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Roma. Al parco archeologico dell’Appia Antica ultimi giorni della mostra “Misurare la Terra. Un’epigrafe napoleonica dai Musei Vaticani al Mausoleo di Cecilia Metella”

Locandina della mostra “Misurare la terra” al parco archeologico dell’Appia Antica fino al 9 gennaio 2022

Ultimi giorni per visitare la mostra “Misurare la Terra. Un’epigrafe napoleonica dai Musei Vaticani al Mausoleo di Cecilia Metella”, ospitata fino al 9 gennaio 2022 al Parco Archeologico dell’Appia Antica, in due sedi espositive, al Complesso di Capo di Bove e al Mausoleo di Cecilia Metella. L’esposizione, curata da Aura Picchione, Stefano Roascio, Ilaria Sgarbozza, cade nel bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte e vuole raccontare il contesto scientifico e culturale romano di fine XVIII e inizio XIX secolo, quando ebbe inizio la redazione delle mappe geografiche di tipo scientifico, ed in particolare il ruolo del Mausoleo di Cecilia Metella, scelto in ancien régime come base geodetica e utilizzato per le rilevazioni e misurazioni cartografiche dei territori pontifici e napoleonici e per una nuova misurazione del meridiano terrestre. La mostra nasce dalla fortunata riscoperta nei Musei Vaticani di un’epigrafe che, tra il 1810 e il 1813, fu posizionata sul sepolcro. Sfuggita alla distruzione dei simboli dell’impero, rappresenta una delle poche testimonianze materiali superstiti dell’occupazione francese. Ricollocata in copia nel punto della sistemazione ottocentesca, l’epigrafe restituisce al Mausoleo la sua valenza di luogo della scienza cartografica. L’esposizione si presta a due fondamentali chiavi di lettura: la ricostruzione del milieu scientifico in cui l’epigrafe viene concepita e utilizzata e il ruolo del Mausoleo nella cultura e nelle arti.

Capriccio, di autore ignoto, raffigurante il celebre sepolcro della Regina Viarum in prossimità del golfo di Napoli (foto parco appia antica)

In questi ultimi giorni di esposizione la mostra si è arricchita di un’opera, straordinariamente interessante, che documenta l’apposizione sul tamburo del Mausoleo di Cecilia Metella dell’epigrafe napoleonica. Si tratta di un capriccio, di autore ignoto, raffigurante il celebre sepolcro della Regina Viarum in prossimità del golfo di Napoli, secondo una prospettiva nota, individuata alla metà del Settecento dai celebri vedutisti Claude-Joseph Vernet e Antonio Joli. L’epigrafe vi appare in tutta la sua evidenza, della forma e delle dimensioni che ancora oggi le riconosciamo. Alle rare fonti letterarie in nostro possesso, si aggiunge dunque una fonte iconografica inedita, che documenta lo stato del monumento in età napoleonica, prima della rimozione del manufatto, avvenuta presumibilmente tra il 1814 e il 1816.

Alla mostra “Archaeology and Me” a Palazzo Massimo a Roma per la prima volta insieme due dei tre pezzi trafugati del “Gladiatore che uccide un leone”, gruppo scultoreo della seicentesca Collezione Giustiniani

Il gruppo del "Gladiatore che uccide il leone" in un'incisione della seicentesca Collezione Giustiniani

Il gruppo del “Gladiatore che uccide il leone” in un’incisione della seicentesca Collezione Giustiniani

Palazzo Massimo a Roma, sede del museo nazionale Romano

Palazzo Massimo a Roma, sede del museo nazionale Romano

Per la prima volta dopo 50 anni tornano insieme due dei tre pezzi del “Gladiatore che uccide un leone”, gruppo scultoreo della seicentesca Collezione Giustiniani, trafugati tra il 1966 e il 1971: sono la testa del leone, preso, ma ruggente. E il busto dell’atleta pronto a colpirlo a morte. Testa di leone e busto dell’atleta sono le star indiscusse della mostra “Archaelogy and Me – Pensare l’archeologia nell’Europa contemporanea”, aperta al museo nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma fino al 23 aprile 2017. Che cos’è l’archeologia? Come viene percepita dai cittadini europei? Quale ruolo ha nella società contemporanea? Sono le domande alle quali risponde la mostra a cura di Maria Pia Guermandi e Rita Paris, promossa dalla soprintendenza speciale per il Colosseo e l’area centrale di Roma e dal museo nazionale Romano, in collaborazione con l’Istituto per i Beni Artistici Culturali e naturali dell’Emilia Romagna, con l’organizzazione di Electa.

Il torso di Mitra-Gladiatore restituito dal Paul Getty Museum, ora in mostra a Roma

Il torso di Mitra-Gladiatore restituito dal Paul Getty Museum, ora in mostra a Roma

Il gruppo del “Gladiatore che uccide un leone”, ritratto in una delle incisioni volute dal marchese Vincenzo Giustianiani nel 1631 per illustrare la sua collezione di antichità, era in realtà una composizione creata all’epoca intorno al frammento di un Mitra tauroctono di età romana. Rubato dalla Villa di Bassano Romano, il torso è stato restituito dal Getty Museum nel ’99 grazie al nucleo Tutela patrimonio culturale dei carabinieri dopo una lunga vicenda, ben riassunta sul sito “Archaelogy and me”, che dimostra come “l’archeologia non sia solo scavo, ma anche studio, conoscenza, collaborazione e tanta pazienza. E talora, come nel caso del “torso di Mitra”, l’archeologia un caso  da risolvere!”. “Siamo al 1984”, raccontano gli esperti di Archaeology and me, “quando alcune foto di dettaglio del solo busto della statua apparvero in un articolo sui restauri del Paul Getty Museum di Malibu, in California. Non venivano forniti né una foto per intero della statua né indicazioni sulla provenienza! Ancora una volta fu un archeologo a riconoscere il pezzo: il tedesco Rainer Vollkommer, studioso dell’iconografia del dio Mitra. Evidentemente il torso del “Gladiatore-Mitra” era uscito illegalmente dal nostro Paese per essere venduto sul mercato antiquario. Grazie al reparto operativo del comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale nel 1999 l’opera ritornò in Italia e venne collocato a Ostia, accanto all’originale come avrebbe voluto Giovanni Becatti”.

La testa di leone del gruppo Giustiniani: era esposta a Villa di Capo del Bove sulla via Appia

La testa di leone del gruppo Giustiniani: era esposta a Villa di Capo del Bove sulla via Appia

La testa del leone è stata invece rinvenuta ad aprile scorso nel sito archeologico di Capo di Bove sulla Via Appia, in una villa privata acquistata dalla soprintendenza e oggi aperta al pubblico. “Per una strana coincidenza della sorte”, ci raccontano ancora gli archeologi di Archaeology and Me, “la testa, rubata nel 1966, era già rientrata a far parte delle collezioni dello Stato: era esposta nella Villa di Capo di Bove, al Parco Archeologico dell’Appia Antica! È possibile che la testa fosse stata acquistata sul mercato antiquario dal vecchio proprietario della villa, prima che la proprietà fosse venduta alla Soprintendenza Archeologica di Roma nel 2002. E ora, grazie al sapiente lavoro dei Carabinieri del Nucleo Tutela il pezzo è stato riconosciuto e, in occasione della mostra “Archaeology&ME”, è finalmente possibile rivedere riuniti due “protagonisti” di questa lunga storia!”.