Roma, Percorsi fuori dal PArCo. Nel settimo appuntamento, il viaggio parte ancora una volta dal Palatino per giungere sul colle Quirinale al Palazzo Barberini alla scoperta delle proprietà della famiglia Barberini

Settimo appuntamento col progetto “Percorsi fuori dal PArCo – Distanti ma uniti dalla storia” che vuole portare i cittadini romani e tutti i visitatori a scoprire i legami profondi e ricchi di interesse, ma non sempre valorizzati, tra i monumenti del Parco e quelli del territorio circostante, raccontando, con testi e immagini, il nesso antico che unisce la storia di un monumento o di un reperto del parco archeologico del Colosseo con un suo “gemello”, situato nel Lazio. Dopo aver raggiunto il Comune di Cori (tempio dei Dioscuri), il parco archeologico di Ostia Antica (tempio della Magna Mater), Prima Porta (villa di Livia Drusilla), il parco archeologico dell’Appia Antica (tenuta di Santa Maria Nova), piazza Navona (stadio di Domiziano), villa di Tiberio a Sperlonga (Lt), il viaggio virtuale – ma ricco di spunti per organizzare visite reali – promosso dal parco archeologico del Colosseo riparte ancora dal Palatino, precisamente dall’area dell’ex Vigna Barberini per giungere sul colle Quirinale, a circa 2,5 km dal punto di partenza dove sorge Palazzo Barberini, sede di Barberini Corsini Gallerie Nazionali.

La Vigna Barberini è forse il luogo più tranquillo del Palatino: “In questa terrazza erbosa, dal suggestivo affaccio sul Colosseo, dominata dai conventi di San Bonaventura e San Sebastiano”, raccontano gli archeologi del PArCo, “arrivano attutiti i rumori del traffico cittadino, e quasi nulla ci fa ricordare il passato più antico: il silenzio e la pace della Vigna nascondono in realtà una storia affascinante e complessa, messa in luce dagli scavi svolti a partire dal 1985 in collaborazione con l’Ecole française de Rome. Le ricche abitazioni che sorgevano qui in età repubblicana furono presto “cancellate” dalla Domus aurea neroniana”.


Veduta aerea della Vigna Barberini sul Palatino dopo gli scavi recenti (foto PArCo)
“È proprio qui infatti che nel 2009 furono scoperti i resti di una eccezionale struttura alta più di 10 metri”, ricordano sempre gli archeologi del PArCo, “sorretta da un grande pilastro e da doppi archi a raggiera, su cui poggiava una piattaforma circolare: era forse questa la coenatio rotunda, la famosa sala da pranzo che girava giorno e notte imitando il movimento della terra. Le tracce di giardino scoperte durante gli scavi, con messa a coltura di essenze in vasi disposti a filari, fanno pensare che qui fossero anche gli splendidi “Giardini di Adone” che gli scrittori antichi nominano tra le attrattive del Palazzo Flavio. Ma un gravissimo incendio, nel 191 d.C., cambiò di nuovo le sorti della “vigna”, dove agli inizi del III secolo l’imperatore Elagabalo costruì il grandioso tempio dedicato al Dio Sole: oggi ne resta solo parte del basamento. Proprio sulle sue scale, ad gradus Elagabali, fu martirizzato, sotto il regno di Diocleziano, il giovane ufficiale Sebastiano: una chiesa dedicata al culto del Santo esisteva sul posto già nel IX secolo. Nel Medioevo l’area, ormai rurale, fu proprietà di diverse famiglie, finché, nell’agosto del 1631, fu acquistata dal principe Taddeo Barberini, nipote del Papa Urbano VIII: il Papa stesso in quell’anno diede inizio ai lavori di ricostruzione della Chiesa, del Santo cui si aggiunse poi il convento.


Palazzo Barberini. Lo scalone d’onore a pianta quadrata su disegno di Gian Lorenzo Bernini (foto Alberto Novelli)
La Vigna costituisce solo un piccolo tassello della fitta rete di proprietà della famiglia Barberini a Roma, che nel 1623 aveva raggiunto, con Urbano VIII, il soglio pontificio. Già nel 1625 infatti il cardinal Francesco Barberini, fratello del papa, acquista la villa della famiglia Sforza vicino al Quirinale per realizzare un palazzo in grado di rappresentare il nuovo status della famiglia. Per l’ampliamento dell’edificio i Barberini si affidano a Carlo Maderno, che realizza l’impianto ad H, una soluzione assolutamente innovativa che tramite un braccio centrale collega l’ala Sforza, orientata a settentrione su piazza Barberini, con una nuova ala, speculare, a Sud. Gian Lorenzo Bernini progetta lo scalone quadrato e il salone centrale, che occupa in altezza due piani del palazzo. Qui Pietro da Cortona dipinge sulla volta il Trionfo della divina Provvidenza (1632-1639) per celebrare la potenza spirituale e temporale del pontificato Barberini. Negli stessi anni, Francesco Borromini realizza la scala elicoidale nell’ala meridionale.

La grandiosa impresa è tale da segnare un’epoca: il barocco, infatti, nasce qui. Il palazzo è più che una semplice dimora, è anche strumento politico nelle mani della famiglia, che commissiona la realizzazione di varie guide del palazzo rivolte a pubblici diversi e utilizzate come dono diplomatico e mezzo di propaganda. Per informazioni sulle Gallerie Nazionali Barberini Corsini e sulle modalità di visita si può visitare il sito ufficiale https://www.barberinicorsini.org/.
“Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”: il parco archeologico del Colosseo propone un viaggio alla scoperta delle abitazioni succedutesi sul colle nel corso dei secoli. Settima puntata: il Palatino nel Medioevo con i monasteri

Dall’età arcaica e ancora in parte fino alla fine del XIX secolo il colle su cui nacque Roma fu una zona prevalentemente “residenziale”. La vocazione abitativa del Palatino culminò nel I secolo d.C. con la costruzione dei palazzi imperiali: essi si identificarono così strettamente con il colle su cui sorgevano, che il suo nome latino, Palatium, è ancora oggi utilizzato in molte lingue moderne con il significato di “edificio residenziale”. Il parco archeologico del Colosseo propone “Palatium. Abitare sul Palatino dalla fondazione di Roma all’età moderna”, viaggio alla scoperta delle abitazioni – e dei loro abitanti – che nel corso dei secoli si sono succedute sul colle Palatino. In questa settima puntata si parla del Palatino nel Medioevo quando vengono edificati i monasteri.

Il Palatino viene spesso ricordato come sede dei palazzi imperiali; a partire dal Medioevo, tuttavia, sulla collina furono costruiti anche numerosi conventi, che contribuirono a mantenere il prestigio del colle e a conservarne la funzione abitativa dopo l’abbandono delle residenze imperiali. Oggi, sull’area di Vigna Barberini possiamo vedere la chiesa e il monastero di San Sebastiano, collegati internamente, e la chiesa di San Bonaventura con un giardino e un orto panoramici-

Tra i complessi più importanti c’è la chiesa di San Sebastiano, costruita probabilmente nel X secolo nel luogo del martirio del santo, che la tradizione collocava “ad gradus Elagabali”, ossia “sulle gradinate del tempio di Elagabalo” realizzato nel III sec d.C. nell’area dell’attuale Vigna Barberini. Già dal secolo XI è segnalato un monastero abitato dai Benedettini che ebbe poi un periodo di decadenza nel XIII e fu abbandonato. Solo nel 1630 San Sebastiano fu oggetto di un importante restauro da parte della famiglia Barberini, quando Urbano VIII acquistò la proprietà su cui sorgevano chiesa e monastero e affidò il restauro all’architetto Luigi Arrigucci. In questo momento furono distrutti gli affreschi medievali, risparmiando solo quelli dell’abside. L’effettiva intitolazione a San Sebastiano ci fu nel 1650 come testimonia la lapide al centro del portale. Un’epigrafe all’interno della chiesa testimonia che nel 1675 fu concessa temporaneamente ai Francescani della vicina San Bonaventura.

Infatti, più tardo è il convento di San Bonaventura al Palatino, fondato dal beato Bonaventura da Barcellona, che nel 1675 ottenne il permesso dal cardinale Francesco Barberini di costruire un “ritiro” sulla sommità del Palatino, sulle rovine di una cisterna dell’acquedotto Claudio. Nonostante il terreno difficile, nel 1676 furono avviati i lavori per la costruzione di una chiesa e un convento. Nel 1689, a cinque anni dalla morte di fra Bonaventura, la chiesa fu consacrata.

Il convento di San Bonaventura è raggiungibile grazie alla stretta stradina in salita che termina proprio sul sagrato. Essa è ornata nell’ultimo tratto dalle nicchie della Via Crucis erette nel 1731 per opera di Leonardo da Porto Maurizio che risiedé nel convento dal 1730 al 1751. Inizialmente le scene nelle nicchie erano dipinte ma, a causa dei danni dovuti all’umidità, nel 1772 ne furono inaugurate di nuove, in terracotta dipinta, realizzate dallo scultore Giuseppe Franchi e da padre Corrado da Rimini.

Lapide all’interno della chiesa di San Bonaventura sui lavori ottocenteschi (foto PArCo)
L’attuale aspetto ottocentesco della chiesa è riconducibile, come testimonia la lapide sulla parete sinistra accanto all’ingresso, ai lavori voluti dal cardinale Antonio Tosti, che sostituirono la copertura, originariamente a capriata, con volta a botte dipinta a cassettoni e rinnovarono gli altari e i pavimenti.
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CHI SIAMO
Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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