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Tra mammuth e tigri dai denti a sciabola: riapre il museo Paleontologico di Montevarchi, uno dei più antichi d’Europa: allestimento innovativo multimediale per conoscere il Valdarno tre milioni di anni fa

L'impressionante fossile di Mammuthus meridionalis "simbolo" del museo Paleontologico di Montevarchi in Valdarno

L’impressionante fossile di Mammuthus meridionalis “simbolo” del museo Paleontologico di Montevarchi in Valdarno

Il manifesto dell'inaugurazione del rinnovato museo di Montevarchi

Il manifesto dell’inaugurazione del rinnovato museo di Montevarchi

Il Valdarno si distende tra il massiccio di Pratomagno e le dolci colline ridisegnate ad arte dai vigneti del Chianti, con l’orizzonte mosso da filari di cipressi che impettiti resistono al vento, e la base dei poggi ricca di opifici tra le moderne vie di comunicazione: un paesaggio accogliente valorizzato dai molti agriturismi, oasi di relax e di tentazioni per il palato. Ma ora chiudiamo gli occhi e prepariamoci a un viaggio indietro nel tempo di alcuni milioni di anni. Quando li riapriremo, davanti ai nostri occhi apparirà un mondo fantastico: una giungla equatoriale che lascia via via il posto a una tundra popolata di animali terrificanti, come l’immenso mammuth o la temibile tigre dai denti a sciabola. Non siamo su set di un sequel di Jurassik Park, ma all’ingresso del rinnovato museo Paleontologico di Montevarchi in Valdarno, uno dei più antichi d’Europa con quasi due secoli di vita, museo che sabato 6 dicembre riapre al pubblico dopo oltre sei anni di chiusura impiegati per dotare la celebre istituzione di un allestimento al passo con i tempi. Il restauro si deve a un forte impegno economico della Regione Toscana e del Comune di Montevarchi, proprietario di gran parte della struttura in cui il nuovo museo può finalmente valorizzare le sue ricchezze, ovvero l’ex convento trecentesco di San Lodovico: una delle più interessanti raccolte europee di fossili, tutti estratti da quell’immensa “miniera” che è il territorio del Valdarno. Qui tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore, ovvero tra 5,332 e 2,588 milioni di anni fa, una giungla equatoriale si trasformò gradualmente in una tundra sotto la quale, per una singolare fortunata combinazione chimico fisica, i resti degli antichi animali si fossilizzarono perfettamente. Le scoperte datano già in epoca medicea ma il sottosuolo continua a offrire sempre nuove sorprese. “Le potenzialità del rinnovato museo Paleontologico sono fortissime”, assicurano i responsabili dell’accademia Valdarnese, titolare del museo. “Fortissime soprattutto in ambito didattico, vista la possibilità e l’ambizione di proporre numerose attività anche in orario extrascolastico per bambini e famiglie. Ma siamo anche convinti che il “nuovo” Paleontologico con la storia naturalistica di un territorio come il Valdarno avrà un grande appeal turistico soprattutto all’estero”.

Una delle gallerie del museo Paleontologico di Montevarchi nell'allestimento ottocentesco

Una delle gallerie del museo Paleontologico di Montevarchi nell’allestimento ottocentesco

Il museo Paleontologico di Montevarchi, che – come detto – appartiene all’accademia Valdarnese del Poggio, nasce intorno al 1809 da una raccolta donata dal monaco di Vallombrosa Luigi Molinari. Poco dopo Georges Cuvier, fondatore della paleontologia moderna, studiò questi primi reperti che erano allora conservati nei locali del convento dei Minori Francescani di Figline Valdarno. Nel 1818 la raccolta, assieme alla sede dell’accademia e al fondo librario nel frattempo costituitosi, fu trasferita nei locali attuali di Montevarchi e fu aperta al pubblico ufficialmente nel 1829. Mezzo secolo dopo, fra il 1873 e il 1880, il prof. Paolo Marchi di Firenze e il prof. Forsyth Major di Glasgow classificarono i 732 reperti fino allora raccolti e iniziarono a compilare il relativo catalogo. Fu poi il prof. Giovanni Capellini, geologo e paleontologo cui è dedicato il museo Geologico e Paleontologico dell’università di Bologna, a continuare la catalogazione mentre il museo si arricchiva di nuovi pezzi. La raccolta nel tempo si è ampliata con nuove scoperte per lo più in ambito locale, cui hanno sostanzialmente contribuito le segnalazioni da parte di contadini e abitanti del territorio.

Il paesaggio del Valdarno superiore ben diverso da quello di tre milioni di anni fa

Il paesaggio del Valdarno superiore ben diverso da quello di tre milioni di anni fa

La ricostruzione del paesaggio del Valdarno nel Pleistocene

La ricostruzione del paesaggio del Valdarno nel Pleistocene

L’allestimento originale, che rispecchiava il concetto ottocentesco di esposizione museale, articolato in quaranta vetrine disposte in tre gallerie, è stato sostituito da un allestimento moderno che disegna un percorso didattico in grado di stimolare l’interesse e arricchire la conoscenza del visitatore. Dopo un primo corridoio in cui si ripropone un saggio dell’allestimento ottocentesco, si passa al nuovo, in cui ogni reperto esposto nelle vetrine è illustrato da didascalie. Ci sono poi pannelli su alcuni aspetti peculiari del territorio come le trasformazioni delle faune, delle flore e delle condizioni climatico – ambientali che hanno accompagnato la storia del Valdarno negli ultimi tre milioni di anni.

Il nuovo allestimento del museo di Montevarchi con pannelli didattici e supporti multimediali

Il nuovo allestimento del museo di Montevarchi con pannelli didattici e supporti multimediali

Il museo di

Un fossile di mammifero conservato al museo Paleontologico

Un fossile di mammifero conservato al museo Paleontologico

Montevarchi accoglie circa 2600 reperti. Fra essi si distinguono fossili vegetali, come le noci di Juglans tephrodes e le foglie di Platanus aceroides e una ricca collezione di fossili animali, provenienti quasi esclusivamente dal Valdarno Superiore e di età compresa fra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore. Tra gli esemplari più interessanti del museo un gigantesco scheletro di elefante – Mammuthus meridionalis – quasi completo con enormi zanne di oltre tre metri di lunghezza di 320 cm, popolarmente noto come “Gastone l’elefantone”, il cranio della tigre dai denti a sciabola – Homotherium crenatidens -, chiamata così per le dimensioni dei canini superiori, i crani di Hystrix etrusca, e il cranio del Canis etruscu, il “Tipo”, cioè il primo che ha dato origine ad una nuova specie. Una delle ultime acquisizioni sono i resti fossili di Palaeoloxodon antiquus, giovane elefantessa divenuta subito popolare col nomignolo di “La Giulia”. Questo ritrovamento, avvenuto nel 2001 nell’Aretino in località Campitello, vicino a Bucine, è particolarmente importante perché associato a tre strumenti litici con ancora i resti delle legature originali.

Il moderno allestimento del museo Paleontologico ricco di informazioni

Il moderno allestimento del museo Paleontologico ricco di informazioni

Numerosi sono i disegni, le tavole di confronto e soprattutto le ricostruzioni paleoambientali che si articolano lungo il percorso. Il visitatore può approfondire dinamicamente la storia del Valdarno Superiore soffermando la sua attenzione su una serie di video, dislocati lungo il tracciato, nei quali vengono ricostruite le cause e gli effetti delle oscillazioni glaciali-interglaciali, i caratteri della foresta equatoriale caldo-umida diffusa nel Valdarno 3.1 milioni di anni fa e infine altri video nei quali sono approfonditi i caratteri delle singole specie rinvenute nella argille e nelle ligniti della fase a foresta. Prospettive scenografiche in cui le figure si compongono e si scompongono a seconda del punto di osservazione, ricostruzioni di uomini primitivi e multimedialità fanno da cornice capace di suggestionare il visitatore e di incantare soprattutto i più piccoli.

I semi di uva recuperati da Alvaro Tracchi nel sito etrusco-romano di Cetamura del Chianti

I semi di uva recuperati da Alvaro Tracchi nel sito etrusco-romano di Cetamura del Chianti

Il percorso del museo Paleontologico è completato da una nuova sezione archeologica dedicata allo studioso locale Alvaro Tracchi, con reperti etruschi provenienti dal territorio del Valdarno, ma anche dalla zona del Viterbese. “Gli apparati didattici e la multimedialità”, spiegano in accademia, “permetteranno di proporre una didattica archeologica innovativa, capace di approfondire tematiche sulla vita quotidiana in età lontanissime”. Infine la nascita di un laboratorio di restauro interno, che permetterà di monitorare lo stato di conservazione del materiale e di intervenire tempestivamente, ma anche di svolgere attività didattiche per bambini per lo sviluppo della manualità o corsi di formazione per adulti.