologici iniziata molti anni fa quando si decise di realizzare un nuovo polo sanitario nel quartiere Arancio-San Filippo. Proprio gli scavi preliminari per la realizzazione del San Luca hanno infatti permesso di ritrovare materiali preziosi, che testimoniano la storia del territorio dall’antichità ad oggi, e che ora si possono ammirare nelle nuove teche di vetro al piano terreno dell’ospedale, per un’esposizione permanente almeno di una piccola parte di quanto ritrovato. Regista di questa singolare iniziativa culturale è stato Giulio Ciampoltrini della soprintendenza di Lucca, certo coadiuvato non poco dal sostegno organizzativo dell’Asl 2, col direttore generale Joseph Polimeni, e dal supporto economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. “Qui al San Luca non ci facciamo mancare proprio nulla”, sorride soddisfatto Polimeni all’inaugurazione del “museo”, “ed è davvero bello che pazienti e visitatori possano usufruire di un percorso di questo genere, che richiama alle radici dei lucchesi. I resti sono romani, greci ed etruschi: l’area dell’Arancio-San Filippo può adesso ammirare le proprie origini”. E ricorda: “Gli scavi archeologici che hanno accompagnato la costruzione dell’ospedale erano già stati raccontati nell’apprezzata mostra Emersioni, allestita nel mese di novembre del 2011 nella Casermetta del Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca. Il progetto di musealizzazione viene adesso completato e presentato alla cittadinanza. Questo percorso rappresenta un esempio virtuoso di come l’impegno condiviso di più soggetti, pubblici e privati, si possa trasformare in una duratura acquisizione per la cultura”. Il percorso è illustrato da cartelli esplicativi dei reperti presentati. Decisivo l’aiuto economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca: “La Lucchesia è da sempre terra ricca di storia e tradizioni, che tutti noi abbiamo il dovere di tramandare alle generazioni future. Per questo il nostro intervento, seppure in un periodo di complessità per le fondazioni dovuto a riforme legislative, era inevitabile”.
Il cantiere del nuovo ospedale si è sviluppato – lo si è capito subito – su un’area che in antico era occupata da una “mansio”, cioè una stazione di sosta e cambio dei cavalli dove i viaggiatori si fermavano per approvvigionarsi e riposare la notte. Ciampoltrini, direttore scientifico degli scavi, sottolinea la complessità dell’operazione: “Le ricerche sono partite da lontano, nel 2005, con gli accordi di programma tra Regione Toscana e ministero dei Beni culturali per la costruzione dei quattro nuovi poli ospedalieri nella Toscana settentrionale e, poi, con l’applicazione in via sperimentale di una archeologia di tutela. Molti dei reperti sono testimonianze uniche, che ci raccontano moltissimo dei nostri antenati e di quello che si faceva in questo luogo”. Proprio l’archeologo, oltre a curare l’esposizione nell’atrio del San Luca, ha realizzato insieme ai suoi collaboratori una pubblicazione che descrive i rapidi mutamenti che caratterizzano l’area di Arancio-San Filippo attraverso 10 storie di grande fascino e suggestione: “La storia che hanno raccontato anni di scavo, dal 2009 al 2012, nel cantiere dell’ospedale San Luca e poi nei depositi e nei laboratori, è ben sintetizzata dal termine anamorfosi, che in zoologia indica una trasformazione repentina e nella pittura l’effetto ottico che rende leggibili le immagini solo da una particolare angolazione. Sono infatti emerse vicende di mutamenti di paesaggi e di insediamenti, dapprima in un ambiente dominato dai fiumi, poi dalle strade che ne determinano il complesso rapporto con un polo urbano così vicino”.
“A dimostrazione che la realtà è più variegata di quanto possa immaginare la fantasia dell’archeologo, gli scavi e alcune fotografie satellitari hanno rivelato un complesso intreccio di stratificazioni e di strutture sepolto sotto il paesaggio di Arancio-San Filippo”, sostiene Ciampoltrini, “e l’esame minuzioso dei reperti, da parte degli studiosi della Cooperativa Archeologia, ha permesso di disegnare una mappa straordinariamente più affascinante ed inquietante di quella che le valutazioni formulate sulla scorta dei dati inizialmente acquisiti potevano far immaginare”. Sono stati evidenziati un sepolcreto dell’VIII secolo a.C., un insediamento arcaico del 600-550 a.C., un abitato del III secolo a.C., una mansio d’età romana, un lacus vinarius ancora d’età romana, altre forme di insediamento della tarda antichità, un edificio medievale nel paesaggio della ‘Casa degli Aranci’, ceramiche contadine risalenti a fine Ottocento-inizio Novecento e una discarica del malato degli anni 1920-’30 del secolo scorso. “Questo è un’altra testimonianza di quanto profonde siano le radici di Lucca”, conclude il vicesindaco Ilaria Vietina, “con questa struttura la cultura si fonde ad un complesso innovativo e diventa momento di interesse e svago per pazienti e visitatori. Spesso servono tempi lunghi per realizzare progetti del genere, ma poi i risultati si vedono”.
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