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Paleontologia. L’uomo 13mila anni fa causò l’estinzione di 7 specie di megafauna nord-americana. Elena Ghezzo, ricercatrice di Ca’ Foscari, unica italiana nel team americano, racconta la scoperta fatta nel giacimento di Rancho LA Brea (California) grazie a una ricerca innovativa, pubblicata su Science

L’uomo causò estinzioni già 13mila anni fa. In agosto 2023 su Science è stata pubblicata la scoperta sul probabile impatto dell’uomo nella scomparsa di 7 specie di megafauna, tra cui lo smilodonte e il leone americano, circa 12.900 anni fa, nell’odierna California: una ricerca innovativa che fa luce su un mistero dell’era glaciale. Il team ha esaminato reperti del giacimento di Rancho LA Brea, per la prima volta associando la loro datazione a dati sulla vegetazione e gli incendi (eccone l’abstract https://www.science.org/doi/10.1126/science.abo3594). Alla ricerca, coordinata da F. Robin O’Keef, della Marshall University, ha partecipato anche una paleontologa italiana, Elena Ghezzo, dell’università Ca’ Foscari di Venezia. “Sono profondamente grata per essere stata inclusa in questo studio”, scrive la ricercatrice cafoscarina, “dove viene finalmente correlata la scomparsa di alcune specie di mammiferi in California con l’aumento dei grandi incendi, potenzialmente ad opera dei primi uomini migrati nel nuovo continente. Io mi sono occupata dei leoni, e questo è solo l’inizio! Grazie a tutti gli amici oltreoceano per avermi ospitata e continuare a lavorare con me da lontano”.

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Elena Ghezzo, paleontologa di Ca’ Foscari, in una delle precedenti missioni in Arizona (foto unive)

“Questo studio”, spiega Elena Ghezzo a CF News, “correla per la prima volta i dati relativi alla presenza di 7 specie datate con il metodo della radiodatazioni assoluta con dati palinologici e la frequenza di carbone nelle immediate vicinanze del sito di Rancho LA Brea. Emerge che, mentre il bradipo gigante e i camelidi scompaiono in un periodo precedente, tutte le altre specie di grandi mammiferi come lo smilodonte (un felino dai denti a sciabola), lupo americano, il bisonte e il cavallo americano, il leone americano, con l’eccezione del coiote, scompaiono attorno a 12.900 anni fa, subito prima dell’inizio del Younger Dryas (un periodo relativamente breve ma molto freddo). L’aumento della frequenza del carbone, indice di incendi, si concentra in un arco temporale che inizia circa 13.300 anni fa e dura per circa 500 anni. In questo arco di tempo, oltre alla scomparsa dei grandi mammiferi considerati nello studio, la vegetazione cambia completamente andando irrimediabilmente verso un ambiente più aperto e secco. La presenza di carboni è statisticamente correlabile con la stima dell’aumento della presenza umana, quindi l’uomo ha probabilmente avuto un ruolo attivo nella modifica dell’ambiente e nella scomparsa delle specie recuperate a Rancho LA Brea”.

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Una ricostruzione nel pozzo-laghetto del LA Brea Tar Pits Museum in California (foto LA brea tar pits museum)

Il sito di Rancho LA Brea è uno dei giacimenti più ricchi per quanto riguarda il recupero di mammiferi nord americani databili tra il pre-massimo glaciale e l’Olocene (ultimi 50 mila anni e più). Lo studio del deposito non è stratigrafico, cioè non è possibile datare i reperti in base alla profondità del ritrovamento, perché il bitume che ha catturato gli animali, semiviscoso, ha continuamente rimescolato le ossa. Oggi però il metodo della radiodatazione ha permesso di definire l’età assoluta di alcune specie recuperate, definendo l’arco temporale della loro presenza e scomparsa nel panorama californiano.

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Lo scheletro di Panthera atrox conservato a La Brea Tar Pits Museum (foto Ed Bierman from CA, usa, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons)

Elena Ghezzo ha contribuito alla studio fornendo parte dei dati delle radiodatazioni fatte sul leone americano, Panthera atrox, svolte durante il progetto REFIND, finanziato dalla Commissione europea attraverso il programma Horizon 2020 e un grant Marie Skłodowska-Curie. “Sto revisionando la specie anche sotto il profilo morfologico e per l’interazione con le altre specie coeve”, conclude la paleontologa. “Il leone è una specie rara nel nuovo continente, frequentemente rappresentato da pochissimi resti che presenta una divergenza evolutiva rispetto sia al leone delle caverne europeo che ovviamente il leone attuale”.

Preistoria. Nella Grotta di Veja a Sant’Anna d’Alfaedo, in Lessinia (Vr), millenni di convivenza tra l’uomo, il lupo e l’orso delle caverne: ecco i risultati della nuova campagna di scavo del team di Ca’ Foscari diretto da Elena Ghezzo

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Grotta di Veja (Sant’Anna d’Alfaedo, Vr): discussione sulla metodologia di scavo (foto di Massimo Arvali / unive)

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Elena Ghezzo dell’università Ca’ Foscari

L’obiettivo del team di Ca’ Foscari, guidato da Elena Ghezzo, era di mettersi sulle tracce dell’orso delle caverne nella Grotta di Veja a Sant’Anna d’Alfaedo (Vr), in Lessinia: dove per 10mila anni (tra 30 e 20mila anni fa) sono convissuti uomo e animali (Preistoria. Team di Ca’ Foscari, guidato da Elena Ghezzo, sulle tracce dell’orso delle caverne nella Grotta di Veja a Sant’Anna d’Alfaedo, in Lessinia: dove per 10mila anni (tra 30 e 20mila anni fa) sono convissuti uomo e animali | archeologiavocidalpassato). A quasi un anno e mezzo dall’avvio delle ricerche la prima esplorazione delle profondità della Grotta di Veja ha portato alla luce più di 200 resti di orso, lupo e tasso oltre a tracce di frequentazione umana negli ultimi 10-12mila anni. La grotta si trova a Nord di Verona, nel Parco della Lessinia. È una cavità carsica che ha avuto origine in un periodo più recente di 38 milioni di anni fa per l’azione di acque ipogee. Finora studiata parzialmente, è in grado di raccontare molto dei millenni di convivenza tra uomo e fauna e dell’ambiente dell’area prima, durante e dopo l’ultimo evento glaciale. Le attività di ricerca, riavviate nel 2021 grazie all’università Ca’ Foscari Venezia, sono entrate nel vivo con una campagna appena conclusa che ha coinvolto 8 operatori che si sono alternati durante due settimane per scavo, documentazione e vaglio del materiale. Hanno partecipato allo scavo Giulia Santini e Matteo Novella, studenti rispettivamente di Ca’ Foscari e dell’università di Padova, Massimo Arvali e Daniele Davolio del Gruppo Speleologico San Marco, Michele Bassetti della società CORA ricerche, Andrea Pereswiet Soltan della Polish Academy of Science e Andrea Villa dell’Istitut Català de Paleontologia, Viviana Frisone, curatrice del museo archeologico di Vicenza, Francesco Sauro geologo e speleologo, e Mara Bortolini dottoranda al dipartimento di Scienze ambientali, Informatica e Statistica di Ca’ Foscari.

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Grotta di Veja (Sant’Anna d’Alfaedo, Vr): primo dente di micromammifero trovato durante il vaglio del materiale (foto di Massimo Arvali / unive)

L’area di scavo si trova nella porzione più interna alla grotta, alla fine del ramo principale, ad una profondità lineare di circa 180 metri dall’ingresso. Il condotto è completamente buio e frequentato oggi solo da pipistrelli del genere Miniopterus e Myotis, e coleotteri caratidi. “Ci siamo addentrati nel fondogrotta in un’area mai indagata prima”, racconta Elena Ghezzo, ricercatrice “Marie Curie” a Ca’ Foscari (progetto REFIND) e responsabile dello scavo. “Aavevamo un doppio fine: recuperare e documentare il record fossilifero e stratigrafico messo in luce da scavi abusivi, e creare un momento di didattica intensiva rivolto agli studenti universitari che hanno partecipato alle operazioni di scavo”.

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Grotta di Veja (Sant’Anna d’Alfaedo, Vr): momento di campionamento (foto di Giulia Santini / unive)

I risultati. “Abbiamo verificato tracce di frequentazione umana negli ultimi 10-12 mila anni”, spiega la paleontologa. “Inoltre, in soli 2 metri cubi circa di materiale asportato, sono stati recuperati più di 200 resti fossili di orso, lupo e tasso, ed alcuni reperti minori sono ancora in via di determinazione”. I prossimi passi includeranno ulteriori radiodatazioni dei reperti provenienti dagli strati profondi, probabilmente risalenti a prima dell’ultima glaciazione (oltre 20 mila anni fa), e lo studio molecolare di alcuni materiali, oltre ad analisi chimiche rivolte a capire i processi di accumulo e alla caratterizzazione del sedimento. Il materiale fossile, infatti, presenta una conservazione peculiare strettamente legata al contesto di fondogrotta, che ha favorito la conservazione dello smalto dentario (lo strato esterno dei denti) e dei carboni, a scapito delle ossa.

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Grotta di Veja (Sant’Anna d’Alfaedo, Vr): vaglio dei materiali di scavo (foto di Massimo Arvali / unive)

Uno scavo sostenibile. “Lavorare in una zona così profonda ha comportato un enorme sforzo per garantire la sicurezza e il coordinamento di tutte le persone coinvolte”, aggiunge Elena Ghezzo. “È stata essenziale la pianificazione pre-scavo e il contributo in posto degli speleologi, mentre il gruppo di ricerca ha lavorato garantendo il minimo disturbo alla fauna ipogea e il massimo rendimento nella raccolta dati. Ad esempio, è stata realizzata una linea telefonica attiva in continuo tra interno ed esterno grotta e sono state utilizzate solo lampade a batteria per evitare di usare generatori elettrici che avrebbero disturbato la fauna e il flusso turistico all’interno del parco. Inoltre, il vaglio preliminare del materiale di scavo è stato effettuato in loco, sfruttando il torrente che scorre al di sotto del ponte di Veja”.

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Grotta di Veja a Sant’Anna d’Alfaedo (Vr): una delle due aree indagate negli scavi della seconda metà del Novecento (foto unive)

Collaborazioni, sponsor e patrocini. Lo scavo ha ricevuto il patrocinio del Comune di Sant’Anna d’Alfaedo, del G.S.S.M., della Società Paleontologica Italiana, dalla associazione culturale Benetticeras e del museo di Paleontologia di Sant’Anna d’Alfaedo. La campagna di scavo 2022 è stata portata avanti grazie ai fondi del progetto “Marie Curie” REFIND e al fondo CeSAV per scavi di ateneo. I permessi di scavo sono stati rilasciati dalla soprintendenza Archeologica Belle arti e Paesaggio per le Provincie di Verona Rovigo e Vicenza, e dal parco naturale regionale della Lessinia. “Ringraziamo in particolar modo la famiglia Lavarini della Trattoria di Veja che ci ha accolto, ospitato e saziato durante le faticose giornate di scavo”, conclude Elena Ghezzo, “il sindaco Raffaello Campostrini per aver fornito le transenne di sicurezza, e tutti i turisti e curiosi che ci hanno incalzato e spronato con domande e curiosità sul nostro lavoro sul campo”.