Napoli. Attivati per la prima volta al museo Archeologico nazionale speciali sensori per il monitoraggio ambientale e avviata la rilevazione della temperatura delle sculture nella Collezione Farnese: così i progetti “MANN in Colours” ed “EcoValors” si arricchiscono di nuovi percorsi di ricerca

Sensori al museo Archeologico nazionale di Napoli per il monitoraggio ambientale: avviata la rilevazione della temperatura delle sculture nella Collezione Farnese. Il team scientifico di “MANN in Colours” ed “EcoValors” ha mostrato le operazioni necessarie per rilevare la temperatura dei capolavori della Collezione: questa attività, mai sperimentata al museo Archeologico nazionale di Napoli, si svolge con una termocamera FLIR, che serve a misurare a distanza la temperatura degli oggetti, non solo esaminando eventuali problemi relativi all’umidità dell’ambiente, ma anche monitorando lo stato di conservazione della scultura. Inoltre mostrata la nuova sensoristica per il monitoraggio di gas inquinanti; infine, analizzati i campionamenti che, nei mesi scorsi, hanno rivelato i colori sui più celebri marmi dell’istituto napoletano. Il colore nei marmi antichi è infatti impalpabile e presente, vivo e fragilissimo. Spetta alla ricerca il ruolo di tutelare questa importante acquisizione, aggiungendo, al quadro di conoscenze in fieri, le rilevazioni ambientali, le analisi chimico-fisiche, i parametri di inquinamento e, da qualche giorno, anche la temperatura dei corner dove si trovano i capolavori della Collezione Farnese. Il progetto “MANN in colours”, che studia la cromia nelle sculture del museo Archeologico nazionale di Napoli, diviene così itinerario pilota per una visione a tutto tondo sulla tutela dei capolavori del Mann: alla conservazione, segue, naturalmente, la valorizzazione, perché la ricerca sarà condivisa con il pubblico in cantieri aperti ai visitatori.

Per approfondire il complesso insieme di dati disponibili è stata sviluppata la partnership scientifica con l’università di Roma Tor Vergata (progetto “EcoValors”), l’università di Perugia, cui si lega anche un supporto da parte dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR. “È importante sottolineare che le nostre ricerche”, spiega Cristiana Barandoni, responsabile scientifico per il Museo dei progetti “MANN in colours” ed “EcoValors”, “si sviluppano non soltanto in luoghi simbolo del Museo, ma anche in spazi non accessibili al pubblico, in particolare i depositi delle Cavaiole e il laboratorio di restauro: anche qui, infatti, troviamo preziosi esemplari di sculture con tracce di colore ed è nostro intento salvaguardare tutto il patrimonio”.

Si è partiti, così, dalla rilevazione ambientale, che consente di definire una sorta di “stato di salute” delle aree che ospitano le statue; tale attività si avvale di due strumentazioni differenti: da una parte, in cinque spazi del Museo (tra gli angoli scelti per la sperimentazione, vi sono anche i depositi delle Cavaiole e la sala dell’Ercole Farnese) sono stati installati dei sensori che captano, in intervalli di tempo predefiniti, la concentrazione di inquinanti in situ; a queste apparecchiature si aggiunge l’utilizzo, da parte degli esperti, di un campionatore volumetrico per aspirazione d’aria. Dietro questo nome, apparentemente complesso, si svela una piccola scatolina che permette allo scienziato di aspirare dieci litri d’aria al minuto, identificando, successivamente tramite una piastra Petri, le spore fungine in un ambiente: grazie all’intreccio dei dati, si può capire quali sono i rischi provenienti dall’esterno dell’edificio (acidi e ossidi di azoto da inquinamento viario) e quali sono le “minacce” naturali legate alla presenza umana in sala. Nel caso in cui gli esperti identifichino valori limite, dannosi per la tutela dei reperti, saranno adottate misure di contenimento, in particolare per una corretta circolazione dell’aria.

Dalla chimica all’analisi termografica: sono state avviate le indagini, con termocamera FLIR, per verificare la temperatura degli angoli che ospitano le statue del Museo. Lo strumento è una fotocamera digitale che rileva la radiazione emessa e riflessa nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso termico: in sintesi, viene scattata un’immagine termica dell’oggetto osservato, identificando stime di temperatura tra aree calde e fredde. Questo aspetto è importante perché consente di identificare eventuali microfessurazioni, in cui si insinuano acqua e inquinanti vari (organici e inorganici), potenzialmente dannosi per la conservazione del reperto. Dalle prime analisi della mattinata, da suffragare necessariamente con gli sviluppi di laboratorio, sono emerse le temperature medie apparenti dei capolavori: ad esempio, 22.3°C per l’Ercole Farnese rispetto ai 24.1° C della sala.
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Graziano Tavan, giornalista professionista, per quasi trent’anni caposervizio de Il Gazzettino di Venezia, per il quale ho curato centinaia di reportage, servizi e approfondimenti per le Pagine della Cultura su archeologia, storia e arte antica, ricerche di università e soprintendenze, mostre. Ho collaborato e/o collaboro con riviste specializzate come Archeologia Viva, Archeo, Pharaos, Veneto Archeologico. Curo l’archeoblog “archeologiavocidalpassato. News, curiosità, ricerche, luoghi, persone e personaggi” (con testi in italiano)
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