Grazie al milione di euro donato dall’Azerbaijan parte l’operazione Parco dei Fori imperiali riuniti a Roma: scavi in via Alessandrina che in parte “sparirà”

Il tracciato di via Alessandrina e di via dei Fori imperiali che insiste suI foro di Nerva, di Augusto e di Traiano a Roma

Via Alessandrina a Roma corre alta sopra i Fori Imperiali, che in parte divide: presto una parte “sparirà”
Grazie a fondi privati questa sembra la volta buona per dare sostanza al grande progetto del parco archeologico dei Fori imperiali, nel cuore di Roma: una delle più grandi aree archeologiche del mondo. C’è infatti il via libera agli scavi archeologici e alla valorizzazione dell’area dei Fori imperiali, in particolare sotto la via Alessandrina (destinata in parte a “sparire”), che permetteranno la riunificazione di uno dei complessi archeologici più importanti al mondo costituito dai fori di Traiano, Augusto e Nerva. E tutto grazie a un mecenate: la Repubblica dell’Azerbaijan, che ha donato a Roma un milione di euro. L’annuncio è stato dato durante l’incontro tra il sindaco di Roma Ignazio Marino e il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, sulla terrazza sui Mercati di Traiano, che affaccia proprio sulla via Alessandrina, strada parallela ai Fori imperiali, chiusa nel 2007 per essere riaperta completamente ristrutturata il 28 ottobre 2013, nella zona più bassa del Rione Monti, dalla quale la zona circostante prendeva il nome di Quartiere Alessandrino. L’intervento (che sarà curato dalla soprintendenza Capitolina, guidata da Claudio Parisi Presicce, e da quella statale, la soprintendenza ai Beni archeologici di Roma) partirà tra circa 6 mesi e sarà affidato con gara pubblica, coinvolgendo le università con i dipartimenti di Archeologia e le accademie straniere presenti a Roma, per una durata di 24 mesi dall’affidamento. Il finanziamento sarà suddiviso in due rate da 500mila euro: la prima entro 3 mesi dal completamento delle procedure della legislazione azera, la seconda a un anno di distanza. Anche i lavori saranno divisi in due fasi: una per le verifiche e i sondaggi archeologici e la seconda per l’eliminazione del terreno attraverso l’uso di speciali macchinari. Questa comunque è solo l’ultima delle iniziative che la Repubblica dell’Azerbaijan ha messo in piedi con Roma Capitale: la collaborazione, infatti, ha già visto la mostra al museo della Civiltà Romana “Azerbaijan, la terra dei fuochi sulla via della seta” e il restauro degli elementi architettonici delle opere della Sala dei Filosofi nei Musei Capitolini.
Il nome Via Alexandrina era stato attribuito alla via nata dall’allargamento dell’antica Via Recta voluto da Alessandro VI per il giubileo del 1500. Il toponimo “Alessandrino” oggi in uso deriva dall’acquedotto Alessandrino che insiste nella zona. La zona dei Fori – ricordano gli archeologi – non fu mai completamente abbandonata, anche nei secoli della decadenza, in parte demolendo ma anche ricostruendo e riutilizzando strutture dei fabbricati antichi, e in parte trasformando in terreno agricolo quello che era un tempo il centro della Roma imperiale. Gli scavi nell’area dei Fori in corso dal 1998 hanno infatti evidenziato gli strati di crollo o di abbandono databili tra il VI e il VII secolo e resti di case aristocratiche databili al IX e X secolo nel Foro di Nerva, tra le pochissime tracce di edilizia di età carolingia note in Roma. La zona comunque, pianeggiante e posta ai piedi dei colli Quirinale, Viminale e Oppio, con la messa fuori uso del sistema fognante romano era tornata paludosa, tanto da essere denominata popolarmente i Pantani. La prima sistemazione urbanistica moderna della zona tra il Foro di Nerva e la Colonna Traiana avvenne attorno al 1570 per opera del cardinale Michele Bonelli, nipote di Pio V Ghislieri, detto l’Alessandrino dalla sua zona di origine. Questi provvide a bonificare l’area e a renderla edificabile, tracciandovi la via detta, dal suo appellativo, Alessandrina. La strada tagliava l’antico Argiletum raggiungendo il Tempio della Pace (al di là dell’odierna via Cavour).
Il quartiere, con una sua vita, una sua storia, e memorie anche di rilievo, insisteva però su un’area che, per la sua ricchezza dovuta alla presenza di straordinari giacimenti archeologici, fin dall’Unità d’Italia era stata al centro di quella che Antonio Cederna chiamò “l’eterna fissazione sventratoria che si afferma subito dopo l’Unità”. Già il primo piano regolatore di Roma capitale, del 1873, prevedeva l’allargamento di via Cremona (la parallela di via Alessandrina sotto il Campidoglio, che insisteva sul Foro di Cesare) in direzione di via Cavour e la costruzione di un viadotto che, prolungando la stessa via Cavour (costruita appunto in quegli anni), attraversasse il Foro romano in sopraelevata, verso la Bocca della Verità e Trastevere. Tuttavia la costruzione dell’enorme massa del Vittoriano – avvenuta tra il 1900 e il 1911 al di fuori di ogni piano, come accadde per decenni a Roma – spostò il fuoco dell’attenzione urbanistica dai Fori a piazza Venezia.
Cominciò allora ad apparire indispensabile realizzare un tracciato viario rettilineo che mettesse in comunicazione il nuovo nucleo monumentale moderno con quello antico individuato nel Colosseo. Le prime demolizioni – finalizzate appunto alla costruzione del Vittoriano – erano avvenute nel primo decennio del Novecento tra piazza Venezia e il fianco nord del Campidoglio, polverizzando fra l’altro il chiostro del convento dell’Ara Coeli e la Torre di Paolo III sul Campidoglio. Nel 1926 venne deliberata una variante al piano regolatore che prevedeva la completa demolizione di quanto era stato costruito nei secoli sopra i Fori tra piazza Venezia e via Cavour. Lo sventramento fu così approvato nel 1931, e realizzato in un solo anno, interessando tutto lo spazio tra piazza Venezia e il Colosseo, dove per costruire i 900 metri di quella che sarà poi chiamata la Via dell’Impero vengono rimossi 300mila metri cubi di terra e calcestruzzi romani (sversati qualche chilometro più in là a colmare “le bassure già malariche della via Ostiense”), praticamente senza fare rilievi di ciò che si distruggeva. Alla fine dell’operazione saranno stati demoliti circa 5mila vani di abitazione in cui abitavano circa 4mila persone, trasferite dalle loro case sotto al Campidoglio in borgate cosiddette “provvisorie” che erano allora sperdute in mezzo alla campagna – Val Melaina, Tormarancia, Primavalle, Gordiani, Pietralata, San Basilio, Prenestino, Tiburtino. L’ultimo blocco di case demolito nel 1933 – la via dell’Impero è aperta al pubblico il 21 aprile 1933 – è quello di via Alessandrina.
Al Vittoriano di Roma la mostra “Sulle tracce di Caligola”, storia dei grandi recuperi della Guardia di Finanza al lago di Nemi
Tutto è cominciato nel gennaio 2011 quando la Guardia di Finanza intercettò una statua dell’imperatore Caligola ridotta “a pezzi” dai tombaroli per agevolarne l’occultamento all’interno di un container diretto in Svizzera, e una serie di manufatti marmorei e bronzei, recuperati e correlati alla figura dell’imperatore, provenienti dalle sue navi, dalla villa sul lago di Nemi e dal santuario di Diana Aricina. Il sequestro della statua di Caligola in trono come Zeus suscitò nel 2011 uno straordinario clamore mediatico, per la singolarità dell’operazione, lo stato di rinvenimento della scultura e la coincidenza dei duemila anni trascorsi dalla nascita dell’Imperatore Caligola, che sarebbero ricorsi di lí a poco (agosto 2012). Dopo il sequestro, la scultura è stata affidata a un team di restauratori, che l’hanno ricomposta nella foggia originaria, riparando i danni provocati dall’attività di saccheggio dal sito originario, anche se gran parte del lato destro resta incompleta.
A distanza di tre anni, è stata aperta al complesso del Vittoriano di Roma, dove rimarrà fino al 22 giugno, la mostra “Sulle tracce di Caligola, storie di grandi recuperi della Guardia di Finanza sul lago di Nemi”, che ha ottenuto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica ed è promossa dal Nucleo Polizia Tributaria Roma – Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Gdf in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, per dare visibilità all’operato che la Gdf pone per la salvaguardia dei beni archeologici: nel solo biennio 2012-2013 – ricordiamolo-, l’impegno dei finanzieri ha consentito il recupero di 11.258 manufatti di interesse archeologico; il sequestro di 136.873 opere contraffatte e la denuncia di 294 responsabili per violazione di natura penale. L’esposizione, a cura della soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, si avvale tra gli altri dei contributi del consigliere per la conservazione del patrimonio artistico del presidente della Repubblica, Louis Godart, del direttore generale del ministero dei Beni culturali Luigi Malnati e del comandante del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Gdf Massimo Rossi.

Cratere marmoreo decorato con corsa di bighe della seconda metà del II secolo d.C. in mostra al Vittoriano
Oltre alla monumentale scultura, fulcro dell’evento, è esposto per la prima volta al pubblico un corpus di manufatti marmorei e bronzei recuperati dall’indotto clandestino e correlati alla figura di Caligola, perché provenienti, come detto, dal territorio nemorense e in particolare dalle navi dell’imperatore, dalla sua villa sul lago di Nemi e dal santuario di Diana Aricina. Tra queste un Cratere marmoreo decorato con corsa di bighe della seconda metà del II secolo d.C., una statua marmorea di Apollo e una copia bronzea di cassetta con mano apotropaica (entrambe del II secolo d.C.) proveniente da una delle navi dell’Imperatore. La mostra è corredata da un apparato didattico e multimediale, con immagini storiche provenienti dagli archivi di Teche Rai, attrezzature sequestrate ai “tombaroli” e corner tematici sulla pluridecennale attività della Guardia di Finanza a tutela dell’arte.
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