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Roma. In Curia Iulia, in presenza e on line, “L’idraulica del Colosseo. Nuovi dati dalle ricerche archeologiche nei collettori fognari”, giornata di archeologia pubblica con i contributi di archeologi, architetti e speleologi corredati da videoracconti delle ispezioni e delle attività di ricerca

L’acqua e il fango, il collettore e il fognone, i pozzi e le ispezioni a 6 metri di profondità, la rete idraulica così perfetta e poi i reperti che raccontano degli spettatori di allora. Questo e molto altro sarà raccontato il 24 novembre 2022, dopo un lungo lavoro collettivo e di squadra. Appuntamento in Curia Iulia, dalle 14.30 alle 18.30, per “L’idraulica del Colosseo. Nuovi dati dalle ricerche archeologiche nei collettori fognari”, giornata di archeologia pubblica, promossa dal parco archeologico del Colosseo, in cui saranno presentati i nuovi dati provenienti dalle recenti ricerche condotte nei collettori fognari del Colosseo con i contributi di archeologi, architetti e speleologi corredati da videoracconti delle ispezioni e delle attività di ricerca. Prenotazione obbligatoria fino ad esaurimento posti (max 100) su https://www.eventbrite.it/e/467558057737. Ingresso da largo della Salara Vecchia, 5. L’incontro sarà trasmesso in diretta streaming dalla Curia Iulia sulla pagina Facebook del parco archeologico del Colosseo.

roma_curia-iulia_giornata-archeologia-pubblica_l-idraulica-del-colosseo_locandinaPROGRAMMA. Alle 14.30, introduzione e saluti di Alfonsina Russo, direttore del parco archeologico del Colosseo. Modera Silvia Lambertucci (ANSA). Sezione “Studi e ricerche: lo status quo”, dalle 14.45 alle 15.25. Intervengono Barbara Nazzaro (parco archeologico del Colosseo), Fabio Fumagalli (architetto, dottore di Ricerca) su “Stato dell’arte e delle conoscenze”; Luca Mocchegiani Carpano (direttore CMC-Centro Ricerche) su “Le ricerche archeologiche di Claudio Mocchegiani Carpano nelle infrastrutture idrauliche dell’Anfiteatro Flavio. Appunti dal 1974 al 1985”. Sezione “Le ricerche”, dalle 15.25 alle 17. Intervengono Martina Almonte, Federica Rinaldi (parco archeologico del Colosseo), Michele Concas (Roma Sotterranea), Maria Rosaria Borzetti (archeologa), Edoardo Santini (archeologo) su “Le indagini nel collettore sud”; Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti (università del Salento) su “Cibo e arena nella Roma antica. I resti animali provenienti dal collettore sud del Colosseo”; Alessandra Celant (Sapienza università di Roma) su “Cibo e arena nella Roma antica. I resti vegetali provenienti dal collettore sud del Colosseo”; Elisa Cella, Fulvio Coletti (parco archeologico del Colosseo) su “I materiali dal collettore sud del Colosseo. Note preliminari su attività e contesti”; Francesca Ceci (sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali) su “Dalla folla alla fogna. La possibile vicenda di un sesterzio in oricalco di Marco Aurelio”. Sezione “Le ispezioni nei collettori sotto la Piazza”, dalle 17 alle 17.45. Intervengono Federica Rinaldi (parco archeologico del Colosseo), Fabio Fumagalli (architetto, dottore di Ricerca), Michele Concas (Roma Sotterranea) su “Nuovi dati dai collettori del Colosseo e della Piazza”; Barbara Nazzaro, Nicola Saraceno (parco archeologico del Colosseo) su “Il sistema di gestione delle acque del Colosseo”. Sezione “Uno sguardo fuori dal Colosseo”, dalle 17.45 alle 18. Interviene Heinz Beste (Istituto Archeologico Germanico di Roma) su “Il sistema idraulico dell’anfiteatro di Capua”. Conclusioni e discussione finale, dalle 18.15 alle 18.30, con Martina Almonte, Federica Rinaldi (parco archeologico del Colosseo).

Roma. Sesto appuntamento con “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, terzo e ultimo del 2021: protagonista nell’anfiteatro flavio Ellynora, accompagnata dalle note archeologiche di Andrea Schiappelli e dalle domande di Carolina Di Domenico

Ellynora protagonista di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” (foto PArCo)

Sabato 20 novembre 2021 sarà online il terzo e ultimo appuntamento 2021, sesto della serie “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, dedicata quest’anno a tre nomi emergenti, affermatisi di recente nel contest LAZIOSound, iniziativa della Regione Lazio a supporto della musica indipendente. Protagonista di questo ultimo atto sarà Ellynora, accompagnata dall’archeologo del PArCo Andrea Schiappelli alla scoperta di luoghi del Colosseo non particolarmente noti al pubblico, scelti volutamente per il loro “carattere” femminile. “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” è un progetto del Servizio Comunicazione del PArCo (responsabile Federica Rinaldi), ideato e curato da Andrea Schiappelli (PArCo), con Elisa Cella (PArCo), Andrea Lai e Roberto Testarmata; produzione audio e video: Popup Live Sessions; sigla iniziale: Cristiano Grillo; social-media manager: Astrid D’Eredità con Francesca Quaratino (PArCo). La puntata andrà in onda in esclusiva sul canale YouTube del PArCo sabato 20 novembre 2021, alle 18, per essere poi rilanciata sui social @parcocolosseo e sui social di LAZIOSound. Le canzoni suonate nella puntata arricchiranno la playlist “Star Walks” del canale Spotify del PArCo.

L’appuntamento di Star Walks con Ellynora è ambientato nell’Anfiteatro Flavio: storie di donne – gladiatrici sull’arena, ma anche regine adoranti l’idolo del Colosseo e persino contesse votate allo studio -, che hanno contribuito a loro modo alla fama dell’anfiteatro e ora validi spunti per la curiosità di Carolina Di Domenico, speaker della puntata, sempre abile nel far emergere impressioni e sensazioni dell’artista ospite. L’incontro è chiuso dall’esecuzione live del singolo Mi Bendiciòn, con l’accompagnamento della chitarra unplugged di Sonia Bertolotti. Ellynora è la vincitrice della categoria Urban Kings di LAZIOSound, programma della Regione Lazio per sostenere produzione, promozione, distribuzione e internazionalizzazione dei giovani musicisti under 35.

Roma. “Roots N’ Roses”: quinto appuntamento con “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, il secondo del 2021: protagonisti The Oddroots, i cui membri fondatori, accompagnati dalle note archeologiche di Andrea Schiappelli e dalle domande di Carolina Di Domenico, raggiungono il roseto degli Horti Farnesiani sulla sommità del Palatino

Gli Oddroots protagonisti di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” (foto PArCo)

“Roots N’ Roses” è il titolo del sesto appuntamento del parco archeologico del Colosseo con “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, il secondo della miniserie 2021 dedicata a tre nomi emergenti della scena musicale italiana, affermatisi di recente nel contest LAZIOSound, iniziativa della Regione Lazio a supporto della musica indipendente. Dopo Claire Audrin è la volta dei The Oddroots, i cui membri fondatori, accompagnati dalle note archeologiche di Andrea Schiappelli e dalle domande di Carolina Di Domenico, raggiungono il roseto degli Horti Farnesiani sulla sommità del Palatino. Salite le scenografiche scalinate affacciate sulla Basilica di Massenzio, Andrea Paoloemili e Fabrizio Ballistreri ritrovano la band al completo sul terrazzo delle Uccelliere per la live session di rito, con il brano “Queen of Evolution”. La musica dei The Oddroots, nati a Roma nel 2019, trova le proprie radici nel reggae e nel dub, lasciandosi contaminare da funk, soul, ska, jazz, hip hop, fino a ottenere un suono moderno e originale. Nel 2021, dopo aver pubblicato la live session “Ayahuaska”, il gruppo ha pubblicato i due singoli “Strangers” e “Regina dell’evoluzione” con l’etichetta Orange Park Records. Sono vincitori della categoria Jazzology del LAZIOSound Scouting 2020 con la canzone “Moonshine”. “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” è un progetto del Servizio Comunicazione del PArCo (responsabile Federica Rinaldi), ideato e curato da Andrea Schiappelli (PArCo), con Elisa Cella (PArCo), Andrea Lai e Roberto Testarmata; produzione audio e video: Popup Live Sessions; sigla iniziale: Cristiano Grillo; social media manager: Astrid D’Eredità con Francesca Quaratino (PArCo).

Dalla via Nova, una delle vie di mezza costa del colle Palatino, con sullo sfondo la Basilica di Massenzio e Santa Francesca Romana, il gruppo accompagnato dall’archeologo Andrea Schiappelli, inizia l’ascesa al colle Palatino, verso i giardini rinascimentali che la famiglia Farnese volle costruire a partire dal 1536 quando l’imperatore Carlo V percorse la via Sacra per celebrare il suo trionfo contro i saraceni a Tunisi. “Da quel momento – ricorda Schiappelli – Paolo III Farnese, che riorganizzò questo riordino del Colle e di parte del Foro, capì che il colle Palatino poteva essere un’ottima sede per una villa di rappresentanza sotto la Basilica di Massenzio dove, nel I sec. d.C. c’erano gli Horrea Piperataria, ovvero i magazzini delle spezie, che all’epoca erano preziosissime e molto amate dai Romani: provenivano dai nuovi mondi, dall’Asia, dall’Africa e perfino da Sumatra e dal Borneo. E tant’è che spesso come pagamento dei riscatti, oltre all’oro alle statue e ad altre cose di pregio, si chiedevano chili di pepe perché, soprattutto per i popoli del Nord, era un bene preziosissimo”. Il Teatro del Fontanone era il punto più ampio di questo ingresso monumentale agli Horti, caratterizzato da un fontanone costruito a coprire il fronte della Domus Tiberiana che in antico si sviluppava in altezza. E qui si vede una delle catene d’acqua dei giardini degli Horti Farnesiani, la stessa acqua che si sente scorrere nel Ninfeo della Pioggia, che si vede risalendo le scale. Qui sicuramente si svolgevano feste, manifestazioni, banchetti, anche musica, nel momento di maggior fioritura degli Horti, dalla metà del 1500 al 1650 circa quando poi comincia ad andare un po’ tutto in abbandono, in decadenza.

Gli Oddroots in concerto tra le Uccelliere degli Horti Farnesiani sul Palatino (foto PArCo)

In cima al colle si raggiunge il terrazzo a pianta trapezoidale: “Una forma – fa notare Schiappelli – che aumenta questo effetto di proiezione del visitatore verso l’affaccio e sul panorama. Siamo in mezzo, tra le due Uccelliere, due costruzioni che effettivamente nel Seicento, quando vengono costruite, servivano a contenere, dentro voliere in griglia di metallo, gli uccelli esotici che erano importati dai mondi di nuova scoperta, Sud America, Asia e Africa, e che venivano anch’essi offerti come dono di rappresentanza al Papa dagli ospiti importanti, dalle ambasciate… E quindi era un punto di grande esotismo e di meraviglia per chi arrivava in cima al colle. E soprattutto, oltre a vedere gli uccelli esotici come prima introduzione a un nuovo mondo, si apriva il giardino verde e lussureggiante”.

Gli Oddroots durante le riprese nel roseto degli Horti Farnesiani sul Palatino (foto PArCo)

I giardini conoscono un momento di abbandono quando i Farnese si ritirano un po’ dalla scena romana. “Qui tutto si inselvatichisce, torna a essere orto, frutteto, anche carciofaia, finché poi a fine Ottocento Giacomo Boni, un archeologo che dà un’impronta scientifica alla ricerca archeologica, crea un giardino farnesiano filologico, cioè crea una zona con piante importate da fuori e un’altra zona con piante tipiche del mondo romano. E qui crea un roseto con una serie di rose che effettivamente erano note ai romani, e in più con rose che nell’Ottocento cominciano a ibridare, perché – conclude Schiappelli – molte di queste rose sono frutto di incroci tra varie specie”.

Roma. Secondo appuntamento della nuova serie “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”: protagonisti gli Oddroots al roseto degli Horti Farnesiani sulla sommità del Palatino, in onda sui canali social del parco archeologico del Colosseo

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Gli Oddroots protagonisti di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” (foto PArCo)

Secondo appuntamento della nuova serie “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” dedicata quest’anno a tre nomi emergenti, affermatisi di recente nel contest LAZIOSound, iniziativa della Regione Lazio nell’ambito del programma regionale delle Politiche Giovanili “GenerAzioni: la Regione per i Giovani”, con il sostegno del Dipartimento per le Politiche Giovanili, coordinata da Lorenzo Sciarretta, delegato del Presidente alle Politiche Giovanili. Protagonisti gli Oddroots nella puntata che andrà in onda in esclusiva sul canale YouTube del PArCo sabato 23 ottobre 2021, alle 18, per essere poi rilanciata sui social @parcocolosseo e sui social di LAZIOSound. Le canzoni suonate nella puntata arricchiranno la playlist “StarWalks” del canale Spotify del PArCo. “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” è un progetto del Servizio Comunicazione del PArCo (responsabile Federica Rinaldi), ideato e curato da Andrea Schiappelli (PArCo), con Elisa Cella (PArCo), Andrea Lai e Roberto Testarmata; produzione audio e video: Popup Live Sessions; sigla iniziale: Cristiano Grillo; social-media manager: Astrid D’Eredità con Francesca Quaratino (PArCo). Con questa serie nella serie, condividendone spirito e finalità, il PArCo ha voluto aderire all’iniziativa LAZIOSound, programma per sostenere la produzione, promozione, distribuzione e l’internazionalizzazione dei giovani musicisti under 35 con il quale la Regione Lazio affianca i giovani musicisti nel momento più difficile, quello in cui si affacciano in un mondo complesso come quello musicale. Attraverso una squadra di professionisti i vincitori delle cinque categorie sono seguiti in tutte le fasi del lavoro che li porterà alla pubblicazione e alla promozione di un brano. 

Gli Oddroots durante le riprese nel roseto degli Horti Farnesiani sul Palatino (foto PArCo)

Dopo Claire Audrin, vincitrice assoluta dell’ultima edizione di LAZIOSound, è la volta degli Oddroots, i cui membri fondatori, accompagnati dalle note archeologiche di Andrea Schiappelli e dalle domande della speaker Carolina Di Domenico, raggiungeranno il roseto degli Horti Farnesiani sulla sommità del Palatino. Salite le scenografiche scalinate affacciate sulla Basilica di Massenzio, Andrea Paoloemili e Fabrizio Ballistreri ritroveranno la band al completo sul terrazzo delle Uccelliere per la live session di rito. La band eseguirà “Queen of Evolution”, una canzone che parla di crescita personale, di adattamento al mondo che non si adatta a noi e di presa di coscienza del nostro potere su di esso. Il brano vuole dirci che siamo noi i responsabili della nostra evoluzione e ricordarci il ruolo personale di ognuno di noi nella costruzione della propria felicità.

Gli Oddroots in concerto nelle Uccelliere degli Horti Farnesiani sul Palatino (foto PArCo)

“Gli echi esotici della musica degli Oddroots si addicono perfettamente al luogo scelto per il set live, le Uccelliere del giardino dei Farnese, dove all’interno di voliere metalliche erano ostentati agli ospiti uccelli provenienti dai Nuovi Mondi, lontani da Roma”, spiega il direttore del PArCo Alfonsina Russo. “La gabbia che tratteneva gli sfortunati volatili oggi rappresenta la tensione a superare i propri limiti, come emerge molto bene dalla musica di questi 8 ragazzi desiderosi di dare forma alla propria libertà di espressione”. Tutto questo e molto altro sono i The Oddroots: Giorgia Giusti, Andrea Paoloemili, Lorenzo Caciotta, Fabrizio Ballistreri, Alessio Carbone, Andrea Ceccarelli, Riccardo Alexander e Luca Masotti. Giovani talenti uniti dalla passione per il reggae e per il dub e dalla voglia di contaminazione con funk, soul, ska, jazz e hip hop. C’è tanta anima e tanto groove nella loro musica che attinge al passato. Grazie al voto della giuria popolare e dei giudici di LAZIOSound, The Oddroots sono i vincitori della categoria Jazzology, dedicata al jazz in tutte le sue forme: musica che sta vivendo un’onda di grande interesse da parte dei più giovani che, come The Oddroots, portano contaminazione con altre musiche creando una versione personale di jazz. Nel 2021, dopo aver pubblicato la live session “Ayahuaska”, il gruppo ha pubblicato i due singoli “Strangers” e “Queen of Evolution” con l’etichetta Orange Park Records.

Roma. Quinto appuntamento con “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”: la giovane cantante romana Claire Audrin col singolo D-Dance un-plugged in una passeggiata lungo il sentiero meridionale del Palatino, un percorso verde e in piena fioritura primaverile, con l’archeologo Andrea Schiappelli e la speaker Carolina Di Domenico

Claire Audrin protagonista del quinto appuntamento con Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica (foto PArCo)

Quinto appuntamento, come annunciato, di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” con Claire Audrin, vincitrice di Lazio Sound 2020, iniziativa della Regione Lazio a supporto dei giovani talenti musicali, insieme alla speaker Carolina Di Domenico e all’archeologo del PArCo Andrea Schiappelli, lungo il sentiero meridionale del Palatino, un percorso verde e in piena fioritura primaverile. “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” è un progetto del Servizio Comunicazione del PArCo (responsabile Federica Rinaldi), ideato e curato da Andrea Schiappelli (PArCo), con Elisa Cella (PArCo), Andrea Lai e Roberto Testarmata; produzione audio e video Pop Up Live Session; social-media manager: Astrid D’Eredità con Francesca Quaratino (PArCo).

L’ospite di Star Walks, Claire Audrin, è una giovane cantante romana vincitrice assoluta di LAZIOSound Scouting 2020 con il singolo D-Dance, brano che viene eseguito in versione unplugged nella live session alle pendici nord-ovest del colle Palatino​. Di qui, la passeggiata insieme alla speaker Carolina Di Domenico – che fa l’intervista – e all’archeologo Andrea Schiappelli – che illustra le bellezze toccate – prosegue lungo il sentiero meridionale alla base dell’altura, un percorso verde e in piena fioritura primaverile sotteso -in perfetta sequenza cronologica- tra le capanne delle origini alle arcate del III sec. d.C. “È un percorso di grande suggestione – spiega Schiappelli – perché è il percorso più verde del parco, immerso in una vegetazione ancora spontanea, che abbiamo rispettato. Questo percorso primaverile sembra ispirato dalla musica di Audrin, che abbiamo sentito e ci ha fatto dire secondo noi questo percorso verde è perfetto per Claire”. Il percorso raggiunge una radura, a pochi metri, più in basso, dalle prime capanne di Romolo, il primo villaggio dell’età del Ferro. “Dopo secoli, Augusto ha voluto costruire la sua casa di rappresentanza, anche con una parte privata. E l’ha voluta proprio costruire accanto alla capanna di Romolo che veniva conservata come monumento nazionale da molto tempo”. Si arriva poi davanti al Paedagogium, la scuola di alta formazione per la servitù dei palazzi imperiali. Praticamente una sorta di college in cui gli schiavi, già selezionati, venivano formati per lavorare nei palazzi che si trovano sopra il colle. Sugli intonaci che rivestivano le pareti delle stanze gli archeologi hanno trovato diverse scritte, diversi graffiti fatti dagli schiavi stessi. “Il più importante, il più famoso di tutti – ricorda Schiappelli – è quello riprodotto su un pannello all’esterno del monumento, mentre l’originale è conservato al museo Palatino. Si vede una persona in tunica, con la testa d’asino, crocifissa, e un altro personaggio in piedi e sempre in tunica che lo apostrofa. Probabilmente questo schiavo di un’altra religione, forse un pagano, sta beffeggiando Alexàmenos che adora il suo dio”. In questi bellissimi prati il PArCo organizza delle cacce al tesoro con i bambini, alla base dei palazzi imperiali che sono una delle grandi manifestazioni del genio dell’architettura romana. Alla fine del percorso alle pendici meridionali sono state piantate delle essenze che hanno dei poteri di assorbimento sia del particolato, dello smog, sia quando saranno più grandi anche acustico. “Quindi una barriera ecologica a protezione di questo versante del Parco”.

Roma. Nella quinta puntata di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, prima di una miniserie dedicata ai giovani di LazioSound, protagonista Claire Audrin in una live session alle pendici Nord-Ovest del colle Palatino

Claire Audrin, cantante romana, protagonista della quinta puntata di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” (foto PArCo)

Dopo The Zen Circus (aprile 2020), Clavdio (maggio 2020), Silvestri (maggio 2020), Måneskin (novembre 2020), in cantiere una mini-serie con giovani artisti per tre nuovi appuntamenti con “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica”, un progetto del Servizio Comunicazione del PArCo (responsabile Federica Rinaldi), ideato e curato da Andrea Schiappelli (PArCo), con Elisa Cella (PArCo), Andrea Lai e Roberto Testarmata; produzione audio e video: Popup Live Sessions; social-media manager: Astrid D’Eredità con Francesca Quaratino (PArCo). In un periodo come quello che stiamo vivendo, notoriamente di estrema difficoltà per il mondo della musica e in particolare per lo spettacolo dal vivo, la produzione di “Star Walks – Quando il PArCo incontra la musica” ha deciso di dedicare le ultime tre puntate della serie a tre giovani realtà, affermatesi di recente nel contest LAZIOSound, iniziativa della Regione Lazio a supporto dei giovani talenti musicali. Prima ospite di questa mini-serie nella serie sarà Claire Audrin, giovane cantante romana vincitrice assoluta di LAZIOSound Scouting 2020 con il singolo D-Dance, brano che verrà eseguito in versione unplugged nella live session alle pendici Nord-Ovest del colle Palatino. Di qui, la passeggiata proseguirà lungo il sentiero meridionale alla base dell’altura, un percorso verde e in piena fioritura primaverile sotteso -in perfetta sequenza cronologica- tra le capanne delle origini alle arcate del III sec. d.C. La puntata andrà in onda sul canale YouTube del PArCo sabato 8 maggio 2021, alle 18, per essere rilanciata sui social @parcocolosseo e sui social di Regione Lazio. Le canzoni suonate nella puntata arricchiranno la playlist “StarWalks” del canale Spotify del PArCo.

La cantante Claire Audrin nella passeggiata alle pendici del Palatino con l’archeologo Andrea Schiappelli e la speaker Carolina Di Domenico (foto PArCo)

Tre nomi in ascesa, quindi, saranno protagonisti di altrettante passeggiate accompagnati come di consueto dall’archeologo del PArCo Andrea Schiappelli durante le quali, grazie alle interviste condotte in itinere dalla speaker Carolina Di Domenico, avremo modo di apprezzare l’entusiasmo e la qualità artistica dei protagonisti, di cui scopriremo anche esperienze, aneddoti, progetti e sensazioni di volti ancora poco noti al grande pubblico. “L’idea di una mini-serie dedicata al racconto di artisti nuovi e in via di affermazione ci è sembrata perfettamente in linea con lo spirito del programma, orientato a mostrare il Parco ai più giovani attraverso gli occhi e le sensazioni dei loro artisti preferiti”, sottolinea il direttore del parco archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo, “e così ora al centro della scena avremo proprio tre giovani musicisti emergenti a presentarsi e suonare in questo nostro palcoscenico virtuale e itinerante tra le vestigia di un passato evocativo, che ci auguriamo sia foriero di un futuro artistico luminoso”.

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Claire Audrin protagonista di Star Walks sul Palatino (foto PArCo)

In questo modo, il PArCo ha inteso anche dare un segnale concreto di sostegno comunicativo a iniziative come LAZIOSound, condividendone contenuti e finalità, attraverso le quali istituzioni come la Regione Lazio hanno voluto scommettere e investire sui talenti più giovani, con l’intenzione di rinforzare il mercato musicale indipendente regionale. “Incoraggiare i giovani musicisti nella loro espressione creativa sostenendone il percorso artistico”, interviene il presidente del Lazio Nicola Zingaretti, “è quello che come Regione abbiamo fatto per aiutare la ripartenza del settore della musica e dello spettacolo dal vivo così fortemente colpito dall’emergenza economica e sanitaria di questi ultimi mesi. Per questo sin dall’inizio della pandemia, ci siamo impegnati per realizzare tante iniziative e creare una rete tra gli operatori del settore della musica con l’obiettivo di valorizzare i giovani talenti del nostro territorio, come LAZIOSound”.

Roma. Prime tre dirette dal cantiere di restauro dell’Arco di Costantino con le archeologhe Francesca Rinaldi ed Elisa Cella del Parco archeologico del Colosseo: la topografia del monumento e l’apparato figurativo dall’attico ai tondi adrianei al fregio costantiniano

L’arco di Costantino a Roma tra il Colosseo e il colle Palatino (foto PArCo)

In occasione dei recenti lavori di manutenzione straordinaria in corso sul lato Nord dell’Arco di Costantino, il Parco archeologico del Colosseo riprende le dirette dal cantiere sulle proprie pagine Facebook. Dedicato dal Senato e dal popolo romano dopo la vittoriosa battaglia del Ponte Milvio sul rivale Massenzio e inaugurato nel 315 in occasione dei Decennalia dell’imperatore (dieci anni di regno), l’arco sarà nei prossimi mesi oggetto di un intervento di manutenzione che consiste nella verifica dello stato di conservazione, nella rimozione delle piante infestanti e nella pulitura delle superfici.

Prima parte: l’attico. Con le funzionarie archeologhe Federica Rinaldi ed Elisa Cella che introducono il ciclo di dirette dedicato a questo restauro si sale sui ponteggi del cantiere di restauro dell’Arco di Costantino a visitare l’attico: a quasi 20 metri di altezza ci troviamo accanto alle maestose statue dei Daci che decorano l’attico, 4 per ognuno dei due fronti. Tema di oggi è la topografia del monumento, l’apparato figurativo che si snoda per 21 metri di altezza: l’arco di Costantino è il più grande e imponente tra quelli che celebrano a Roma le gesta di imperatori vittoriosi. “Guardando la planimetria”, spiegano le due archeologhe, “vediamo che l’arco di Costantino veniva a collocarsi a uno dei quattro vertici della Roma quadrata nel punto di congiunzione tra la Regio II, la Regio III, la Regio IV e la Regio VII. L’arco – come sappiamo – fu dedicato dal Senato e dal Popolo romano in occasione della battaglia dell’imperatore Costantino a Ponte Milvio contro Massenzio, nel 315 in occasione dei Decennalia dell’imperatore Costantino. La grande iscrizione recita proprio la dedica del Senato e del Popolo romano all’imperatore Costantino. Ma c’è una particolarità che ha sempre interessato gli studiosi, ovvero questa ispirazione della divinità. Si legge bene INSTINCTV DIVINITATIS, “per impulso, sollecitazione divina”. Ma di quale divinità si parla? La domanda è lecita visto il contributo di Costantino alla possibilità di culto della religione cristiana. E quindi c’è chi ha voluto vedere in questa affermazione una velata anticipazione di quella che sarebbe stata una reale apertura a questa religione. In realtà va detto che non abbiamo elementi per corroborare questa visione. Al contrario, il programma figurativo ricorda spesso immagini di sacrificio a divinità pagane, come il Sole e la Luna nelle figure di Apollo e Diana, che si trovano sui lati Est e Ovest dell’arco, proprio nei medaglioni realizzati in età costantiniana. I fori che rimangono sul solco dell’iscrizione confermano l’alloggiamento delle lettere in bronzo che permettevano di leggere anche a 20 metri di distanza questa iscrizione monumentale. Tutto il programma figurativo dell’arco di Costantino nasce dal recupero di marmi e rilievi di epoca precedente e segue con molta attenzione la distribuzione di queste immagini a seconda che le scene siano in contesti di battaglia o di sottomissioni di barbari rispetto invece a contesti molto più adatti all’ambiente cittadino come le orationes, le scene di distribuzione di donativi. L’arco nasce come un recupero, un reimpiego di materiali, marmi e rilievi di epoche precedenti: Traiano (i Daci), Adriano (i tondi), Marco Aurelio (i rilievi ai lati della grande iscrizione) e Costantino (plinti delle colonne e grande fregio storico che abbraccia tutti e quattro i lati del monumento con il racconto della partenza da Milano, dell’assedio di Verona, della battaglia di Ponte Milvio, l’ingresso a Roma e la grande scena di oratione sulla piazza del Foro). Le grandi statue dei Daci sono poste in linea con le colonne che affiancano i fornici, creando un vero e proprio ritmo delle facciate quadripartite nel senso della lunghezza. La policromia era assicurata dal gran numero di marmi usati (giallo antico delle colonne, cipollino delle basi, pavonazzetto dei Daci, che però hanno testa e mani di materiali diversi). E c’è anche il porfido rosso.  I rilievi di Marco Aurelio provengono da un edificio che lo celebrava come imperatore: hanno uno stile ben diverso da quello dell’epoca traianea. E a loro volta sono diversi dai successivi di età adrianea. Su questo arco abbiamo in qualche modo un’enciclopedia del rilievo storico romano muovendoci nei vari livelli del monumento”.

Seconda parte: i tondi adrianei. Prosegue la visita al cantiere dell’Arco di Costantino con le funzionarie archeologhe Federica Rinaldi ed Elisa Cella. Ci troviamo a circa 10 metri di altezza per guardare da molto vicino i celebri tondi dell’epoca di Adriano, modificati e riutilizzati nel nuovo monumento. In particolare, ci soffermiamo sui volti rimodellati a somiglianza di Costantino, con il nimbo a connotarne la maestà imperiale. “Ci siamo salutati poco fa parlando della policromia, del trionfo di marmi colorati di natura diversa che adornano o fanno parte costituente di questo arco”, riprendono il discorso le archeologhe del PArCo. “Due livelli più in basso dell’iscrizione monumentale e i Daci, si vedono le colonne rudentate in giallo numidico e, tra i due tondi, un frammento di porfido rosso che in origine andava a inquadrare e quindi a far meglio risaltare i due tondi di età adrianea ascrivibili a un monumento che non è ancora stato ben identificato. L’arco di Costantino non è solo un museo all’aperto per il rilievo storico, ma pone anche tantissime domande alle quali archeologi e restauratori cercano di dare risposta grazie agli interventi in atto. I tondi adrianei sono otto in tutto, quattro sul lato Sud e quattro sul lato Nord. Presentano due tipi di raffigurazioni: la scena di caccia e la scena di sacrificio.  Da una parte l’imperatore nella sua condizione eroica raffigurato nel momento dell’uccisione del cinghiale o del leone, dall’altro l’imperatore che mostra la propria pietas nei confronti delle divinità, divinità ancora una volta campestri come Silvano o Diana, o divinità più urbane come è il caso di Apollo o Ercole. Sul lato Nord, la prima coppia di tondi ha da un lato la scena di caccia al cinghiale e dall’altro la scena di pietas nei confronti di Apollo. I volti sono rilavorati. In quello dell’imperatore Costantino o del collega di governo l’imperatore Licinio. Avvicinandosi ai personaggi si vede un’incisione, un’aureola, che conferma quella che era ormai un’acclarata divinizzazione dell’imperatore. Sono passati secoli rispetto al modo di rappresentare – appunto all’inizio dell’impero – il capo come primus inter pares. All’epoca di Costantino ormai è chiaro che c’è un aspetto divino che viene esaltato. Questa semplicissima incisione è il segno di un’ideologia ben chiara e condivisa. L’altra coppia di tondi, sempre sul lato Nord: in uno la scena di caccia con a terra il leone, che ha la testa schiacciata sotto i piedi; nell’altro la scena di pietas nei confronti di Ercole. Qui il porfido rosso si è conservato molto di più e l’effetto cromatico col marmo bianco è molto più evidente. Passando sul fianco Ovest, si apprezza quella che è la resa della plastica costantiniana. Qui c’è un tondo di età costantiniana che presenta Diana nelle vesti della Luna nell’atto di immergersi nell’Oceano, contrapposta ad Apollo-Sole che si vede sul fianco Est, e corrisponde nel livello sottostante all’ingresso di Costantino a Roma. Tra i tondi adrianei e questo costantiniano ci sono trecento anni, ma il programma figurativo dell’arco è riuscito ad armonizzarli”.

Terza parte: il fregio costantiniano. Ultima tappa (per oggi) della visita al cantiere di restauro dell’Arco di Costantino con le funzionarie archeologhe Federica Rinaldi ed Elisa Cella. Osserviamo da vicino i fregi di epoca costantiniana sui lati Nord e Ovest del monumento. Al primo livello del lato Nord c’è la conclusione vittoriosa dell’imperatore Costantino sul rivale Massenzio. “Questo monumento – riprendono Federica Rinaldi ed Elisa Cella – non celebra una vittoria contro un nemico barbaro ma contro un altro imperatore. E questo, anche dal punto di vista dell’ideologia, è un aspetto che non possiamo non considerare. Sul lato Nord c’è una scena di adlocutio, cioè di orazione dell’imperatore nei confronti dei propri sudditi. Si capisce dove è ambientata questa scena perché si possono riconoscere alcuni monumenti alle spalle dei personaggi: a sinistra le arcate della basilica Iulia, l’arco di Tiberio, le basi dei Decennalia e le tre arcate del grande arco di Settimio Severo, che è stato fonte di ispirazione per l’arco di Costantino. Quindi siamo sulla tribuna dei rostra nel Foro romano. Qui il rilievo storico è ormai fortemente tardoantico. Le figure sono statiche, fisse. Si è persa quell’armonia o accenno al movimento che è tipico del classicismo, che caratterizzava anche e soprattutto i rilievi di Marco Aurelio. La differenza è lampante. C’è però un altro elemento interessante che riguarda da una parte le dimensioni dei personaggi che sono raffigurati e dall’altra la prospettiva che di fatto viene a mancare. La rappresentazione è frontale. Addirittura l’imperatore al centro della rappresentazione ha ai lati, a destra e a sinistra, quei personaggi che nella realtà sono davanti a lui, di fronte alla tribuna dei rostra. Ne esce una rappresentazione quasi coloristica di quello che era il Foro all’epoca di Costantino. Nella seconda parte del fregio, al di là del fornice centrale, c’è la scena del Congiarium, quando cioè l’imperatore nella sua munificenza distribuisce donativi alla popolazione. In questo fregio sono state individuate ben cinque diverse dimensioni, cinque diverse altezze a seconda del rango e del ruolo che i personaggi raffigurati, dal popolo che riceve donativi all’imperatore stesso, rivestono. Ed è evidente che anche questa è una concezione all’opposto rispetto alla rappresentazione naturalistica. C’è un messaggio molto chiaro: una rappresentazione gerarchica dei personaggi che diventerà un leit motiv dell’arte tardoantica che ci accompagnerà poi nell’Alto Medioevo. Quelle del lato Nord sono le ultime due puntate del lungo racconto della guerra contro Massenzio. Il fregio inizia sul lato corto Ovest con la partenza di Costantino da Milano. Questo è il momento in cui inizia la riunificazione dell’impero, in cui Costantino determinato ma ancora inconsapevole di quelle che saranno le sue sorti comincia  a confrontarsi con Massenzio”.

Passeggiata dantesca nel Parco archeologico del Colosseo: il pubblico è accompagnato on line per dodici puntate a riconoscere i luoghi del PArCo attraverso le parole del sommo poeta. Si inizia col Dantedì

In occasione del secondo Dantedì – giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri – il parco archeologico del Colosseo accoglie l’invito del ministero della Cultura e, nel 700.mo anniversario della morte del Sommo Poeta, propone una passeggiata che ripercorre la storia del PArCo attraverso le terzine dantesche che hanno narrato alcune delle vicende della storia di Roma, dalle origini alla fine dell’impero. Foro Romano, Palatino e Fori imperiali conservano oggi le testimonianze tangibili e monumentali dell’esistenza di personaggi storici a cui Dante ha dato voce nelle cantiche della Divina Commedia, assieme alle divinità pagane venerate nei templi dell’area archeologica centrale. Il pubblico verrà guidato a riscoprire, leggendo le terzine dantesche, le vicende di Enea e del Palladio, il pastore Caco, l’evoluzione del potere attraverso Cesare, il princeps Augusto e Giustiniano, l’umiltà di Traiano davanti a una vedova, fino ad arrivare all’essenza della fede e alla figura di San Pietro, e alle tante divinità tutelari che da sempre hanno popolato il Pantheon romano. Ad accompagnare il pubblico ci saranno le voci narranti di attori che hanno generosamente dato la loro disponibilità a prendere parte all’iniziativa, ideata e curata dalle funzionarie archeologhe Elisa Cella e Federica Rinaldi. Ad aprire il percorso sarà Massimo Ghini, seguito da Giandomenico Cupaiuolo, Giuseppe Cederna e Rosa Diletta Rossi. Le loro voci accompagneranno per dodici puntate il pubblico, portandolo a riconoscere i luoghi del PArCo attraverso le parole del sommo poeta di Firenze. Primo appuntamento (doppio) con le passeggiate dantesche giovedì 25 marzo 2021, alle 21.04, online sugli account social del PArCo: “Introduzione | Paradiso, Canto II, 1-9” con Massimo Ghini, e “Caco, il pastore | Inferno, Canto XXV, 16-33” e con Giuseppe Cederna; 1° aprile 2021, “Enea | Inferno, Canto II, 10-36” con Giandomenico Cupaiuolo; 8 aprile 2021, “Catone l’Uticense | Purgatorio, Canto I, 28-93” con Giuseppe Cederna; 15 aprile 2021, “Cesare | Paradiso, Canto VI, 34-72” con Giandomenico Cupaiuolo; 22 aprile 2021, “Virgilio | Inferno, Canto I, 61-75” con Giandomenico Cupaiuolo; 29 aprile 2021, “Orazio, Ovidio e Lucano | Inferno, Canto IV, 73-102” con Rosa Diletta Rossi; 6 maggio 2021, “Traiano | Purgatorio, Canto X, 70-93” con Giuseppe Cederna; 13 maggio 2021, “Giustiniano | Paradiso, Canto VI, 1-27” con Massimo Ghini; 20 maggio 2021, “Apollo | Paradiso, Canto I, 13-36” con Rosa Diletta Rossi; 27 maggio 2021, “Venere | Paradiso, Canto VIII, 1-39” con Rosa Diletta Rossi; 3 giugno 2021, “San Pietro | Paradiso, Canto XXIV, 52-75” con Massimo Ghini.

“Storie dal Colosseo. Lezioni di Epigrafia”. Nel terzo di quattro appuntamenti con l’epigrafista Silvia Orlandi scopriamo i tituli picti del Colosseo: numerali, nomi propri, ma anche simboli, utilizzati per “comunicazioni di servizio” destinate a essere lette dagli operai del cantiere e non dal pubblico

La galleria intermedia tra il secondo e il terzo ordine dei posti a sedere del Colosseo (foto PArCo)

Per la terza delle quattro lezioni di epigrafia promosse dal parco archeologico del Colosseo si sale lungo la cavea del Colosseo sino alla galleria intermedia posta tra il secondo e il terzo ordine dei posti a sedere. L’incontro con l’epigrafista Silvia Orlandi, docente di Epigrafia latina alla Sapienza Università di Roma, è all’insegna di un colore: il rosso. Lo stesso degli intonaci che rivestivano le pareti del passaggio in cui è ambientata la lezione, e del pigmento utilizzato per lasciare uno dei segni epigrafici tra i più rari che si possano trovare, quello realizzato in lettere dipinte. Dopo il testo in lettere bronzee in rilievo dell’epigrafe inaugurale, e i caratteri incisi dei loca degli spettatori, la professoressa Orlandi, accompagnata dalla funzionaria archeologa Elisa Cella, illustra i tituli picti del Colosseo: numerali, nomi propri, ma anche simboli, come una palma e una corona, utilizzati per “comunicazioni di servizio” destinate a essere lette solo dopo le operazioni di cava, per il computo, lo stoccaggio e il trasporto dei blocchi di travertino al cantiere dell’anfiteatro. Celati per secoli agli occhi dalle migliaia di spettatori che, ignari, camminavano lungo la galleria durante le giornate dedicate ai giochi per raggiungere i loro posti a sedere, sono stati riportati alla luce in seguito alle campagne di restauro condotte tra il 2012 e il 2016.

“La galleria intermedia è uno dei punti più alti tra quelli di norma visitabili dal pubblico che entra nell’anfiteatro flavio”, spiega Cella, “ed è senza dubbio uno dei luoghi più suggestivi. Ma la galleria intermedia è importante perché è uno dei luoghi più parlanti anche se non in maniera esattamente. E oggi con la professoressa Orlandi scopriremo quello che era nascosto sotto gli strati di intonaco rosso che i recenti restauri hanno riportato in luce. Così come in luce hanno riportato i colori che caratterizzano le parole, le iscrizioni che troviamo in questa galleria”. Si inizia con un simbolo che sembra una palma. C’è chi ha parlato di una lisca o meglio di una palma. “Più di una palma”, conferma Orlandi. “In ogni caso un simbolo che insieme ad altri – più sotto si può vedere, ad esempio, una corona, e in altri punti della galleria è stato trovato un caduceo, e altre scritte – non era destinato a essere visto dal grande pubblico. Non erano scritture esposte, erano scritte di servizio dipinte sui blocchi di travertino destinati alla costruzione del Colosseo, che servivano soprattutto alle squadre di operai che dovevano metterli in posa. Erano – diciamo – delle note di cava o di stoccaggio, scritte di lavoro. A noi sono utili per immaginare come doveva essere organizzato il cantiere di restauro, in questo caso del Colosseo, perché ci troviamo in una sezione dell’anfiteatro che fu interessata dall’incendio del 217 e fu ricostruita subito dopo”.

Un titulus pictus (con un’iscrizione capovolta) su un blocco di travertino nella galleria intermedia tra secondo e terzo ordine del Colosseo (foto PArCo)

La seconda tappa di questa lezione itinerante è davanti a una scritta che apparentemente sembra capovolta. “È capovolta”, spiega Orlandi. “E qui si vede bene, come dicevo, che queste iscrizioni erano destinate a non essere viste ma a essere ricoperte da uno strato di intonaco. Qui infatti si vede bene che l’intonaco si è staccato e ha reso visibili delle scritte che originariamente non dovevano esserlo. E poi è chiaro che una scritta capovolta è destinata a non essere letta nel momento in cui il blocco è in situ, in posa, ma solo quando il blocco giaceva nella cava o nel sito di stoccaggio prima di essere messo in opera. Sono scritte di lavoro destinate agli operai non per il pubblico”. Ma al Colosseo, fa notare Cella, il segno scrittorio è stato utilizzato in diversi modi, anche per trasmettere un po’ l’amore per il segno attraverso i secoli. “Sempre in galleria”, continua Orlandi, “c’è un altro punto in cui si trovano altre scritte fatte magari a carboncino o ugualmente con il colore rosso ma appartengono a un’epoca diversa, ai visitatori ottocenteschi che visitavano appunto questa galleria. Era un modo per lasciare traccia di sé come purtroppo si fa ancora oggi. Con la differenza che oggi incidere il proprio nome o scrivere il proprio nome sul Colosseo è un reato per danneggiamento del patrimonio, mentre un tempo c’era un approccio differente rispetto alle rovine, un qualcosa di romantico e di affiliazione: possiamo dire così”.

Un titulus pictus con l’iscrizione L ONER URBANI nella galleria intermedia tra il secondo e il terzo ordine del Colosseo (foto PArCo)

La terza tappa si ferma davanti a un blocco di travertino sul quale il recente restauro ha evidenziato la presenza di un titulus pictus. “Si vede una L seguita da un segno di interpunzione, ONER, e un altro segno di interpunzione, e URBANI. E il confronto con altre iscrizioni presenti su blocchi di marmo e non di travertino in cui si indica il locus, cioè il fronte di cava, di cui era indicato il responsabile, ha suggerito in un primo momento ci potessimo trovare di fronte a un caso simile applicato però alle cave di travertino. In realtà -conclude Orlandi – non sono del tutto sicura di questa lettura e di questa ipotesi perché il nome ONER che fa pensare a ONERIUS o ONERATUS, due nomi romani possibili, fa anche pensare a ONUS, peso, carico, e quindi la lettura è tuttora incerta e ipotetica, e ci sto ancora lavorando”.

“Storie dal Colosseo. Lezioni di Epigrafia” in quattro appuntamenti con l’epigrafista Silvia Orlandi. La prima è l’Iscrizione di Lampadio: dal ricordo del restauro dopo il terremoto del 443 alla riscoperta dell’iscrizione dell’inaugurazione del Colosseo nell’80 d.C.

L’archeologa Federica Rinaldi, responsabile del Colosseo, l’archeologa Elisa Cella, e la professoressa Silvia Orlandi docente di Epigrafia latina (foto PArCo)

È davanti agli occhi di tutti, ma visibile a pochi: l’Iscrizione di Lampadio, oggi conservata al secondo ordine del Colosseo, è il primo dei quattro documenti epigrafici dell’anfiteatro flavio che saranno illustrati dall’epigrafista Silvia Orlandi per la nuova rubrica digitale “Storie dal Colosseo. Lezioni di Epigrafia”, proposta dal parco archeologico del Colosseo. Sono quattro lezioni su momenti della storia del Colosseo attraverso le iscrizioni. “Saranno raccontati particolari  legati all’inaugurazione del Colosseo”, anticipa Federica Rinaldi, responsabile dell’anfiteatro flavio, “alla distribuzione del pubblico sulla cavea, ma anche a quella che è stata poi la fine del monumento, la sua decadenza a causa dei terremoti che lo hanno interessato: il pubblico viaggerà alla scoperta dei luoghi meno noti del Colosseo, dove la Storia si fa parola”. Con l’iscrizione di Lampadio si fa un salto di quattro secoli, accompagnati dalle funzionarie archeologhe Elisa Cella e Federica Rinaldi, lungo le linee di uno stesso architrave, passando dalla menzione del restauro curato dal praefectus urbis dopo il terremoto del 443 d.C. alla riscoperta dell’iscrizione inaugurale del Colosseo, datata all’80 d.C. Alla professoressa Silvia Orlandi, docente di Epigrafia latina di Sapienza Università di Roma, tocca guidare oltre le lettere incise nel travertino gli sguardi di chi segue da casa la lezione, indicando come interpretare i fori che, disposti secondo distanze e allineamenti ben calibrati, corrispondenti ai formulari delle commemorazioni pubbliche, erano un tempo gli alloggiamenti di lettere bronzee a rilievo destinate a conservare la memoria di un evento eccezionale.

La prima puntata è dedicata all’iscrizione inaugurale dell’anfiteatro flavio. E a parlarne è Silvia Orlandi, epigrafista che “si è dedicata in maniera approfondita con grande dedizione”, ricorda Elisa Cella, “alla lettura delle iscrizioni e delle epigrafi che sono state restituite in maniera generosa da questo anfiteatro. E in questa prima lezione la professoressa Orlandi approfondisce il vero e proprio evento fondante dell’anfiteatro del Colosseo: un evento che lega a doppio filo questo monumento con la città di Gerusalemme, con gli eventi storici ben noti: in parte nascosto, in realtà è sotto gli occhi di tutti. I rumori che si sentono in sottofondo chiariscono che ci troviamo all’aperto, nell’area dell’allestimento permanente del Colosseo. Ma quello che Silvia Orlandi ci indicherà è qualcosa che solo occhi molto attenti e molto dotti sono stati in grado di individuare”. L’iscrizione di Lampadio accoglie il pubblico all’inizio del percorso di visita del Colosseo. Ma non salta immediatamente agli occhi. “Quella che si vede subito – spiega Silvia Orlandi – è un’iscrizione incisa sulla superficie di un blocco marmoreo la quale parla di un restauro da parte del prefetto urbano Rufius Cecina Felix Lampadius durante il regno congiunto di Teodosio II e Valentiniano III. Ma aguzzando la vista si nota che questa iscrizione del V secolo è incisa su una superficie interessata da una serie di fori che altro non sono che quanto resta dei fori di fissaggio di un’iscrizione redatta con una tecnica diversa da questa, cioè con lettere metalliche affisse direttamente sulla superficie marmorea, che fu divelta dal blocco che la conteneva per poter incidere l’iscrizione di Lampadio. Isolando idealmente e graficamente i fori che sono quanto resta appunto di questa iscrizione, si nota che il testo originario era in tre righe, come si vede dall’andamento dei fori, in particolare da quelli dell’ultima riga: delle tre righe la seconda è centrata e più breve”.

L’Iscrizione di Lampadio conservata nel secondo ordine del Colosseo (foto PArCo)
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Il pannello esposto al Colosseo con la grafica dell’iscrizione dell’inaugurazione dell’anfiteatro secondo l’ipotesi di Géza Alföldi (foto

“Grazie alla genialità di un lapicida del secolo scorso, Géza Alföldi – continua Orlandi -, è stato possibile ricostruire questo testo originariamente appunto di lettere metalliche, e proporre una ricostruzione di quella che doveva essere l’iscrizione di dedica dell’anfiteatro e che recitava: Imperator Titus Caesar Vespasianus Amphiteatrum [forse] Novum, ex manubiis fieri iussit (l’imperatore Tito Cesare Vespasiano ordinò che fosse realizzato l’Anfiteatro Nuovo dal bottino). Grazie a questo testo apprendiamo due cose fondamentali: innanzitutto il nome ufficiale di quello che oggi chiamiamo Colosseo, e cioè Anfiteatro, senza ulteriori aggettivi come Flavio o altri appellativi di questo genere; e soprattutto con quale fonte di finanziamento l’anfiteatro fu costruito, cioè con la vendita del bottino del tempio di Gerusalemme che Vespasiano e Tito avevano conquistato nel 70 d.C., ex manubiis appunto. Una caratteristica interessante di questo testo, e una difficoltà ulteriore per la sua ricostruzione, è la tecnica scrittoria con cui è stata eseguita, con lettere di metallo, probabilmente di bronzo, applicate nel marmo con dei perni di fissaggio senza l’ausilio di alveoli che avessero la stessa forma, e che quindi quando le lettere venivano rimosse di fatto conservavano la forma del testo, un po’ come avviene per l’arco di Costantino o quello di Settimio Severo, per esempio. In questo caso invece le lettere furono applicate direttamente sul marmo, e quindi quel che resta non è la forma delle lettere, ma solo le tracce dei chiodi. Il che rende particolarmente difficile la ricostruzione di questo testo, e particolarmente geniale la proposta di Géza Alföldi con naturalmente le ipotesi del caso”. L’iscrizione, fa presente Elisa Cella, non è conservata integralmente. Anzi sembra in frammenti ricomposti: “Tra tutti ce n’è uno che si distingue rispetto agli altri, e che ha sempre attratto la nostra curiosità”. “È leggermente diverso, è vero”, spiega Orlandi. “è innanzitutto un frammento di lastra e non di blocchi come gli altri due. Ed è quanto resta di un restauro di cui l’iscrizione, negli unici due frammenti originali, fu oggetto nel 1813, subito dopo la sua scoperta”.

Particolare del quadro di Christoffer Wilhelm Eckersberg con indicato i due blocchi originali con l’iscrizione di Lampadio (foto PArCo)

“Quando l’iscrizione è stata trasferita nella sua attuale collocazione si è deciso di lasciare uno di questi frammenti come testimonianza di questo restauro storico, che ora naturalmente si farebbe con tecniche completamente diverse ma che all’epoca si utilizzavano normalmente. Ed è così che è stata anche raffigurata nella prima e più nota rappresentazione sul piano dell’Arena non scavato fatta da Christoffer Wilhelm Eckersberg a ridosso del momento della scoperta. In cui sono rappresentati non a caso soltanto i due frammenti originali. Nel disegno esposto al Colosseo è possibile vedere la ricostruzione grafica dell’iscrizione così come è stata proposta da Alföldi. In realtà noi vediamo la ricostruzione dell’ultima fase dell’iscrizione, che include anche il prenome Tito, che era caratteristica dell’onomastica dell’imperatore Tito, sotto il cui regno il Colosseo fu inaugurato. Secondo l’ipotesi di Alföldi, infatti, originariamente il testo comprendeva solo la dicitura Imperator Caesar Vespasianus Augustus, cioè la titolatura di Vespasiano. Ma essendo Vespasiano morto nel 79 d.C. quindi non in tempo per inaugurare l’Anfiteatro – conclude Orlandi -, la titolatura fu adattata con il nome del figlio, successore di Vespasiano, in modo che fosse aggiornato per l’evento epocale dell’inaugurazione dell’Anfiteatro”.