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Trento. “A tu per tu” con la mostra di Natale “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio: negli ultimi tre video scopriamo il collezionismo erudito, l’etimologia della parola bronzo, e la tecnica fusoria a cera persa

La locandina della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio dal 22 dicembre 2020 al 5 aprile 2021

Ultimi tre contributi video “A tu per tu” del Castello del Buonconsiglio per illustrare i contenuti della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”, curata da Giuseppe Sava, inaugurata il 22 dicembre 2020 (quando il museo era chiuso per emergenza sanitaria),  e programmata fino al 5 aprile 2021 nella sala del Torrion da Basso al Castello del Buonconsiglio a Trento. La mostra, organizzata dal museo con l’aiuto della soprintendenza per i Beni culturali, racconta l’affascinante storia di un fortunato ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche in bronzo dorato molto probabilmente commissionate dal principe vescovo e fino al 1803 conservate nella dimora del principe vescovo al Castello del Buonconsiglio. In questi nuovi contributi introdotti da Alessandro Casagrande, per la regia di Alessandro Ferrini, Francesca Jurman ci racconta di un collezionismo molto erudito e legato all’amore per l’antico; Tiziana Gatti ci parla proprio della parola bronzo, la sua etimologia e alcuni modi di dire legati a questa parola; infine Mirco Longhi si sofferma sulla complessa tecnica utilizzata da Niccolò Roccatagliata per realizzare i due magnifici bronzetti esposti in mostra, ovvero la tecnica della fusione a cera persa.

Il collezionismo erudito tra XV e XVI secolo. “Tra Quattro e Cinquecento il diffuso interesse per l’antico da parte di umanisti o di intenditori d’arte, sostenuto anche dal ritrovamento di molti reperti di epoca romana”, spiega Francesca Jurman, “determina una forma molto raffinata di collezionismo. Possedere una raccolta di antichità diventa un segno di prestigio, un’ostentazione di raffinatezza e di agio economico. All’interno delle dimore signorili, delle gallerie, degli studioli vengono quindi esibiti questi reperti tra sculture in marmo, medaglie e monete, ceramiche, epigrafi, accanto però a delle creazioni di epoca moderna che devono rievocare il gusto per l’antichità. Sono frequentemente dei bronzetti, delle piccole sculture in bronzo che si ispirano proprio ai modelli dell’antichità nelle forme e anche nelle scelte iconografiche, privilegiando le forme più bizzarre anche cercando di recuperare un repertorio di creature fantastiche o di sculture antiche. Questi oggetti vengono soprattutto realizzati per essere d’arredo e d’uso sullo scrittoio degli umanisti, che quindi si attorniano di questo gusto, di questa evocazione della classicità”.

Le parole del bronzo. “L’utilizzo di una parola e dei suoi derivati all’interno di una lingua”, interviene Tiziana Gatti, “è collegato strettamente all’importanza dell’oggetto che essa definisce. Ciò vale naturalmente anche per la parola bronzo, un termine che definisce un materiale di larghissimo uso nei secoli: una lega di rame e stagno. Non si conosce l’origine della parola. Forse è giunta nel latino medievale e poi nell’italiano da una parola persiana che aveva valore di rame. Nella lingua latina si usava invece una parola del tutto diversa, aes, che indicava sia il bronzo, sia poi successivamente anche la moneta. La voce bronzo è usata oggi anche per indicare un oggetto realizzato con tale materiale. Si parla di bronzo per una scultura oppure per una medaglia assegnata al terzo classificato. Poi infine sono detti bronzi anche le campane tuttora realizzate in questo materiale. Nel linguaggio dell’arte bronzetti sono detti sculture di dimensione minore, mentre bronzino è un recipiente in bronzo oppure anche un campanello usato soprattutto per gli animali. L’espressione che forse ci è più familiare è faccia di bronzo, una forma figurata che si riferisce in generale a una persona che non si vergogna di nulla. Quindi il suo viso resta impassibile come fosse realizzato in bronzo. Ovviamente non è il caso dei volti espressivi in bronzo dorato dei due apostoli esposti in mostra”.

La tecnica fusoria a cera persa. “I due bronzetti raffiguranti San Filippo e San Paolo”, sottolinea Mirco Longhi, “sono l’evidente riflesso dell’abilità raggiunta da Roccatagliata nel sapersi destreggiare in tecniche di fusione e di rifinitura conosciute fin dall’antichità, come la tecnica di fusione per antonomasia: a cera persa. Il metodo classico prevedeva che su un modello in argilla o comunque in materiale refrattario l’artista riprendesse minuziosamente le forme sottostanti con uno strato di cera, appunto. Il tutto a sua volta veniva racchiuso in un involucro, sempre refrattario al calore: la cera appunto si perdeva all’interno dei canali realizzati in questo involucro – chiamato anche tonaca – alle alte temperature cui veniva sottoposto il tutto. La sottilissima intercapedine che si otteneva veniva poi riempita con il metallo, la lega in bronzo, che doveva rivestire uniformemente in maniera omogenea l’intero involucro. All’epoca Roccatagliata, dalla seconda metà del Cinquecento, in particolare sul finire e agli inizi del Seicento, riprese invece il metodo che permetteva un grado di perfezione elevatissimo, il cosiddetto metodo indiretto, molto simile al precedente solo – potremmo dire – quasi inverso. Questa volta dal modello in argilla originale si otteneva un calco in gesso che si staccava poi dal modello. Si spalmava lo strato di cera sull’involucro all’interno del calco in gesso mentre la parte esterna, una volta tolto il calco in gesso, veniva ricoperta dalla tonaca appunto, e attraversata – come dicevo prima – da tutta una serie di canali che permettono al bronzo fuso di ricoprire interamente l’involucro e allo stesso tempo fungono anche da sfiati per l’alta pressione della temperatura della lega in bronzo fuso. Il metodo indiretto permetteva un vantaggio impensato prima del Cinquecento, quello che preservando il modello originale si può portare avanti una produzione seriale. È chiaro allora che vi è discrimine per capire l’intervento del maestro. In questo caso di Roccatagliata la fa la qualità dell’opera. E in particolare di fronte ai due bronzetti dorati è evidente che l’intervento del maestro non è solo nella fase di modellazione del modello in argilla e in cera, ma è anche successivo come nella fase di rifinitura. Ecco quindi che anche la doratura fa la differenza, e soprattutto in tutti quei lavori diciamo di attenzione minuziosa, quasi da miniatore della scultura, in cui vediamo questa resa dei panneggi che rendono le opere estremamente realistiche e dinamiche, tali da fare di questi due bronzetti due opere di un’eccellenza unica”.

Trento. “A tu per tu” con la mostra di Natale “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio: nei tre nuovi video scopriamo gli attributi che fanno riconoscere San Filippo e San Paolo, la foto storica che ha fatto riconoscere i bronzetti, e i dettagli morelliani per l’attribuzione a Roccatagliata

La locandina della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio dal 22 dicembre 2020 al 5 aprile 2021

Tre nuovi contributi video “A tu per tu” del Castello del Buonconsiglio illustrano i contenuti della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”, curata da Giuseppe Sava, inaugurata il 22 dicembre 2020 (quando il museo era chiuso per emergenza sanitaria),  e programmata fino al 5 aprile 2021 nella sala del Torrion da Basso al Castello del Buonconsiglio a Trento. La mostra, organizzata dal museo con l’aiuto della soprintendenza per i Beni culturali, racconta l’affascinante storia di un fortunato ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche in bronzo dorato molto probabilmente commissionate dal principe vescovo e fino al 1803 conservate nella dimora del principe vescovo al Castello del Buonconsiglio. In questi nuovi contributi introdotti da Alessandro Casagrande, per la regia di Alessandro Ferrini, la direttrice del museo Laura Dal Prà ci parla di iconografia e ci svela quali sono i dettagli utilizzati da Nicolò Roccatagliata per far riconoscere facilmente alla gente i due apostoli San Filippo e San Paolo. Invece Roberta Zuech sottolinea l’importante ruolo che ricopre la fotografia nel ritrovamento di opere d’arte che si pensavano perdute, e come proprio la riscoperta dei due bronzetti la si deve soprattutto a una fotografia di inizio Novecento di Giuseppe Brunner che si conserva negli archivi del Buonconsiglio. Infine Denis Ton ci svela uno dei più importanti criteri utilizzati dagli storici dell’arte per attribuire la paternità di un’opera d’arte: il metodo morelliano.

L’iconografia dei Santi Filippo e Paolo. “Tutta l’arte sacra occidentale si poggia su un codice figurativo molto preciso che permette di identificare i singoli personaggi”, spiega Laura Dal Pra. “È fatto di segni, di simboli e di attributi. Nel caso di San Filippo è evidente la particolarità del vestiario, una veste all’antica, ma soprattutto l’attributo della croce, simbolo del suo martirio nel corso del suo apostolato presso i pagani. Quindi ha un attributo abbastanza evidente, che si ritrova anche nel secondo apostolo, in realtà San Paolo: l’apostolo delle genti, che si trovò a sostituire nell’iconografia cristiana la figura dell’apostolo traditore, ossia Giuda. Quindi l’apostolo delle genti, anch’esso raffigurato in veste all’antica, porta in mano il volume, il simbolo della religione del Libro, cioè del Cristianesimo. L’altro attributo, ormai perso, era molto probabilmente la spada, ovvero lo strumento del suo martirio, la decapitazione, che era la pena capitale riservata ai cittadini romani. Un altro elemento fondamentale nell’iconografia di San Paolo, che la si scopre soprattutto se la si pone a confronto con San Pietro, è quello della barba fluente e dell’inizio di un po’ di calvizie, fatto che invece nelle iconografie di San Pietro non è presente”.

Il ruolo cruciale delle foto storiche. “Le nostre vite sono nelle fotografie, come le fotografie sono nelle nostre vite”: così scriveva Lucia Moholy nel 1939 al termine del suo saggio sui Cento anni della fotografia. “E ancora oggi”, sottolinea Roberta Zuech, “è assolutamente attuale questa interconnessione tra fotografia e vita. Ne abbiamo un esempio con la fotografia che ha permesso la scoperta dei due bronzetti. È una fotografia scattata nei primi anni del Novecento dal fotografo Brunner, noto ritrattista, che rappresenta otto sculture, otto statuette bronzee di casa Consolati. Questa fotografia, scattata probabilmente nel momento in cui veniva apposto il vincolo sulle statuette, è stata per anni conservata nell’archivio fotografico del museo del Buonconsiglio. Lì è stata studiata, catalogata, insieme a tutto il fondo fotografico, e questo ha permesso agli studiosi di scoprirla, di rivederla e di pubblicarla all’interno di un saggio proprio sulle collezioni della famiglia Consolati. Lì ulteriormente è stata vista, studiata, notata, apprezzata da uno studioso, Giuseppe Sava, che ha avuto il merito di riconoscere fuori contesto, inaspettatamente, due delle otto sculture rappresentate in foto e permettere così alla Provincia autonoma di Trento di acquisirle e al museo di esporle e quindi di renderle fruibili al pubblico trentino riportandole sostanzialmente a casa. Ecco un esempio di connessione tra vita e fotografia”.

La paternità delle opere d’arte: il metodo morelliano. “Nel corso degli anni la storia dell’arte ha realizzato una serie di strumenti e metodi con cui giungere all’attribuzione”, interviene Denis Ton. “Strumenti di analisi visiva, documentaria, tecnologica, ma molto è affidato ancora all’occhio del conoscitore. Alla fine dell’Ottocento uno studioso di origine svizzera, Giovanni Morelli, realizzò un metodo basato sui cosiddetti motivi sigla, motivi firma o – da lui – dettagli morelliani. Sono motivi, come i dettagli dei lobi delle orecchie, delle sopracciglia, delle palpebre, che si ripetono costantemente nell’artista e consentono di arrivare a un orientamento stilistico e a un’attribuzione. Sebbene questo metodo sia oggi considerato in parte superato consente un primo riferimento per quanto riguarda la paternità delle opere, e si può applicare anche nell’ambito della scultura. Questo ha consentito al curatore Giuseppe Sava di giungere all’attribuzione dei bronzetti degli apostoli tornati al castello del Buonconsiglio a Nicolò Roccatagliata”.

Trento. “A tu per tu” con la mostra di Natale “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio: nei tre nuovi video scopriamo l’opera Venere e Amore, e conosciamo le figure dello scultore Alessandro Vittoria e del conte Simone Consolati

La locandina della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio dal 22 dicembre 2020 al 5 aprile 2021

Tre nuovi contributi video del Castello del Buonconsiglio anticipano i contenuti della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”, curata da Giuseppe Sava, inaugurata il 22 dicembre 2020 (ma purtroppo a museo chiuso per emergenza sanitaria),  e programmata fino al 5 aprile 2021 nella sala del Torrion da Basso al Castello del Buonconsiglio a Trento. La mostra, organizzata dal museo con l’aiuto della soprintendenza per i Beni culturali, racconta l’affascinante storia di un fortunato ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche in bronzo dorato molto probabilmente commissionate dal principe vescovo e fino al 1803 conservate nella dimora del principe vescovo al Castello del Buonconsiglio. In questi nuovi contributi introdotti da Alessandro Casagrande, per la regia di Alessandro Ferrini, Elisa Nicolini ci parla di “Venere che castiga Amore, un’altra opera d’arte del Roccatagliata, scultore che è noto anche come il maestro dei putti, poiché sono soggetti spesso presenti in molte sue opere. Invece Elisa Colla ci parla del più grande scultore cinquecentesco trentino, Alessandro Vittoria, che ispirò e influenzò il lavoro di Nicolò Roccatagliata quando andò a lavorare a Venezia. Infine Claudio Strocchi ci presenta il conte Simone Consolati e ci parla del suo ruolo strategico per le collezioni museali del Castello del Buonconsiglio.

Venere, Amore e le fusioni seriali. “La statuetta di Venere che punisce Amore si ispira a un’incisione di Agostino Carracci”, spiega Elisa Niccolini, “e ripropone un tema noto nell’arte bronzistica veneta di inizio Cinquecento. I tratti assottigliati del volto, le palpebre pesanti, il modellato morbido, le capigliature ricciute dei bambini riportano all’opera di Nicolò Roccatagliata, artista che ha ideato questa statuetta che poi viene eseguita dalla bottega. Questa statuetta potrebbe essere esempio di una produzione di bronzetti destinata al mercato o comunque a una più ampia circolazione. Una produzione caratterizzata da una rifinitura non sempre così attenta. Diverso il caso degli “Apostoli ritrovati”, qui in mostra, che, destinati a una committenza specifica e raffinata, sono di altissima qualità. I bronzetti sono opere apprezzate e richieste e la fusione del bronzo, realizzata con la tecnica a getto indiretto, ne consente la produzione seriale. Questa tecnica, con l’utilizzo di stampi, predilige la quantità alla qualità, e consente una prolificazione dei soggetti più graditi. Nella bottega dei Roccatagliata è feconda la produzione di bronzetti raffiguranti un putto: non a caso Nicolò Roccatagliata è conosciuto come maestro del putto”.

Alessandro Vittoria e Nicolò Roccatagliata. “Volendo ricostruire l’ambito culturale e artistico che vede la nascita delle statuette degli apostoli attribuite al genovese Nicolò Roccatagliata”, interviene Elisa Colla, “non possiamo non guardare all’operato di un altro grande scultore dell’epoca, Alessandro Vittoria. Nato a Trento, Vittoria fu attivo nella seconda metà del Cinquecento a Venezia e in Veneto. E si distinse come scultore, stuccatore e ritrattista. In particolare ritrasse la gerontocrazia veneziana nei classici busti-ritratto che lui seppe interpretare. Sapeva dare alla fisicità quella tipica controllata torsione del tardo-manierismo veneziano e nello stesso tempo sapeva indagare la psicologia degli effigiati. Roccatagliata fu a Venezia nell’ultimo decennio del Cinquecento e sicuramente guarda con attenzione all’operato di Vittoria. Quindi la mostra mette in relazione l’opera di questi due artisti in tutti gli aspetti in cui Roccatagliata seppe cogliere appunto il controllato movimento dei drappeggi e la fisicità che ritroviamo nelle statuette degli apostoli”.

Caminetto e stipo di Simone Consolati. “Nel 1803”, ricorda Claudio Strocchi, “avviene la secolarizzazione del principato vescovile di Trento. La residenza del principe vescovo il Castello del Buonconsiglio viene quindi depredato di tutti i suoi arredi. Molti finiscono sul mercato e il caminetto della sala grande viene acquistato da Simone Consolati. Lo stesso Simone Consolati acquista anche uno stipo in ebano con intarsi in pietre dure. Simone Consolati in qualità di cultore delle arti riutilizza i materiali recuperati al Castello del Buonconsiglio per arredare la propria villa a Fontanasanta nei dintorni di Trento. E proprio a Fontanasanta si trovavano anche i bronzetti, alcuni dei quali erano stati collocati al di sopra lo stipo in ebano. Manufatti che Giuseppe Gerola recuperò negli anni Venti e Trenta del 1900 e che ancora oggi si possono ammirare nel Castello del Buonconsiglio”.

#buonconsiglioadomicilio. Alessandro Casagrande ci porta nelle “Stanze nascoste” del castello: la stanza del famiglio e lo studiolo, non visitabili ma legate alla vita privata del principe vescovo Bernardo Cles

#buonconsiglioadomicilio ci porta nelle stanze segrete del principe vescovo

Nuovo appuntamento con i video #buonconsiglioadomicilio per la regia di Alessandro Ferrini: Alessandro Casagrande, responsabile ufficio Promozione e Comunicazione del museo del Buonconsiglio con “Stanze nascoste: stanza del famiglio e studiolo” ci svela alcune sale del Castello del Buonconsiglio chiuse al pubblico e non visitabili ma legate alla vita privata del principe vescovo Bernardo Cles.

“Uno degli ambienti molto particolari legati alla vita più intima del principe Bernardo Cles è sicuramente la sua camera da letto”, spiega Casagrande. “Lui qui veniva a riposare, a dormire. È una stanza affrescata da Gerolamo Romanino nel 1531; anzi fu il primo ambiente che il pittore bresciano ha eseguito in Castello nel Magno Palazzo voluto dal principe vescovo. La decorazione ha un fregio che riporta i putti con i simboli del principe vescovo e dei busti di imperatori romani. La peculiarità di questa stanza è che è completamente affrescata, nel senso che anche la parete è tutta affrescata. Nelle altre stanze del Castello infatti la decorazione si limita al fregio sommitale. Ma perché questa stanza è molto intima? Perché qui il principe vescovo veniva costantemente sorvegliato da alcune persone. Da chi? Da una finestra sulla parte alta della stanza, verso il soffitto, si intravede una stanzetta, sempre chiusa al pubblico, ma molto interessante perché ospitava la stanza del famiglio. Per scoprire questa stanza segreta bisogna salire le scale”.

La stanza del famiglio con la finestrella per vegliare sul sonno del principe vescovo (foto buonconsiglio)

“La stanza del famiglio è solitamente chiusa al pubblico”, continua Casagrande. “Il soffitto è molto basso, semplicemente perché qui i famigli venivano a dormire e a sorvegliare il sonno del principe vescovo Bernardo Cles. Ma chi erano questi famigli? I famigli erano a volte parenti, a volte no, persone molto fidate che appunto dovevano sorvegliare il sonno del principe vescovo. Bernardo Cles – va ricordato – fu il principe vescovo che sedò col sangue la rivolta dei contadini, per cui aveva qualche timore mentre dormiva. La stanza è completamente decorata con bande rosse e bianche verticali. Una decorazione che ricorda molto quella della fascia inferiore di torre Aquila. È una decorazione di quegli anni – siamo nel 1531 – in parte poi è stata ridipinta, ma alcune parti sono completamente originali. Quando il principe vescovo Bernardo Cles risiedeva qui in Castello e non era a Vienna presso l’imperatore, la corte qui era molto numerosa: vi erano molte guardie, poi vi era il medico di corte Pietro Andrea Mattioli, vi era il giullare di corte Paolo Alemanno, vi erano i prelati, ma naturalmente vi erano anche i famigli, queste persone che erano molto vicine al principe vescovo tanto da dormire ogni notte con lui e sorvegliarlo. Dalla finestrella i famigli guardavano che il principe vescovo non avesse brutte sorprese o brutti incontri durante il sonno”.

Il foro segreto nello studiolo privato del principe vescovo attraverso il quale Bernardo Cles poteva ascoltare la messa (foto buonconsiglio)

Un altro ambiente molto importante ma sempre chiuso al pubblico e legato alla figura del principe vescovo Bernardo Cles è il suo studiolo privato. “Per accedervi bisogna passare da Sala Scarlatti”, spiega Casagrande, “un ambiente decorato e affrescato dai fratelli Dossi e un tempo completamente decorato con una tappezzeria color scarlatto con dei preziosi ricami in oro. Superata la parete allestitiva si entra finalmente nello studiolo privato del principe vescovo. Qui veniva a meditare, veniva a pregare, veniva a passare alcune ore in tranquillità. Lo studiolo è composto da due stanze. Una è completamente ricoperta con una base in legno novecentesca, e una stanza al piano superiore che conserva ancora oggi un fregio a grottesche di scuola fogoliniana. La stanza al piano inferiore nasconde anche un piccolo segreto, un segreto che si cela dietro la parete di legno. Tirando la parete infatti si svela un piccolo foro, un piccolo cunicolo dal quale il principe vescovo poteva ascoltare la messa che si celebrava nella cappella clesiana”.

Trento. “A tu per tu” con la mostra di Natale “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio: nei due nuovi video conosciamo meglio i due bronzetti e la croce astile di Nago

La locandina della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio dal 22 dicembre 2020 al 5 aprile 2021

Due nuovi contributi video del Castello del Buonconsiglio anticipano i contenuti della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”, curata da Giuseppe Sava, inaugurata il 22 dicembre 2020 (ma purtroppo a museo chiuso per emergenza sanitaria),  e programmata fino al 5 aprile 2021 nella sala del Torrion da Basso al Castello del Buonconsiglio a Trento. La mostra, organizzata dal museo con l’aiuto della soprintendenza per i Beni culturali, racconta l’affascinante storia di un fortunato ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche in bronzo dorato molto probabilmente commissionate dal principe vescovo e fino al 1803 conservate nella dimora del principe vescovo al Castello del Buonconsiglio. Dopo il primo video di Alessandro Casagrande che ha raccontato il “dietro le quinte” della mostra,  Giuseppe Sava, storico dell’arte, curatore della mostra e soprattutto colui che ha scoperto sul mercato antiquario milanese i due apostoli attribuiti a Niccolò Roccatagliata,  racconta la storia di questi magnifici bronzetti tornati a far parte delle collezioni museali; e Maddalena Ferrari descrive un’altra opera esposta in mostra: la Croce astile di Nago, un lavoro commissionato ai Roccatagliata dalla comunità di Nago Torbole. La regia è sempre di Alessandro Ferrini.

San Filippo e San Paolo. Il ritrovamento di queste due sculture in bronzo dorato si deve a un giovane storico dell’arte trentino Giuseppe Sava. “Questa coppia di apostoli – racconta Sava – faceva parte di una piccola serie composta da tredici pezzi, cioè i dodici apostoli più il Cristo redentore, che si trovavano nella residenza dei principi vescovi al Castello del Buonconsiglio nel 1803. Con la fine del principato vescovile i beni vengono alienati e prontamente acquisiti da Simone Consolati che negli stessi anni si era distinto per alcune acquisizioni chiave come il Camino di Vincenzo e Giangirolamo Grandi. In possesso della famiglia Consolati fino almeno al 1920, i bronzi vengono alienati, e seguono destini diversi. Almeno sei finiscono oltralpe dopo essere passati per un antiquario meranese, mentre è proprio la coppia di cui stiamo parlando ad essere finita in una collezione privata”. La vera novità di questa mostra su “Gli apostoli ritrovati” è anche l’attribuzione a Nicolò Roccatagliata di questi due manufatti. “Entrambe le sculture si caratterizzano per una cura straordinaria del dettaglio, una cura che chiama in causa davvero il mestiere dell’orafo più ancora che  quello dello scultore. È eccezionale il modo in cui vengono rese le vesti riccamente decorate da motivi floreali, fiori di melagrana ed elementi vegetali. San Paolo è rappresentato con il canonico attributo del libro alludente alla parola di Dio, inoltre si intuisce dalla gestualità della figura che in origine doveva reggere una lunga spada, simbolo del suo martirio per decapitazione. San Filippo è un apostolo giovane con la barba corta e ricciata, dalla posa scattante, dallo sguardo intenso, reca una slanciata croce simbolo del suo martirio. Proprio come San Paolo – conclude Sava – si apprezza anche in questa figura la cura straordinaria e la lavorazione di altissimo livello del metallo del bronzo dorato con la resa ruvida della tunica grezza e la decorazione lucida e lucente del panneggio e del mantello”.

La Croce astile di Nago, una magnifica croce anch’essa attribuita a Roccatagliata. “Questa croce astile – spiega Maddalena Ferrari – è un’opera di grande valore realizzata in collaborazione da un maestro orafo veneziano e dagli scultori Roccatagliata, responsabili della realizzazione del modello in cera per la fusione delle placchette. Si tratta di un dono che, come reca l’iscrizione sopra il nodo, ha fatto la comunità di Nago e di Torbole alla sua chiesa pievana nel 1620 che è l’anno della riconsacrazione della chiesa dopo importanti lavori di ristrutturazione e ampliamento. Dobbiamo immaginarci questa croce che apre proprio la processione che accompagnò il sacerdote all’altare in quel giorno così importante. È molto ricca di figure presenti sia sul recto che su un verso e anche sul nodo. Tra queste segnalo in particolare San Vigilio patrono di Nago, Sant’Andrea apostolo patrono di Torbole, e un bellissimo Cristo in pietà sorretto dagli angeli che è un soggetto particolarmente raro per una croce astile”.

Trento. Al Castello del Buonconsiglio la mostra di Natale “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”: in attesa della riapertura del museo, la mostra si visita virtualmente con la rassegna “a tu per tu” in 12 brevi video: ecco il primo sul “dietro le quinte”

La locandina della mostra “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei principi vescovi” al Castello del Buonconsiglio dal 22 dicembre 2020 al 5 aprile 2021

Doveva essere la mostra di Natale del Castello del Buonconsiglio per raccontare il ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche appartenute al principe vescovo, disperse sul mercato antiquario agli inizi del Novecento, e ora ritornate nelle collezioni museali del Castello del Buonconsiglio. Ma la mostra di Natale “Gli apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”, curata da Giuseppe Sava, inaugurata il 22 dicembre 2020 (ma purtroppo a museo chiuso per emergenza sanitaria), programmata fino al 5 aprile 2021 nella sala del Torrion da Basso al Castello del Buonconsiglio a Trento, non rimarrà chiusa a chiave: in attesa di riaprire quanto prima, la mostra sarà virtualmente visibile grazie alla rassegna “a tu per tu” con 12 brevi appuntamenti video sotto la regia di Alessandro Ferrini dove i curatori del museo parlano della rassegna, delle opere, degli artisti coinvolti, di collezionismo, iconografia, tecniche artistiche e fotografie storiche. La mostra, organizzata dal museo con l’aiuto della soprintendenza per i Beni culturali, racconta infatti l’affascinante storia di un fortunato ritrovamento di due magnifiche sculture seicentesche in bronzo dorato molto probabilmente commissionate dal principe vescovo e fino al 1803 conservate nella dimora del principe vescovo al Castello del Buonconsiglio. 

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Uno degli “apostoli ritrovati” (foto Buonconsiglio)

Nel 1875, in occasione di un’importante mostra tenutasi a Trento, “Catalogo degli oggetti presentati all’Esposizione regionale d’Agricoltura e delle Industrie”, furono esposte otto statuette in bronzo dorato provenienti dalla collezione di Villa Consolati, una delle più significative raccolte d’arte della provincia dove erano confluiti, dopo le spoliazioni ottocentesche, alcuni dei pezzi più importanti della storia dell’arte in Trentino un tempo custoditi nella residenza del principe vescovo. Grazie alla disponibilità della famiglia, il soprintendente Giuseppe Gerola nei primi anni del Novecento riuscì a recuperarne una buona parte e permetterne la ricollocazione presso il Castello del Buonconsiglio. Tra le opere recuperate figura un notevolissimo stipo in commesso di pietre dure immortalato in un dipinto degli inizi del Novecento da Annunziata Consolati dove figurano alcune statuette in bronzo dorato. Una coeva testimonianza fotografica proprietà dell’Archivio fotografico del museo mostra le stesse statuette poste su basi a rocchetto presumibilmente in legno ebanizzato. Dopo questo periodo di esse si perse però ogni loro traccia.

Gli apostoli Paolo e Filippo: ritrovati e protagonisti della mostra al Castello del Buonconsiglio (foto Buonconsiglio)

Recentemente sul mercato antiquario milanese sono apparse due di queste statuette, riconosciute in occasione di un fortunato sopralluogo da Giuseppe Sava, affermato storico dell’arte trentino. L’identificazione è incontrovertibile – si tratta degli apostoli Paolo e Filippo riconoscibili alle due estremità da una foto storica che si trova nell’archivio fotografico del museo – e ci permette quindi di recuperare due elementi di una prestigiosa serie sino ad oggi data per dispersa. Il catalogo della fortunata serie “Cammei” vedrà tra gli altri anche l’intervento di carattere prettamente storico artistico di Giuseppe Sava volto a individuare e confermare nel nome di Nicolò Roccatagliata il valente artista autore dei bronzi, che operò per il principe vescovo Madruzzo nei primi anni del Seicento. Il confronto in mostra con alcune opere dell’artista, a partire da una bella croce processionale pressoché inedita conservata in Trentino e commissionata all’artista dalla comunità di Nago, valorizzerà nel modo migliore l’acquisizione dei bronzetti al patrimonio museale.

Nel primo video Alessandro Casagrande racconta il “dietro le quinte” della mostra “Gli Apostoli ritrovati. Capolavori dall’antica residenza dei Principi vescovi”. “Il lavoro del curatore museale, dello storico dell’arte a volte può davvero offrire grandi soddisfazioni, emozioni che possono ripagare anni di ricerche e di studi”, spiega Casagrande. “Per esempio, quando viene ritrovato in archivio un documento che attesta il pagamento di un’opera di un artista, e quindi ne verifica la paternità. Oppure quando vengono ritrovate opere d’arte che si ritenevano ormai perdute. È questo il caso che vi vegliamo raccontare in questi nuovi brevi video. Vi racconteremo la storia di due bronzetti seicenteschi dorati che nel Seicento vennero realizzati per il principato vescovile di Trento e che qui al castello del Buonconsiglio rimasero fino al 1803, anno in cui il conte Simone Consolati li acquisì e li portò nella sua villa a Fontana Santa. Nel Novecento poi furono venduti sul mercato antiquario, e solo oggi finalmente li abbiamo ritrovati. E vi racconteremo questa straordinaria riscoperta”.

#buonconsiglioadomicilio. Alessandro Casagrande ci porta a scoprire le tabacchiere, dono imperiale nel secolo dei lumi, realizzate in materiali preziosi o in porcellana

Per il nuovo appuntamento con i video #buonconsiglioadomicilio per la regia di Alessandro Ferrini, il responsabile Ufficio promozione e comunicazione del museo del Buonconsiglio Alessandro Casagrande ci fa conoscere alcuni esemplari di tabacchiere, dono imperiale nel secolo dei lumi, parte delle collezioni del Castello del Buonconsiglio, conservate nella sala degli Specchi, che rispecchia il gusto del Settecento quando viene rifatta secondo in stile barocco rococò. “Le tabacchiere”, spiega Casagrande, “ebbero grandissima fortuna nel Settecento tanto da essere anche definito il secolo delle tabacchiere. Questo perché sovrani imperatori e nobili erano soliti regalare a personaggi importanti queste tabacchiere realizzate da grandi artisti in materiali molto preziosi, come oro e argento, e decorate con pietre preziose, diamanti, zaffiri o smeraldi. Se scorriamo la Gazzetta Universale di quegli anni, del Settecento, sono molti i resoconti che ci raccontano appunto di questi regali fatti dai imperatori e regine, da Caterina II di Russia a Maria Teresa d’Austria, da Giuseppe II al pasha di Costantinopoli, soliti omaggiare vari artisti e musicisti di corte o letterati con questi oggetti preziosissimi, spesso accompagnati da sostanziose monete all’interno. La moda del tabacco conquistò tutta la popolazione, non solo i ricchi. Molte tabacchiere vengono realizzate in porcellana, un materiale meno nobile ma che permetteva a tutti di poter coltivare questo vizio. Per questo nacquero le tabacchiere realizzate dalle manifatture di Meissen, Sevres, Capodimonte, e molte furono anche le manifatture inglesi che si dedicarono a questi oggetti”.

Una tipica tabacchiera in porcellana del Settecento conservata nel museo del Castello del Buonconsiglio a Trento (foto Buonconsiglio)

Alcune di queste tabacchiere sono conservate nelle collezioni del museo del Buonconsiglio. “La maggior parte viene dalla manifattura inglese di Burslem. Tra le tabacchiere conservate in museo ce ne sono di particolari. Come la tabacchiera a forma di testa di carlino della manifattura inglese di Burslem realizzata tra il 1760 e il 1770. Il manufatto riprende appunto la fisionomia della testa del carlino, una razza canina che tra Sei e Settecento divenne assai ricercata dalla nobiltà europea tanto che fu spesso immortalata in diversi dipinti del grande pittore inglese William Hogarth. Un’altra tabacchiera decorata con fili d’erba è sagomata a forma di carlino mentre sulla base è raffigurato un cane in una piazza delimitata da un’architettura neoclassica. Anche questa tipologia si deve alla manifattura di Burslem un noto centro di produzione della ceramica nella regione del South Staffordshire. Una pregevole raffinata tabacchiera di gusto neoclassico è l’esemplare a forma circolare che ci fa capire come nascessero questi capolavori di galanteria grazie a un lavoro d’equipe di artigiani e artisti: per questo oggetto devono essere intervenuti abili decoratori per i ricercati motivi d’ornato, orafi per il fondo d’argento dorato, gli intarsi in stagno dorato, i dischetti in ferro applicati sui bordi della tabacchiera, mentre una stupenda miniatura con la figura di Vesta realizzata in cera bianca su ardesia ne fa davvero un capolavoro. C’è poi una tabacchiera settecentesca a forma ovale modanata a Scozia che ha la particolarità di avere un doppio scomparto, per consentire l’utilizzo di due tipi diversi di tabacco. Le composizioni dipinte sui coperchi e sulla base della tabacchiera riprendono il gusto tipico delle scene galanti del pittore francese Antoine Watteau. Strettamente collegate all’uso del tabacco vi erano anche le raspe chiamate grattugie che nel corso del Settecento diventarono un corredo essenziale e di gran moda negli ambienti aristocratici. Una raspa del castello del Buonconsiglio che proviene dalla collezione del maggiore Taddeo Tonelli presenta alcune eleganti figure femminili con scene di pellegrini. È completamente realizzata in avorio”.