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#iorestoacasa. “Le Passeggiate del Direttore”: col 17.mo appuntamento il direttore del museo Egizio, Christian Greco, completa l’illustrazione della tomba di Kha e Merit soffermandosi sul corredo intatto, una straordinaria capsula del tempo che ci riporta al 1350 a.C.

Il 17.mo appuntamento con le “Passeggiate del direttore” è il terzo e ultimo dedicato alla tomba di Kha e Merit. Il direttore Christian Greco illustra “Il corredo di Kha e Merit”, corredo intatto, una straordinaria capsula del tempo che ci riporta al 1350 a.C. Ci sono i letti con poggiatesta di Kha e di Merit. E poi le giare ancora con residui di cibo all’interno, firmate con il nome del defunto. “Si legge en ka en kha cioè per lo spirito vitale di Kha e poi ankh wehem cioè possa egli vivere di nuovo”, spiega Greco. “E a volte c’è scritto en ka en imy-er kawt Kha, cioè per la forza vitale del responsabile delle opere Kha. Quindi tutto viene definito con il nome del proprietario. E queste sono le offerte funerarie che devono essere messe all’interno della tomba in modo che il defunto possa fruirne dopo la morte”.

Il beauty case di Merit, parte del corredo nella tomba di Kha e Merit al museo Egizio di Torino (foto Graziano Tavan)

Ma all’interno della tomba sono stati posti anche oggetti che probabilmente erano stati usati dalla coppia, da Kha e Merit, durante la vita. A cominciare dal cosiddetto beauty case di Merit: una cassetta che conteneva una serie di oggetti in alabastro che contenevano gli unguenti, per il belletto di Merit. “Invece il contenitore a forma di palma serviva invece al kohl, al trucco per gli occhi. E c’è anche un oggetto eccezionale: una parrucca in capelli veri che era contenuta all’interno di un porta-parrucca meraviglioso, anche nella sua forma, nel suo design, direi quasi minimalista e contemporaneo. E dove un’iscrizione ci dice un’offerta che il sovrano e Osiride devono dare al ka, alla forza vitale di Merit. E non solo Merit aveva i suoi oggetti personali ma anche Kha. Kha era il capomastro, quindi doveva garantire che i lavori potessero andare avanti all’interno delle tombe, all’interno della necropoli”. Ecco spiegato la serie di oggetti che servivano a misurare, la paletta dello scriba, una bilancia, dei trapani. Ma anche lui ha oggetti per la cura della persona: “Un borsellino in cuoio che conteneva dei rasoi e un vaso di alabastro, dove di nuovo leggiamo per il ka, per la forza vitale di Kha, con all’interno c’era d’api che probabilmente veniva usata come emulsionante dopo la rasatura. E poi borracce per l’acqua che venivano utilizzate probabilmente al lavoro. Ci sono anche dei filtri che servivano per filtrare le impurità della birra, e i bastoni lavorati a intrecci con particolari in cui in cuoio, che indicano il ruolo che Kha poteva avere, un ruolo di rilievo nel dirigere le squadre di lavoratori”.

Le tuniche di Kha, parte del corredo nella tomba di Kha e Merit al museo Egizio di Torino (foto Graziano Tavan)

Un altro oggetto di una valenza incredibile è il cubito. “Gli Egizi usavano il cubito per misurare: il cubito era la distanza tra il gomito e l’indice, calcolata in 48 centimetri. Questo cubito è un dono che il sovrano Amenofi II fa a Kha. Un cubito coperto da una foglia d’oro che indica quanto il sovrano abbia apprezzato Kha facendogli un dono così prezioso. Peraltro sappiamo, perché l’abbiamo visto nelle recenti ricerche sulla mummia, come all’interno della mummia sia contenuto anche lo “shebyu” o collare dorato. Ma la valenza del corredo è incredibile soprattutto se pensiamo che questi oggetti risalgono al 1350 a.C. e si sono conservati perfettamente come le tuniche di Kha. E deve essere stata davvero incredibile la sorpresa che Ernesto Schiaparelli e i suoi archeologi ebbero quando entrarono all’interno della camera sepolcrale e videro tutti questi tessuti, tutti firmati col nome di Kha o un suo anagramma. La tomba di Kha – conclude Greco – è quindi uno dei gioielli più importanti che abbiamo al museo Egizio: 467 reperti che ci fanno capire quale attenzione lui e la moglie abbiano messo al rituale perché il loro corpo potesse essere preservato, perché fosse seguito il rituale funerario e loro potessero vivere dopo la morte, ma che ci permettono al contempo anche di vedere quali fossero le loro abitudini di vita, di cosa si cibassero e di come si prendessero cura del corpo. È davvero quasi una capsula del tempo che ci permette di capire come avveniva la vita nel 1350 a.C.”.