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Da Atum a Horus: la cosmogonia dell’Antico Egitto elaborata a Eliopoli al centro della mostra di Jesolo “Egitto. Dei, faraoni, uomini”

Il logo della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” che Jesolo ospita dal 26 dicembre 2017 al 15 settembre 2018

L’egittologo Alessandro Roccati

“La nascita del mondo (cosmogonia) costituisce uno dei cardini della religione egizia”, spiega l’egittologo Alessandro Roccati, uno dei curatori della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” aperta fino al 15 settembre 2018, nello Spazio Aquileia di Jesolo: “Secondo la visione egizia, l’uomo che diventava faraone si trasformava in dio, ovvero rivelava la propria natura divina non riconosciuta prima”. Quindi, dopo aver incontrato i popoli che nel II e I millennio a.C. interagirono con l’Antico Egitto; aver conosciuto le principali città che sorgevano lungo il Nilo, da Alessandria a Menfi a Tebe; ed essere stati a tu per tu con i faraoni, è arrivato il momento di saperne di più del pantheon egizio, tema della quarta sala della mostra jesolana. Il faraone era quindi “il solo a poter fornire il tramite con la popolazione celeste che avrebbe protetto il genere umano. Ma si pensava che anche gli dei avessero avuto un’origine, come avrebbero avuto una fine”.

Raffigurazione di Osiride proiettata sulla parete di un tempio egizio nella mostra di Jesolo (foto Gianfranco Grendene)

Stele in calcare con il dio Bes di tarda età tolemaica dal museo Barracco di Roma (foto Gianfranco Grendene)

La prima entità cosmica fu Atum, il “Tutto”. Da lui si generarono due coppie, che diedero origine ad altre due, nelle quali si riconoscono i quattro elementi: l’Aria (Shu) e il Fuoco (Tefenet), genitori della Terra (Geb: maschile in egiziano) e del(l’Acqua del) Cielo (la dea Nut). Geb e Nut separati da Shu, misero al mondo due coppie di dei, Osiride e Iside, Seth e Nefti. Dall’unione miracolosa di Osiride (che era stato ucciso da Seth) e Iside nacque Horus, il bambino modello di ogni faraone. La natura sregolata di Seth, oltre a portarlo all’uccisione di Seth, gli impedì di avere una famiglia stabile. Dalla sua unione con Nefti nacque Anubi, il dio dell’imbalsamazione (che però potrebbe essere stato frutto di una “scappatella” di Thot), ma da altre sue unioni adulterine furono generati demoni. In seguito alla sua morte, Osiride fu nel tempo considerato il dio dei morti. Atum fu presto collegato alla dottrina che vedeva nel Sole (il dio Ra, uno dei due occhi del cielo; l’altro era considerato Thot, la Luna) il creatore del mondo. Atum fu considerato quindi il sole serale, ormai vecchio, mentre il sole mattutino fu impersonato da Khepri. “Questa”, conclude Roccati, “fu la teologia elaborata ad Eliopoli (in greco la “città del sole”), presso Menfi, l’antica capitale. Essa non fu l’unica, ma altre fiorirono nel lungo periodo, connesse alle figure di altri grandi dei”.

Bronzetto ella collezione Sinopoli con il falco che porta la doppia corona dell’Alto e Basso Egitto del tardo periodo tolemaico (foto Gianfranco Grendene)

Gruppo di divinità egizie proiettate nella mostra jesolana (foto Graziano Tavan)

In mostra, accanto alla proiezione su una parete del tempio di gruppi di divinità egizie che sembrano materializzarsi e sparire nella sabbia del deserto, e a ampi pannelli con l’elenco e la descrizione delle singole divinità, ecco un bronzetto votivo di Ptah della XXV-XXVI dinastia (dal museo di Storia ed arte di Trieste) o la stele di Bes di età tardo-tolemaica (dal museo Barracco di Roma), e poi amuleti con Thot, Tauret, Bes e Pateco (museo Egizio di Firenze). Particolarmente interessante una statua in bronzo di falco con la doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto del tardo periodo tolemaico che fa parte della collezione Sinopoli. “Il bronzetto”, spiegano gli egittologi, “riproduce il dio del cielo Horo sotto forma di falco, particolarmente venerato nel santuario di Edfu e identificato dai greci con Apollo. La corona che porta sul capo lo indica come titolare della regalità: il nome di Horo fu il primo titolo portato dai faraoni dall’inizio dell’età storica”.

(4 – continua; precedenti post 12 e 17 aprile, 23 maggio 2018)

Jesolo (Ve). Alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” viaggio nello spazio e nel tempo dalla laguna veneta alla scoperta della grande civiltà del Nilo. Attraversando il Mediterraneo si incrociano le rotte dei popoli che per millenni tennero rapporti non solo commerciali con l’Egitto

Il profilo di una piramide accoglie i visitatori all’ingresso della mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini” a Jesolo

Il logo della mostra aperta a Jesolo

La nave antica pronta a “salpare” dalla laguna veneta verso il Nilo (foto Graziano Tavan)

C’è una nave pronta a salpare alla scoperta dell’antico Egitto. È ormeggiata allo Spazio Aquileia di Jesolo, alla mostra “Egitto. Dei, faraoni, uomini”: un viaggio nello spazio e nel tempo che ti porta a tu per tu con la grande civiltà del Nilo. Aperta fino al 15 settembre 2018, la mostra è curata da Emanuele Ciampini e Alessandro Roccati, con Donatella Avanzo curatrice esecutiva, prodotta da Cultour Active e Venice Exhibition e promossa dalla Città di Jesolo con Culture Active e Venice Exhibition. La prua è sempre pronta a sollevare i primi flutti sotto i colpi cadenzati dei remi: partendo dal mare Adriatico il visitatore-navigante arriva nel Mediterraneo, entrando in contatto con le civiltà che fiorirono sulle sue sponde, per risalire infine il fiume Nilo, e arriva a far conoscenza con le dinastie dei faraoni, le divinità egizie, le pratiche legate al mondo dell’oltretomba, ma anche l’arte, la scrittura, i riti e le usanze. Faremo questo viaggio spazio-temporale accompagnati dagli egittologi curatori della mostra jesolana alla scoperta dell’antico Egitto, “un dono del Nilo”, come scrisse Erodoto nel V sec. a.C. Per tutto l’anno – lo sappiamo – gli antichi egizi si abbeveravano al fiume, e vivevano nell’attesa dell’inondazione periodica: durante ogni estate la portata d’acqua del Nilo aumentava gradualmente, al punto che i villaggi emergevano appena come tanti isolotti di un immenso arcipelago non tanto diverso dalla laguna veneta. “Per gli egizi il mondo era essenzialmente avvolto nell’acqua”, esordisce Alessandro Roccati.  “Sbagliato poi pensare che gli egizi fossero incapaci di uscire dal deserto e solcare i mari. In realtà i primi contatti con Biblo, sulla costa libanese, risalgono al IV millennio a.C. – assicura – , e le fonti egizie attestano contatti con molti popoli, inoltre l’Egitto non fu popolato solo dagli egizi! La sua posizione centrale tra Europa, Asia e Africa, ne fece addirittura un luogo di incontro tra popoli. È certo che lì si sviluppò uno dei momenti fondamentali della civiltà umana e che da lì tale civiltà si irradiò in buona parte del mar Mediterraneo”.

Anfora a staffa di produzione micenea databile tra il 1200 e il 1180 a.C. (foto Graziano Tavan)

Il Delta padano e il Mediterraneo Il viaggio di avvicinamento all’Egitto, illustrato nella prima sala della mostra, ci permette di incontrare, e quindi conoscere, i molti popoli che abitavano le diverse sponde del Mediterraneo, che possiamo considerare quasi un bacino, visto la relativa facilità e frequenza con cui fu solcato fin dai tempi più antichi. Il viaggio ha inizio. I riflessi del mare in un cielo scuro accolgono i visitatori appena saliti a bordo. La nave è salpata da poco dalla laguna veneta e già incrociamo molte altre imbarcazioni. “Le relazioni tra Mediterraneo miceneo e area padana raggiungono la massima intensità tra il 1200 e il 1050 a.C., subito dopo cioè il collasso delle strutture dei palazzi della Grecia continentale”. Le sponde alto-adriatriche sono un approdo facile per quei popoli che, a ondate successive, sono migrati dall’Egeo e dal Mediterraneo orientale in cerca di terre dove vivere. Già per tutta l’età del Bronzo (XIII-X sec. a.C.) i contatti sono frequenti tra i villaggi terramaricoli padani e il mondo egeo-miceneo. E si arriva all’VIII-VI sec. a.C. con la fondazione di empori e colonie greche, la più famosa è di certo Adria. La presenza dei micenei ci è ricordata da una bella anfora a staffa micenea (1200-1180 a.C.) proveniente dal museo civico di Storia e arte di Trieste.

Nella prima sala della mostra si attraversa il Mediterraneo per raggiungere l’Egitto (foto Graziano Tavan)

Il mondo egeo e l’Egitto L’orizzonte si allarga: siamo finalmente nel Mediterraneo dove incrociamo le rotte tra l’Egeo e le terre del Nilo. Se è vero che fin dalla scoperta della civiltà minoica a Creta ad opera di sir Arthur Evans i legami del mondo egeo con l’Egitto erano apparsi subito significativi, oggi si è certi si sia trattato di un rapporto di lungo periodo. “Per le civiltà egee”, spiegano gli archeologi, “la spinta verso contatti e scambi esterni nasce dalla necessità di materie prime, in particolare i metalli di cui tutta l’area non è particolarmente ricca. Alla ricerca di mercati di materie prime si aggiunge una circolazione di beni di lusso legata alla domanda di oggetti di prestigio, spesso esotici, fatta dalle nuove élite emergenti, che iniziano a distinguersi all’interno delle comunità cercando elementi che diventassero uno status symbol”. Significativo il boccaletto egizio imitato dagli artisti ciprioti del XIII sec. a.C. in terracotta rivestita di faience turchese: produzione rara e pregiata che dimostra la fitta rete di scambi commerciali e culturali da parte dei mercanti ciprioti.

Figurine femminili in alabastro (una in piedi e l’altra distesa) provenienti dall’area mesopotamica (foto Graziano Tavan)

Ebla, il Vicino Oriente e l’Egitto I due grandi poli culturali nella storia del Vicino Oriente sono stati per lungo tempo la Mesopotamia e l’Egitto. Soprattutto in Siria, dove fino alla prima metà del Novecento, gli scavi si erano concentrati sulle città costiere (Biblo, Ugarit, Tiro e Sidone), dagli anni ’70 si sono incrementate le ricerche grazie a numerose missioni straniere, tra cui l’Italia cui è legata la scoperta di Ebla a Tell Mardikh. E proprio gli eccezionali ritrovamenti degli archivi delle città di Ebla, Tell Beydar e Mari hanno illuminato sui contatti esistenti tra la Siria e gli altri Paesi nel III millennio a.C. Soprattutto Ebla aveva molti contatti con l’Egitto cui inviava beni preziosi quali argento, lapislazzuli e stagno, in cambio di tessuti di lino, zanne di elefante, denti di coccodrillo e vasi di alabastro. E la città di Biblo, sulla costa mediterranea, fu spesso usata per il collegamento marittimo con l’Egitto. Alabastro dunque come preziosa merce di scambio. Lo confermano le due statuine in alabastro del museo di Scultura antica “Giovanni Barracco” di Roma esposte in questa prima sala: provenienti dall’area mesopotamica, raffigurano immagini femminili stanti e distese, che rappresenterebbero l’associazione cultuale tra la dea greca Afrodite e la dea persiana Anahita. Ma se le popolazioni che si affacciavano sul Mediterraneo orientale intessero intensi rapporti con quanti abitavano lungo le sponde del Nilo, quell’interesse non fu univoco. Le prime relazioni tra Egitto e Vicino Oriente è attestato in età predinastica, ma è nel Medio Regno che si intensificano e sono meglio documentate, soprattutto con Siria e Palestina, principali fornitori di legname e testa di ponte strategiche per la penetrazione nel Levante. La presenza egizia fu particolarmente forte in Palestina con il Nuovo Regno, soprattutto in età ramesside, con la costruzione di diverse fortezze, abitazioni e sepolture di chiara influenza egizia.

Il chiodo di fondazione da Adab (sud della Mesopotamia) della collezione Sinopoli

Il cono della collezione Sinopoli Prima di lasciare il Mediterraneo (sala I) e raggiungere finalmente il Nilo, vale la pena soffermarsi su un pezzo eccezionale della collezione privata della famiglia Sinopoli. Si tratta di un chiodo di fondazione, perfettamente conservato, databile all’epoca accadica (2350 -2200 ca a.C.), che proviene dalla città di Adab, nel sud dell’Iraq, centro molto importante – come ricordano gli archivi di Ebla – già in età presargonica, e poi, sotto l’impero di Accad, la città più importante dopo Kis e Accad. Il chiodo di fondazione, con il nome del sovrano e del dio, erano posti nelle fondazioni dei templi costruiti o restaurati. “Il chiodo di fondazione della collezione vicino-orientale della famiglia Sinopoli”, sottolineano gli assiriologi, “è un pezzo di eccezionale valore storico perché cita il nome di un sovrano di Adab che finora ci era sconosciuto”.

(1 – continua)