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Torino. Al museo Egizio la mostra “Champollion e Torino” del ciclo “Nel laboratorio dello studioso” a cura di Beppe Moiso e Tommaso Montonati, a un mese dal bicentenario della decifrazione dei geroglifici, ad opera di Jean-François Champollion, padre dell’egittologia. E a settembre sarà esposto il Canone Regio, studiato da Champollion

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L’ingresso della mostra “Champollion e Torino” al museo Egizio di Torino per il ciclo “Nel laboratorio dello studioso” (foto museo egizio)

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La stele dedicata ad Amenhotep I e Ahmose Nefertari della collezione Drovetti esposta nella mostra “Champollion e Torino” (foto museo egizio)

A un mese dal bicentenario della decifrazione dei geroglifici, ad opera di Jean-François Champollion, padre dell’egittologia, il museo Egizio di Torino racconta e approfondisce con la mostra “Champollion e Torino” un inedito aspetto della vita dello studioso francese, che nel 1824 giunse a Torino per collaborare all’ordinamento dei reperti della collezione del Museo Egizio, appena fondato. E davanti alla ricca collezione egittologica esclamò la frase divenuta famosa: “La strada per Menfi e Tebe passa da Torino”. In particolare, Champollion restò estasiato dalla statua di Ramses II, oggi esposta nella Galleria dei Re. Di essa, lo studioso francese disse: “In breve, ne sono innamorato”. La mostra “Champollion e Torino” curata da Beppe Moiso e Tommaso Montonati, curatori del museo Egizio e dell’Archivio Storico fotografico del museo, apre il 26 agosto 2022. L’esposizione fa parte del ciclo “Nel laboratorio dello studioso”, una serie di mostre bimestrali che accompagnano i visitatori dietro le quinte dell’Egizio, alla scoperta dell’attività scientifica, condotta dai curatori ed egittologi del Dipartimento Collezione e Ricerca del museo. La mostra, aperta al pubblico fino al 30 ottobre 2022, è visitabile al primo piano del museo. E il 27 settembre 2022, in occasione del bicentenario della decifrazione dei geroglifici, il museo osserverà un orario di apertura speciale, fino alle 22, con ingresso gratuito a partire dalle 18.30.

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L’allestimento della mostra “Champollion e Torino” al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

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Jean François Champollion ritratto da Leon Cogniet nel 1831

Champollion, l’uomo che ci ha permesso di comprendere i testi dell’antico Egitto, dai papiri alle iscrizioni, decifrando i geroglifici nel 1822, arriva a Torino il 7 giugno 1824 e da subito si concentra sul riordino e sullo studio dei reperti egizi della collezione di antichità egizie, riunite dal console francese Bernardino Drovetti e giunta a Torino dopo essere stata acquistata da re Carlo Felice di Savoia. Appena giunto in città, Champollion alloggia all’hotel Féder in strada della Zecca 8 (l’attuale via Verdi), si trasferisce poi presso l’amico Ludovico Costa, in via Barra di Ferro (attuale via Bertola). La sua permanenza in città si protrae fino al marzo 1825, mesi durante i quali visita i luoghi di cultura cittadini, studia la collezione del museo e tesse legami con diversi intellettuali torinesi. Anche se non mancheranno le frizioni con Giulio Cordero di San Quintino, conservatore del museo, che si occupa della prima catalogazione della collezione Drovetti, quando ancora è stivata al porto di Livorno.

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Appunti autografi di Jean-François Champollion conservati al museo Egizio di Torino ed esposti nella mostra “Champollion e Torino” (foto museo egizio)

All’arrivo di Champollion alcuni dei reperti oggi esposti al museo Egizio erano ancora conservati nelle casse in cui arrivarono a Torino dall’Egitto. Il suo lavoro dapprima si concentra sul riconoscimento dei nomi reali all’interno dei cartigli, riportati sia in geroglifico sia in ieratico. La collezione del museo Egizio per lui fu una folgorazione. In una lettera al fratello scrisse in italiano: “Questo è cosa stupenda” e trascorre le sue giornate torinesi a catalogare, decifrare e a prendere appunti. Pubblicazioni ottocentesche e lettere autografe di Champollion, reperti e statuette sono gli ingredienti principali della mostra che ricostruisce i 9 mesi del padre dell’egittologia nel capoluogo piemontese.

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Alcuni frammenti del papiro dei Re o Canone Regio conservato al museo Egizio di Torino (foto museo egizio)

A Champollion si deve un primo studio del Canone Regio, papiro che è arrivato a noi in numerosi frammenti e che è famoso nel mondo perché riporta sul retro l’elenco dei faraoni fino a Ramses II (vedi #iorestoacasa. “Passeggiate del Direttore”: nel quinto incontro il direttore del museo Egizio ci ricorda il ruolo di Vidua nella nascita del museo, ci riporta alle atmosfere dell’Ottocento con le sale storiche, e ci fa conoscere il Canone Regio | archeologiavocidalpassato). Il Papiro, conservato a Torino, tornerà in esposizione a fine settembre 2022, dopo essere stato restaurato, grazie all’opera di un team di studiosi e restauratori internazionali, una triangolazione tra Torino, Berlino e Copenaghen, sotto la supervisione della responsabile della Papiroteca del museo Susanne Töpfer.

#iorestoacasa. “Passeggiate del Direttore”: nel quinto incontro il direttore del museo Egizio ci ricorda il ruolo di Vidua nella nascita del museo, ci riporta alle atmosfere dell’Ottocento con le sale storiche, e ci fa conoscere il Canone Regio

Le “Passeggiate del direttore”, pensate nell’impegno lanciato dal Mibact #iorestoacasa, sono giunte alla quinta puntata dedicata al ruolo ricoperto da Carlo Vidua nella nascita del museo Egizio, alla concezione del museo per tutto l’Ottocento, resa oggi dalle cosiddette Sale storiche, fino a conoscere uno dei papiri più famosi e importanti conservati a Torino, il Canone Regio. La “passeggiata” inizia da una vetrina che conserva alcune statuette lignee (ushabti) con il cartiglio del faraone Seti I, gentilmente prestate dal museo civico di Casale Monferrato, perché dà modo al direttore Christian Greco di parlare della figura e del ruolo di Carlo Vidua, conte di Conzano, originario proprio di Casale Monferrato, esploratore, collezionista, viaggiatore. “Intorno al 1819 Vidua si reca in Egitto – ricorda Greco – dove probabilmente vede una lista manoscritta di Bernardino Drovetti con l’intera collezione. E allora scrive immediatamente a Prospero Balbo, presidente dell’accademia delle Scienze di Torino, perché insista con il re Vittorio Emanuele I per l’acquisto della collezione. A Balbo scrive: “Solo se Torino acquisterà questa collezione l’Italia (che in realtà non esisteva ancora, non era stata ancora unificata) sarà un grande Paese”. E aggiunge: “Questo perché avrà il primo museo Egizio in Torino, la prima Galleria in Firenze, e il più grande museo di Antichità classiche in Roma”. Ecco il valore che veniva dato alla cultura e il valore dell’investimento davvero lungimirante che i Savoia decisero di fare con questo museo. La cultura come colonna identitaria di un Paese, e mi piace pensare che non a caso proprio Torino, Firenze e Roma si siano passate il testimone per essere capitale di questo Paese grazie anche alla forza che hanno delle collezioni che esse custodiscono”.

Le due tele di Lorenzo Delleani del 1871 con il museo Egizio e il museo di Scienze naturali (foto museo egizio)

Si torna alla storia del museo: nel 1824 la collezione Drovetti arriva a Torino e il museo arriva nel Palazzo dell’Accademia delle Scienze che da allora è la sede dell’Egizio. Nel 1832 si decide di unificare la collezione, che in parte era all’università, insieme alle antichità classiche. E così nasce il regio museo di Antichità ed Egizio. “Nell’800 il museo è essenzialmente un luogo di studio”, spiega il direttore. “Lo vediamo molto bene in un quadro di Lorenzo Delleani, che rappresenta il direttore e altri studiosi con il libro in mano che leggono le stele e cercano di capire cosa vi sia scritto. La collezione serve dunque a studenti e studiosi per capire l’Antico Egitto, perché proprio in queste sale si andava via via scrivendo la storia dell’Antico Egitto”. Proprio recentemente il museo Egizio ha voluto ricreare questa atmosfera allestendo le cosiddette Sale storiche (vedi https://archeologiavocidalpassato.com/2019/12/27/torino-il-museo-egizio-apre-al-pubblico-nuovi-spazi-dedicati-al-racconto-della-propria-storia-allestite-cinque-nuove-sale-fra-cui-quella-dedicata-alla-fedele-ricostruzione-di-un-ambiente-museale-de/) dove troviamo una vetrina originale dei primi allestimenti del museo dove sono stati posti gli oggetti così come erano esposi nell’Ottocento: raccolti per tipologie e senza didascalie, perché il museo è un luogo di studio dove studenti e studiosi vengono per approfondire, per capire, per cercare di mettere su carta qua era l’antica civiltà egizia. O ancora una vetrina con un sarcofago che ricorda quanto si vede nel dipinto di Delleani. In queste sale è stato infine possibile riunificare ciò che era stato separato nel 1939: come il medagliere dei sovrani d’Egitto in epoca greca (da Tolomeo I Soter a Cleopatra VII) e romana (imperatori fino ad Adriano), gentilmente concesso dai musei Reali di Torino, dove – appunto nel 1939 – è stata spostata dal palazzo dell’Accademia delle Scienze la collezione di antichità.

La ricostruzione di una sala del museo con l’allestimento come era nell’800 (foto museo egizio)

Tra i documenti meravigliosi che il museo conserva c’è il papiro di Torino, la lista reale di Torino: il Canone Regio. È uno dei documenti più importanti che esistono al mondo. In ordine cronologico raccoglie il nome dei sovrani che si sono succeduti alla guida dell’Egitto. È una lista di 77 nominativi che vanno dall’epoca di Narmer all’età ramesside, con alcune epurazioni: non ci sono i faraoni che non vengono ritenuti degni di essere ricordati, o quanti sono oggetto di damnatio memoriae. “Ma grazie a questa lista”, sottolinea Greco, “confrontata con la lista cronologica di Manetone, è stato possibile costruire quella colonna dorsale cronologica dell’Antico Egitto per ricostruire la storia di questa civiltà. Questa lista la vide Champollion in Egitto: gli venne portata una tavola lunga quasi tre metri con una serie di frammenti di papiro e lui capì immediatamente la valenza di quel papiro tanto che disse che si trovava davanti a un documento così importante che non osava nemmeno respirare nel timore che il suo respiro condannasse all’oblio il nome di faraoni conservati per secoli”.

A tu per tu con il grande Seti I e il suo tempio di Abido che conserva la Lista dei Re: a Jesolo alla mostra “Egitto. Dei, faraoni e uomini” facciamo la conoscenza dei faraoni e del loro ruolo

Il logo della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” che Jesolo ospita dal 26 dicembre 2017 al 15 settembre 2018

L’egittologo Alessandro Roccati

Il nostro viaggio in barca è finito. Gettiamo l’ancora e scendiamo a terra. Dopo aver navigato attraverso il Mediterraneo incontrando i popoli che nel II e I millennio a.C. lo solcavano, e aver risalito il Nilo facendo la conoscenza delle principali città che sorgevano lungo il fiume, da Alessandria a Menfi a Tebe, la terza sala della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” aperta fino al 15 settembre 2018, nello Spazio Aquileia di Jesolo: un viaggio nello spazio e nel tempo che ti porta a tu per tu con la grande civiltà del Nilo, ci fa incontrare i faraoni. “Il termine faraone”, spiega l’egittologo Alessandro Roccati, uno dei curatori della mostra, “assume il significato di re dell’Egitto in neoegiziano, e giunge fino a noi attraverso la tradizione biblica. Il significato della parola va oltre il semplice valore politico per designare un essere umano dotato di poteri superiori (re-dio), che gli sono conferiti (o riconosciuti) all’atto dell’intronizzazione. Dopo la morte fisica il faraone raggiunge gli dei (che a loro volta possono morire), i quali lo hanno voluto sulla terra quale garante dell’ordine sociale e cosmico (rappresentato dalla dea Maat). Nei confronti della società divina il faraone è la controparte del visir nei confronti della società umana, quale capo dell’amministrazione e del governo, che applica le leggi decretate dal faraone (“le cui parole si avverano all’istante”) nell’interesse della collettività”.

La preziosa testa del faraone Seti I in granito nero, conservata al museo di Scultura antica “Giovanni Barracco” di Roma (foto Graziano Tavan)

Tra i faraoni più famosi c’è Seti I (1287-1279 a.C.) che accede al trono non più giovanissimo, dopo il brevissimo regno del padre Ramses I, primo sovrano della XIX dinastia. “La famiglia di Seti non è di stirpe regale e proviene dall’ambito militare”, interviene l’egittologa Elisa Fiore Marochetti. “Anche la sposa di Seti, Tuia, madre del futuro re Ramses II, proviene da una famiglia di militari. Sotto Seti I vengono edificati monumenti grandiosi, tra i quali il grande tempio funerario di Abido e il grande atrio ipostilo di Karnak”. In mostra una bellissima testa in granito nero di Seti I, proveniente dal museo Barracco di Roma, che faceva parte di una grande scultura che raffigurava il faraone assiso al trono. Il re indossa la corona khepresh (detta anche corona blu o corona di guerra) utilizzata dal faraone in determinate cerimonie.

L’imponente facciata del tempio di Seti I ad Abido

Il tempio di Seti I ad Abido è consacrato principalmente ad Amon oltre che alla triade di Osiride, Iside, Horus, e a Ra-Harakhti e Ptah. Una cappella inoltre è dedicata al culto funerario del re, così compreso tra le principali divinità, e ai re del passato che sono elencati nella celebre galleria che riporta incisa sulle pareti una “lista” selezionata di sovrani. Sul retro si estende a un livello  più basso il cosiddetto Osireion, il tumulo considerato il luogo di sepoltura del dio circondato da una struttura templare (corridoio ipogeo e stanza del sarcofago) decorata con i Libri delle Cripte e delle Porte, il Libro di Nut e il Libro della Notte, il Libro della Terra e testi cosmologici. A questo tempio Seti I assicura le rendite delle miniere d’oro del deserto orientale. Il faraone, oltre a stabilizzare l’Egitto dopo il complesso periodo postamarniano, combatté guerre vittoriose contro tutti i popoli che circondavano l’Egitto (Ittiti, Siriani, Libici e Nubiani).

La grande parete con la “Lista dei Re” ricostruita in scala 1:1 nella mostra di Jesolo (foto Graziano Tavan)

La “lista dei Re” del tempio di Seti I ad Abido, uno dei documenti fondamentali per ricostruire la storia dell’Antico Egitto,  è riproposta in scala 1:1 nella mostra di Jesolo che, con un sistema di luci e proiezioni, seleziona a rotazione alcuni cartigli spiegando a quale faraone appartengono. Nella “lista” sono riportati i nomi di 76 sovrani, dalle prime dinastie fino allo stesso Seti I: “Un gesto di propaganda politica”, sottolineano gli egittologi, “con cui questo re ha voluto legittimare il proprio potere elencando tutti i sovrani che lo avevano preceduto, come se ne fosse un discendente diretto”. L’importanza di questa lista sta nella possibilità di confrontarla con altre liste di faraoni (la più famosa è il Canone Regio su un papiro del museo Egizio di Torino), ottenendo la successione cronologica dei vari sovrani d’Egitto, che grazie agli studi compiuti si è potuta agganciare a delle date fisse, in modo da fornire una griglia su cui basare la cronologia di tutta la storia antica del Mediterraneo. Ma come tutti i documenti propagandistici, anche la “lista dei Re” non è completamente affidabile. Sono esclusi dall’elenco alcuni sovrani, evidentemente “scomodi”, attestati però da altre fonti, come quelli più antichi (la cosiddetta dinastia 0), alcuni sovrani del Primo e del Secondo Periodo Intermedio, ma soprattutto mancano Hatshepsut, l’unica donna che regnò come faraone, e Akhenaton, il faraone “eretico” che esaltò il culto di Aton, la cui memoria fu per questo bandita dai suoi successori.

(3 – continua; precedenti post il 12 e 17 aprile 2018)